IL FANTASMA EVANGELICO PENTECOSTALE – Un mio mediometraggio che cita Manzoni, solfeggia in Dante Alighieri e vive di angosce infernali forse da Acheronte mist(ic)o à la The Sixth Sense

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Nelle intenzioni originali, il mediometraggio doveva intitolarsi così. A seguire il testo da me stesso scritto e ovviamente recitato:

Il fantasma evangelico pentecostale di Ca’ Bianca

Durante il cammino liturgico di un autunno ammantato di abbacinante candore, di soave torpore illanguidito nella bellezza rinata d’un restaurato cuore nuovamente armonioso, alle pendici d’una degradata periferia fatiscente, una risorgimentale rinascenza letiziosa illuminò di fulgore un’anima forgiatasi nella più rocciosa, pietrificante e mortificante tenebra sigillante il suo eclissato amore, una cupa anima anneritasi nella precoce decadenza d’una triste senescenza marmorea.

Nel bel mezzo d’un mattino in fiore, come per magia, tal anima deturpatasi e oscuratasi, spentasi nel suo primigenio ed originario, più fresco, dolce, senziente ed umano sapore, si ridestò immantinente, destando negli uomini forte ed allucinante preoccupazione.

Anima scomparsa, l’anima d’un fantasma, d’uno strano ectoplasma bizzarramente defunto, risorto dal buio esistenziale della sua nerissima tetraggine oggi rinnovatasi nella venustà evangelica del Cristo e di suo Padre che generò il Creato, rimodellandosi a immagine e somiglianza del suo destino nuovamente statuario e splendidamente ammodernato.

Incantevolmente, ancora resuscitato.

Chapter 1

La Pentecoste

Madre de’ Santi, immagine
Della città superna;
Del Sangue incorruttibile
Conservatrice eterna;
Tu che, da tanti secoli,
Soffri, combatti e preghi,
Che le tue tende spieghi
Dall’uno all’altro mar;

Campo di quei che sperano;
Chiesa del Dio vivente;
Dov’eri mai? qual angolo
Ti raccogliea nascente,
Quando il tuo Re, dai perfidi
Tratto a morir sul colle
Imporporò le zolle
Del suo sublime altar?

E allor che dalle tenebre
La diva spoglia uscita,
Mise il potente anelito
Della seconda vita;
E quando, in man recandosi
Il prezzo del perdono,
Da questa polve al trono
Del Genitor salì;

Compagna del suo gemito,
Conscia de’ suoi misteri,
Tu, della sua vittoria
Figlia immortal, dov’eri?

In tuo terror sol vigile.
Sol nell’obblio secura,
Stavi in riposte mura
Fino a quel sacro dì

Rinasci vita mia dimenticata, rinasci, vita mia smarrita, rinasci, anima adombratasi ed arrabbiatasi, adontatasi in tante crepuscolari, buie ansietà malate, rinasci, amore perpetuo del mio cuore selvaggio ancora scalpitante e d’estasi affamato.

Riscoccano le fiamme del mio amore obnubilato, screpolatosi nell’infame e turpe peccato, amore che, incenerito da molto lacrimoso dolore, oggi sorride dirimpetto al suo fato meschino ed infausto.

Fatalmente, oggi la mia vita è miracolosamente riesplosa nel battito cardiaco della mia beltà rinnovatasi.

Tetri e pigri esseri asservitivi al malessere. Sprofondati nei giacigli silenti di bare omertose. Foste intimiditi da una realtà sovrana e fosca che legiferò sopra di voi ed amputò le vostre viscere, scuoiando progressivamente le arterie vitali, occludendo il libero flusso sanguigno emozionale dei vostri slanci più euforici.

E, nella recrudescenza d’un torpore indottovi da un ingannevole dolore perpetratovi a vostra succuba sottomissione, poltriste nella cenere di sogni vostri perduti, sul nascere già estinti.

