Red Lights – Recensione del film di Rodrigo Cortés che poteva essere il nuovo The Sixth Sense

red lights sigourney weaverred lights de niro

Oggi, voglio recensire brevemente, spero esaustivamente, Red Lights, scritto e diretto dallo spagnolo Rodrigo Cortés.

Il quale nel 2012 uscì con tale pellicola e fu, a mio avviso un po’ ingiustamente, subissato di critiche assai poco lusinghiere e troppo irriguardose. Sebbene…

Infatti, Cortés, dopo aver dimostrato la sua ammirevole valenza in tanti cortometraggi connotati e intrisi della sua originalissima personalità, prima di Red Lights, diresse l’acclamato Buried – Sepolto con Ryan Reynolds.

Dunque, da questa sua seconda regia hollywoodiana, dopo i suoi Concursante ed Emergo, considerando anche la rilevanza dei nomi importanti del cast che riuscì ad assoldare e ad avere a disposizione, cioè nientepopodimeno che Robert De Niro, Sigourney Weaver, Cillian Murphy, Toby Jones, Leonardo Sbaraglia e le bellissime Joely Richardson ed Elizabeth Olsen, chiunque rimase fortemente deluso.

Red Lights, film reputato, infatti, persino imbarazzante. Soprattutto spiazzante.

Un film della corposa durata di un’ora e cinquantaquattro minuti, montato dallo stesso Cortés e, potremmo dire, accessoriato di una suadente, plumbea fotografia morbida di Xavi Giménez (Intacto, L’uomo senza sonno, Agora) che, dopo un inizio altamente promettente e folgorante, dopo i primi tre quarti d’ora girati magistralmente, dopo tanta calibrata suspense e un’interessante struttura narrativa ottimamente ben gestita e congegnata a incastro, perde i suoi pezzi del mosaico, del puzzle sino a quel momento così finemente imbastito e intarsiato, in maniera certosina allestito, frantumandosi e disperdendo ogni suo potenziale in un finale con un banale twist rivelatorio à la M. Night Shyamalan che rimette tutte le carte in tavola ma, al contempo, più che emozionalmente sorpresi, ci lascia negativamente accecati e attoniti, impietriti dinanzi a tanta maldestra sciatteria poiché, dopo quest’inaspettato ma, tutto sommato, prevedibile ribaltamento d’ogni aspettativa degli spettatori, essendo Red Lights pieno d’incongruenze ingiustificate e, per noi, ingiustificabili, rivisto in maniera retrospettiva, crolla fragorosamente sotto ogni punto di vista.

Trama:

Margaret Matheson (un’arcigna Sigourney Weaver), famosa e stimatissima professoressa ricercatrice dei fenomeni paranormali, si affilia al giovane dottore Tom Buckley (Cillian Murphy) per smascherare i cosiddetti ciarlatani.

Matheson, nella sua impeccabile carriera, scoprì e ridicolizzò tutti i più furbi guru ma non riuscì mai a sconfessare il misterioso, anzi misterico, lugubre e potente Simon Silver, maestro di chiaroveggenza, dalla nascita completamente cieco.

Silver, improvvisamente, dopo essersi eclissato e inabissatosi lui stesso nel nulla, come per magia riappare come un pericoloso, inquietante giochetto di prestigiazione.

Silver è davvero uno stregone, un uomo dotato di sesto senso oppure è semplicemente un illuso/illusionista delle sue superbamente celate e dissimulate bugie da sconfessare e, possibilmente, su cui approfonditamente indagare per incriminarlo e sbatterlo dietro le sbarre?

Silver si dichiara un uomo, oltre che cupo, assai lupo, un uomo macabramente notturno ammantato di un’aura torvamente irresistibile e carismaticamente così ammaliante da far(vi) credere di essere inarrestabile, umanamente e scientificamente invulnerabile.

Un uomo così pieno di sé e talmente convinto delle sue disumane capacità precognitive e sovrannaturali tanto da affermare, addirittura con strafottente, baldanzosa, sicumera altamente provocatoria e fastidiosa, di essere metaforicamente figlio di un altro mondo e di un altro pianeta.

