La vita davanti a sé (THE LIFE AHEAD) di Edoardo Ponti con la grande Sophia Loren – Recensione

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Ebbene, oggi recensiamo La vita davanti a sé (The Life Ahead).

Film distribuito da Netflix lo scorso, recente 13 Novembre, che sta riscuotendo enorme successo, essendosi subito piazzato al 4° posto dei film più visti in questo periodo sulla suddetta piattaforma streaming più famosa internazionalmente.

La vita davanti a sé è diretto da Edoardo Ponti (Cuori estranei), ça va sans dire, figlio dell’esimia Sophia Loren, qui protagonista assoluta nel suo trionfale comeback che potrebbe addirittura condurla alla Notte delle Stelle, sì, Sophia è già in odore di nomination all’Oscar, stando alle critiche estremamente lusinghiere ricevute dal film soprattutto oltreoceano, avendo tale pellicola totalizzato sul sito aggregatore di medie recensorie, metacritic.com, l’ottimo 66% di pareri postivi, lodanti specialmente la sua appassionante prova molto sentita ed emozionante.

Tratto da un celebre ed acclamato, epocale romanzo di Romain Gary, già eccellentemente trasposto per il grande schermo, col titolo originale La vie devant soi, in una famosa versione del ‘77 con Simone Signoret, La vita davanti a sé di Ponti dura 1h e trentasei minuti ed è sceneggiato da Ugo Chiti, navigato writer collaboratore ultimamente inseparabile di Matteo Garrone (Il racconto dei racconti, Dogman, Gomorra) e, in passato, immancabile e graffiante penna soprattutto del corrosivo Francesco Nuti (Willy Signori e vengo da lontano, OcchioPinocchio, Donne con le gonne) e del suo goliardico amico Alessandro Benvenuti (Benvenuti in casa Gori), oltre che di Giovanni Veronesi (Italians e la trilogia di Manuale d’amore), in collaborazione con gli apporti dello stesso Ponti e di Fabio Natale, i quali hanno personalmente “revisionato” alcuni elementi dello script, inserendovi tocchi abbastanza rimarchevoli della loro personalità finemente congiunta a quella tagliente ed esplosivamente acuminata di Chiti.

La vicenda descritta ne La vita davanti a sé di Ponti ricalca piuttosto fedelmente la trama del romanzo omonimo di Gary, spostando però considerevolmente l’ambientazione dall’originaria Belleville parigina, quartiere della capitale francese assai noto per il suo variopinto e strambo melting pot ricolmo di etnie interraziali per l’appunto ruspanti e vivamente colorite, all’altrettanto pittoresca, forsanche più suggestiva e incantevolmente poetica, quasi pauperistica Bari vecchia.

Momo (Ibrahima Gueye) è un ragazzino senegalese di soli dodici anni abbandonato a sé stesso. Spaurito e spaesato in mezzo alla tentatrice, frenetica Bari suburbana, Momo è, potremmo dire, ulteriormente svantaggiato nell’adattarsi in un “paese straniero” per colpa del suo brusco, aggressivo carattere indomabilmente ribelle.

Su pressanti richieste del dottor Cohen (Renato Carpentieri), Momo trova ospitalità presso la decadente e al contempo rinomatamente inquietante e splendente magione gestita da Madame Rosa (Loren). Una vecchia ex prostituta di origini ebree scampata miracolosamente ai campi di concentramento di Auschwitz durante l’Olocausto.

Inizialmente, fra Momo e l’anziana signora Rosa non corre buon sangue. Viste le differenze anagrafiche, culturali e di background diametralmente opposte, difatti, avvengono immediatamente feroci litigi fra i due che culminano in furiose e turbolente incomprensioni che però, col passare del tempo, s’attenueranno e placheranno pacificamente, acchetandosi e sviluppandosi positivamente per di più in inaspettate affinità insospettabilmente elettive, diciamo anche rigenerative, cementandosi in una sorprendente, stupenda amicizia umanamente tenera e affettuosamente toccante.

Momo, nel frattempo, è andato a invischiarsi pericolosamente con dei concittadini malviventi, essendosi prestato per loro allo spaccio della droga.