Modellandovi a cere fantasmatiche e passeggiando soltanto zampettando da zombi ermeticamente asfissiati nell’antro dei vostri assopiti, giammai riesumati meandri.

Patendo l’inferno dell’incorporarvi a un credo assai falso.

Prostrati in adorazione del peccato. Partorito da un dio creato a immagine e somiglianza delle vostre perpetue viltà addolcite nel consolatorio buonismo di massa assai ruffiano.

Marciando, oh sì, marcescenti, educati alla senescenza, figli d’una mostruosa scienza che vi plagiò a creato del deformarvi, distorcendo le vostre anime e reprimendole pian piano orribilmente, spegnendole lentamente.

Da tempo, anzi dalla nascita, la mia casa è attorniata da un parchetto che d’estate rifiorisce di variopinti alberi che si stagliano alti nella prominenza del mio svettare di nuovo armonico in tale mondo distorto. Io stesso, infatti, durante l’inverno m’innevo nel gelo dei miei pensieri imbrunitisi nell’autunno del mio crepuscolo freddo, patendo lo strazio del mio intirizzito intorpidirmi nel buio silente di mezzanotti illuminate dalla fluorescenza solamente del mio brindare, nella mia anima solitaria, allegramente di emozioni colorate nell’appaiato ed appartato mio essere… dannatamente senziente.

Ramificato in eterni, esistenziali tormenti strazianti, soffro il tempo infinito del mio incupirmi nella rifrangenza emotivamente perturbante di sensazioni umorali assai ondivaghe. Oscillanti fra la più innocente, linda melanconia e stati alterati della mia coscienza innervata, anzi innevata, oh sì, nella più afflittiva vita mai davvero nata.

Marinaio delle mie emozioni grandiose come un oceano in burrasca, passeggio placidamente nei meandri ventricolari del mio cuore affetto da tachicardia passionale che, in tali frangenti, piange in silenzio e nella mia cupa intimità la vastità del mio cuore deprivato d’ogni solare e viva speranza mordace. Scevra d’ogni slanciata, spontanea vitalità verace.

Rinnalzandosi poi in primavera con potenza fieramente risorta nell’abbacinare il mio stesso cuore appannatosi nell’apparente decadenza mia perversamente mortale ed ambiguamente morale.

Io, tenebra vivente, tenerezza sussultante della mia esistenza ancor indomita.

E, in tale parco poco distante dalla mia abitazione misteriosa, alla fine del suo lungo viale alberato, è intagliata nel cielo la guglia di una casa, forse maledetta, da sempre disabitata.

Una spettrale villa che emana fortissimi sentimenti di pura paura. E, da tempo immemorabile, mi spaventa in modo lancinante ed abissale.

Nell’aurora dei miei ritrovati bagliori, ausculto la levità del mio giammai morto, strano cuore.

Movimenti traballanti, oscillanti del mio cuore arenatosi od ibernatosi nello scosceso saliscendi d’emozioni instabili che, alla pari di una soggettiva turbinosa di camera a mano smossa dal vento dei miei polmoni strozzatisi nel brutto tempo dei miei innumerevoli, strangolanti turbamenti perfino accidiosi, ondeggiò frastornando lo spettatore di me stesso, impassibile sognatore confuso in questo mondo di vagabondi sbattuti qui alla rinfusa.

Uomo io nervoso, nevoso e or iroso, ancora morbidamente caloroso malgrado i travagliati miei trascorsi morbosi. Circumnavigo la vita e la costeggio, serpeggiando languidamente nel terremoto ondoso delle mie emozioni arrugginitesi e ancora farraginose, forse solamente illuminate da un sole focoso che s’oscurò nelle lunari mie opalescenze allucinatesi nel tetro o forse cupo mio sparire ignoto, le colpe altrui espiando nel mio perdonare chicchessia con giullaresca clemenza e sana pietà offerta a chi ancora, imperdonabilmente, mi apparirà odioso, dunque giustamente gli preferirò essere scontroso.