Silver è veramente uno strabiliante mago, è realmente cieco o è solamente tutta una sua messa in scena per dare spettacolo in modo tale che lui possa lucrare sulla buona fede dei poveracci, circuendoli maliziosamente, ingannandoli immondamente e, sinceramente, diabolicamente coglionarli apertamente?

Invece, Tom Buckley è solamente un neolaureato, semplice apprendista del suo essere ancora un ingenuo, eterno e immaturo studente non solo delle sue ricerche e della sua appresa scienza?

Lo saprete se vorrete guardarlo dal primo all’ultimo minuto, gustandovi il finale. Che non riveleremo, naturalmente, ma ribadiamo orgogliosamente che sia sostanzialmente un’immane scemenza madornale.

Red Lights, a conti fatti e misteri apparentemente irrisolvibili, da Cortés scritti e diretti frettolosamente, rovina ogni buona intenzione nell’ultima mezz’ora, pressoché insostenibile. In cui Cortés distrugge ogni torbida, seducente suggestione onirica e intrigantemente esoterica dapprima da lui, come detto, cinematograficamente ben concertata, strumentalizzando poi l’intera trama a fini prettamente commerciali da mediocre thriller di cassetta, sconcertandoci e, specialmente, costernandoci. Scivolando in un manieristico, già visto, ripetitivo e rivisto stile sincopato da dimenticabile videoclip e deturpando ogni superba atmosfera, dapprincipio suadentemente mostrataci, nel calcare esageratamente la mano su uno scontato, effettistico mood stilistico così scioccamente parossistico da lasciarci credere che, in verità, abbiamo soltanto assistito a una modaiola semi-idiozia peggiore forse dei peggiori, medioevali divinatori figli di un’ignoranza oscurantistica. Il film si salva per la forza interpretativa dell’affascinante, sempiterna Weaver, per la venustà stupenda di Elizabeth Olsen e per la classe impari di Bob De Niro. Cillian Murphy è un attore che emana, dagli occhi suoi così illuminati, non so se da illuminato però, dalle cangevoli e candide sue iridi pregne di glauca fotogenia attraente, una presenza scenica impressionante.

Peccato che, allo stesso modo del suo personaggio del film, le sue ultime scelte professionali non siano state parimenti lungimiranti. Cosicché qui, in maniera criptica rivelo ermeticamente, di mia particolare ermeneutica, il finale del film. Un finale quasi amletico, ah ah.

Se fossi in Cillian, mi guarderei allo specchio e fermamente mi persuaderei di possedere un talento ancora incompreso, soprattutto da sé stesso, meravigliosamente ipnotico. Forse uguale a quello dell’autore di questa recensione, ovviamente il qui presente-assente, sensazionale, fantomatico e forse fantasmagorico, oppure fantasma, dunque Fantômas poco in carne e ossa.

Ovvero più comunemente (mis)conosciuto, in arte, come Stefano Falotico. Personaggio stroboscopico che non è che molto scopi, il quale non crede all’oroscopo ma possiede un innato talento dannato da arcano cane o forse da splendido incantatore. No, io non volli né desidero incantare nessuno, tantomeno me stesso. So però discretamente cantare e riapparire in maniera bestiale.

Insomma, qui parliamo di un Simon Silver reale, quindi di un Cillian Murphy dagli occhi neri magicamente irreali. Esperto del Cinema surrealista più mondiale, nella vita equilibrista e giammai squilibrato, cioè un uomo terribilmente sfigato eppur genialmente rinato. Senza nessun trucco in faccia né alcun inganno, un uomo che sa quasi tutto. Un uomo onnisciente che si diverte a fare, qualche volta, il deficiente poiché sconfisse ogni psichiatrica suggestione, ah, che falsa, capziosa scienza.

Nel grande Cinema, lo chiamano colpo di scemo, di genio o forse solo di scena. A questo punto, chiederei a ogni maestrina come Sigourney Weaver: ecco, questo come me lo spiega?

https://www.youtube.com/watch?v=_11ReFjXBOI

red lights cillian murphyred lights olsen

di Stefano Falotico

 

Lascia un commento

Home Robert De Niro Red Lights – Recensione del film di Rodrigo Cortés che poteva essere il nuovo The Sixth Sense
credit