CODICE GENESI (The Book of Eli), recensione

the book of eli poster

Ebbene, oggi recensiamo e ripeschiamo l’ottimo Codice Genesi (The Book of Eli) dei fratelli Albert e Allen Hughes.

Codice Genesi fu alquanto sottovalutato ai tempi della sua uscita nelle sale. Da noi uscì, per l’esattezza, in data 26 Febbraio 2010.

Sebbene la media recensoria, riportata da metacritic.com, sia piuttosto soddisfacente, cioè Codice Genesi vanti un discreto 53% (voto, tutto, sommato, sopra l’ampia sufficienza) di positive opinioni critiche, tale film firmato dai registi dell’acclamato La vera storia di Jack lo squartatore apparve a molti, come si suol dire, più che sbagliato, già visto e superato.

Permetteteci il gioco di parole, sì, è certamente anacronistico. Anzi è ambientato in un futuro à la Mad Max, dunque apocalittico e distopico. Però Codice Genesi, rivisto col senno di poi e con maggiore, lucida obiettività e ponderata, fine oculatezza, è un film da rivalutare quanto prima. Così come noi vi spiegheremo, speriamo esaustivamente e in forma chiara, concisa e precisa, nelle seguenti righe.

Sceneggiato dal fantasioso e valente Gary Whitta (After EarthRogue One: A Star Wars Story), Codice Genesi dura un’ora e cinquant’otto minuti. Nella sua corposa durata avvince e, fin dal suo incipit volutamente soporifero, invero argutamente permeato di torbide atmosfere suggestivamente ermetiche dalle tonalità verdi saturate in color corrections e computer graphics funzionali alla vicenda raccontataci, Codice Genesi profuma di lisergica stramberia originale, trasuda di purissima fantascienza assai amabile.

Per non sciuparvi la visione, nel caso non l’aveste mai visto, ci limiteremo ad accennarvene la trama, riducendola all’osso eppur fornendovene le stuzzicanti coordinate narrative chirurgicamente millimetriche nella speranza che, nella nostra sintesi evocativa la sua dimensione fascinosamente fuori dal tempo, millenaristica e al contempo visionariamente ammantata di brillante nichilismo a mo’ de Il corvo di Alex Proyas, possiate per l’appunto vederlo subito e ben apprezzarlo.

Trama: in una nera landa desolata, brulla e piena di costruzioni fatiscenti, in mezzo a un imprecisato luogo post-apocalisse, nel degrado d’una natura selvaggia, un uomo solitario (Denzel Washington) cerca rifugio ove riesce. Al che, dopo alcune disavventure e un’aggressione ricevuta e da lui sventata con violenza brada, in virtù delle sue prodigiose doti marziali da combattente spietato e brutale, giunge in una cittadina capeggiata, forsanche costruita, dal misterioso e minaccioso Carnegie (Gary Oldman, al solito meraviglioso e qui dalla magrezza spettrale e col viso butterato). Carnegie è in cerca da tempo immemorabile di un libro assai prezioso, anzi, importantissimo.

Qui ci fermiamo altrimenti vi sveleremmo troppo. Straordinaria fotografia chiaroscurale e, per l’appunto, egregiamente atmosferica di Don Burgess (Forrest Gump) e un cast rilevante in cui si mettono in mostra la rediviva Jennifer Beals (Flashdance), la splendida e solare Mila Kunis nei panni di Solara, Ray Stevenson, Michael Gambon e un inquietante Tom Waits, il quale rincontra Oldman dopo l’epocale Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola, sono le facce giuste per questo peculiare, barbarico western metropolitano diretto con grintoso piglio dagli Hughes. Qui parecchio ispirati e poi, ahinoi, persi per strada.

Codice Genesi, verso la parte centrale, un po’ arranca e perde ritmo, smarrendosi forse in una storia abbastanza banale a base d’inseguimenti rocamboleschi e sparatorie troppo insistite ma, ripetiamolo, appassiona e non dà un attimo di tregua. Carnegie riuscirà ad acciuffare il suo bramato libro e forse ad agguantare chi ne è in possesso? Intanto, se Codice Genesi, vi fosse sfuggito, cercatelo e recuperatelo.

Cammeo finale di Malcolm McDowell (non accreditato).

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di Stefano Falotico

 

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