Applauso, ah ah. E che sia come dico io e non so se dio, scosciante. La donna, in prima fila, mi attizzza poiché applaude in modo scosciato. Ah ah.

In un mondo ove la gente, fagocitata da fake news concernenti il Covid-19, si lascia travolgere da angosce ciclopiche di natura terribilmente atavica, un uomo caotico, cioè entropico, vale a dire il Falotico auto-ribattezzatosi Falò e purtroppo benedetto dal peccato originale in quanto catechista metodista d’insegnamenti capziosamente cattolici figli d’una malsana cultura giudeo-cristiana impartitagli durante l’infanzia partorita dalla pastorizia o forse dalla catechesi afflitta da insanabile, orrida tristizia, essendo asceso ad ateo convinto con squisita sanità e non furbizia, sarà crocefisso in maniera bieca dalla pusillanimità bastarda dei nuovi, spietati ed efferati, intransigenti Ponzio Pilato che se ne laveranno le mani con malignità tristissima? Gettandolo ancora in pasto al porcile di massa che, giocoforza, lo trascinerà negli esibizionistici deliri solipsistici di Instagram elevati alla celebrazione ridicola dell’egoismo più edonista? Affinché cresca in modo distorto, apparentemente da toro, improntandosi alle poco virginali e retrograde idiozie collettive d’uno status quo etico-estetico di matrice cannibalistica, fallacemente e (in)felicemente innestato ai culti più oscenamente competitivi e menefreghisti?

Perciò, dopo essere stato ingannevolmente iscritto all’abluzione per colpa di una tramandata, tradizionalista stolta cultura relativista, verrà obliato nella cupezza mortifera degli zombi viventi che credono… di essere senzienti, modellandosi alla carnalità più losca e sporca, mentendo in cuor suo dinanzi alla sua inalienabile verità esistenziale al fine di abiurare alle maldicenze e ai Credo impostigli dei poveri cristi, di chi sodomizza le coscienze vive, piegandole in modo aberrante al buonismo ricattatorio della vita intesa come meritocratica scala gerarchica sopprimente ogni pensiero più cristallino e soprattutto libero?

Allorché, genuflettendosi distrutto da Andrew Garfield da Silence al potere precostituito dell’abdicare contro la sua volontà, anzi, obbligato alla pari di ogni non pen(s)ante animale ad abiurare per quieto vivere fintamente fiero di propugnare la più stucchevole, dolciastra mansuetudine pseudo-lavorativa, farisea e sociale solamente illusoria, rinnegherà in tronco la fantasia e lo spirito suo innato più lunare e lunatico, proteso invece magnificamente alla più dolce, questa sì, fine e leggiadrissima poesia sublime, ammalandosi nuovamente e mostruosamente di melanconia in quanto inadatto a un mondo stupidamente euforico, superficiale e assai poco analitico le anime purtroppo castigate dall’essere perennemente pedagogizzate in base ad ottusi parametri di giustezza effimera? Parametri schisosi in modo sesquipedale!

Il Falò non ricusa la patologia di cui è superbamente affetto fin dalla sua nascita più primordiale, oserei dire ancestrale. Ovvero la sua lucidissima follia creativa, eh sì, miei cretini. Creatori del nulla più cosmico, anzi, tragicamente ed involontariamente comico. Estroso, peranco astruso, giustamente il Falò non crede all’oroscopo e alle scempiaggini dei credo astrali e non nacque a Betlemme, bensì nello stesso giorno di Mauro Biglino, “indagato” esperto di everismo, chissà se di verismo alla Verga, uomo probabilmente misterico e malato di esoterismo, praticante assiduo ed irredento (ir)ridente ed irriverente del fare luce sul religioso creazionismo non a mo(n)do per i suoi accaniti detrattori molto odiosi, declamatore, il Biglino, non della palestra, luogo pieno di gente esaltata, oziosa e viziosa, permalosa e stupidamente ricolma di maschioni sbaciucchiati da ninfette, forse in(f)ette, definite squallidamente morose. Il Biglino, filosofo affascinante sicuramente non da sinagoghe né cattedratico, però certamente influente, cultore della paleoastronautica e comunque molto colto. Mica un comune, bigotto culturista del ca… zo. Oh, mio dio, eh, Gesù! Orsù!