Riuscirà Madame Rosa, con la sua forza da donna duramente resiliente alla tremenda vita da lei sofferentemente esperita, dunque col coraggio e la maturità derivatele dalla sua saggia, comprensiva, lottatrice anzianità ancora piena di vitalità inarrendevole, ad aiutare Momo nel suo difficile percorso della vita?

La vita davanti a sé non è certamente un capolavoro ma segna il ritorno della mitica Loren al Cinema.

Dopo Nine di Rob Marshall, le sue precedenti prove con lo stesso Ponti, fra cui il mediometraggio Voce umana e il succitato Between Strangers, dopo Peperoni ripieni e pesci in faccia di Lina Wertmüller, la signora Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone, in arte Loren, Academy Award winner per La ciociara e Oscar alla Carriera, lascia ancora il segno.

Consegnandoci forse la sua ultima, ahinoi, prova per il grande schermo, piena di pathos ammantato di leggendarietà.

Il film vale quasi esclusivamente per lei, la Loren!

La vita davanti a sé assomiglia, purtroppo, spesso a una fiction di matrice ecumenica da prima serata tv di Rai Uno, cioè un feel good movie godibile, sicuramente non memorabile, furbamente ma anche dolcemente costruito a mo’ di delicato, un po’ dolciastro eppur efficace racconto di formazione adatto specialmente a una visione in famiglia per una buonista letizia pre-natalizia, un film piacevole anche se talvolta mielosamente insopportabile, supportato dalle notevoli scenografie ambientalistiche e paesaggistiche del bravo Maurizio Sabatini, aficionado di Roberto Benigni, e sostenuto dall’onnipresente, soprattutto nei titoli di coda, retorica, “marchettara” ma impattante canzone della nostra cantante più venduta al mondo, cioè Laura Pausini, Io sì, a far da traino alla corsa verso gli Oscar della strepitosa Loren.

Vai Sophia, tifiamo naturalmente per te.

Grande Sophia!

Uomini, alle prossime erezioni, votate il Genius, in Arte il Falotico! Vota Antonio? No, vota il Principe non de Curtis, bensì totoiano a suo modo di vedere il mondo, un uomo non corto di cervello ma “lungimirante” di qualcos’altro. Un uomo straordinario che promette faville e fave, insomma, La vita è bella e, come disse Benigni, dove lo trovate uno più bello di me? Un uomo che è una vivente favola eccitante. Un uomo che non si prostituirà mai al sistema ove la gente, disoccupata, pur di arrivare a fine mese, scommette alla SNAI di sistemi. Gente diseredata che, nella vita, aveste poco sedere, non sputtanate i vostri risparmi nel prendere tutto a culo. A prenderlo in questo posto e a prendere non sberlone, metafora di sgnacchere e passerone, bensì a venire presi per coglioni.

Ribellatevi, sprigionate voi stessi! Scatenatevi lontani da ogni catena. Di Sant’Antonio? In quanto il governo ci ha chiuso in quarantena come se fossimo nelle case chiuse. Un uomo vivo, il Falò, un uomo rinnovato ma dal rovinoso passato, un uomo cioè rovinato. Un uomo psicologicamente distrutto che combatte però stoicamente con grinta e sana ira affinché tutti possano godere in maniera egualitaria, forse anche in galera, dei frutti della figa, no, vita. Un uomo pregno di sua immane restaurazione che promette agli esercenti rovinati dal Covid-19, sì, una felice ristorazione. Poiché, restaurandoci e ristorandoci tutti assieme appassionatamente o demoralizzati in modo iper-potente, andremo a brindare in trattoria oppure finiremo a troie. Un uomo ritornato, il Falò, come Ulisse a Troia.

E allora, evviva L’oro di Napoli e Totò Tarzan, evviva il Parmacotto e quest’uomo cottissimo, oserei dire bollito ma sempre in ebollizione. Il Falotico, un uomo bioetico dall’imbattibile etica e sempre con la voglia di qualcosa di etilico per rallegrare l’ubriaca compagnia di questa vita fradicia e puttana.

Accattatevelo! E votatelo!

di Stefano Falotico

 

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