Il Falò spesso gli assomiglia, rinnega fedelmente tutte le fedi, forse anche nuziali o di stupido fidanzamento. Qui dice il Ver(b)o? È ovvero, non soltanto durante l’inverno gelido, un uomo vero e al contempo, in tali tempi oscurantistici in cui la gente si affida alla divina provvidenza di primitivi templi, uno strambo personaggio ectoplasmatico e bellissimamente evanescente. Diciamocela, lindo. Alla faccia di tutta questa bella gente che vive di mendaci, ignobili apparenze da porci orchi molto luridi e stronzi.

Il Falò è ai più ignoto, in passato spesso dormì solo di notte, rimanendo più sveglio di tanti ciechi innamorati solamente di sé stessi, anzi, già dentro morti e spenti, oserei dire tristemente, innatamente incupitisi e stesi in maniera immota, anzi, immonda.

Il Falò, uomo insopportabile, autocentrato nel suo Sole, adoratore di Galileo Galilei di cui estrae questo passo imprescindibile contro ogni cul(t)o monoteista da nazi-fascisti irriducibili:

«La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto».

Io, sì, mi credo al centro dell’universo poiché questa è la mia vita e non è quella di un altro. Quindi se l’altro, inevitabilmente diverso da me, non può essere me, perché mai io non dovrei pensare che io voglia essergli antipatico e anti-empatico? Lui mi dirà: ah, mi fai pena ma mi stai simpatico.

Si dia alla madonna.

Comunque, il Falò non verrà giammai corrotto e nella sua integrità scalfito né esacerbato, perennemente oscillerà nella sua anima universale. Sì, un uomo al di là di ogni confine spazio-temporale, perfino corporale.

Ricordando a chicchessia, soprattutto alla Chiesa e alla sua indottrinata borghesia, che Teorema di Pasolini è un capolavoro, un pugno allo stomaco devastante scagliato contro ogni ipocrisia, riversato con furia immane contro ogni stomachevole idea concettuale di vomitevole idea natalizia soggiogata alla più scema letizia.

Il Falò va matto della sua ipocondria, della sana malizia, non tollera i consigli paternalistici, non crede al Padreterno ma vive della sua eternità in quanto etereo. È malato di onnipotenza. È megalomane? Sì, e allora? A te disturba? Vuoi, tu, punirlo in quanto ti credi dio? Tu non sei nessuno e Falò non è niente, non essendo noi tutti degli dei.

E così sia, parola di Cristo, forse di San Francesco.

Buon Natale, a prescindere da quanto appena il suo Spirito ivi vi disse.

Chi ha orecchie per intendere, intenda.

Chi non ama M. Night Shyamalan non può essere Jim Morrison.

Il re Lucertola dei maledetti.

Sono Strange Days, eh sì. Ma siamo precipitati in un album caleidoscopico dei Doors o in un film di Kathryn Bigelow omonimo? Nomen Omen, andate in pace del Signore, pecorelle. Il Signore vi mette a pecora.

Io sono un angelo, oggi, domani un diavolo. Il nostro domani è ambiguo e incerto, forse torneremo davvero tutti a essere sinceri, forse solo cenere.

Poiché come illuminatamente, dannatamente declamò il grande Bob De Niro di Cape Fear, citando vanagloriosamente e vendicativamente Angelus Silecius:

Sono grande come Dio, egli è piccolo come me; Di me non può esser più alto, né io di lui più basso…

Il Falò vi dice: non è ancora giunta l’ora per essere un uomo normale, cioè un idiota. È sempre invece l’ora di pranzo? No, di essere pazzo come iddio mi creò a sua immagine e somiglianza. Dio, dunque, chi è? Ah ah.

di Stefano Falotico

 

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