Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche, recensione

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Ebbene, andiamo a ripescare una straordinaria pellicola, a molti oggi purtroppo misconosciuta, diretta da Ron Underwood, ovvero Scappo dalla città (City Slickers, in originale), a cui la distribuzione italiana della Penta Film affibbiò il curioso e spassoso sottotitolo La vita, l’amore e le vacche. Underwood, regista di genere e di robusto mestiere, come si suol dire, sapido artigiano però assai altalenante che, soprattutto negli anni novanta, comunque sia imbeccò due film meravigliosi. Cioè, il suddetto film qui, nelle prossime righe, da noi preso in questione e disaminato in forma stringatamente recensoria, Scappo dalla città, e quella perla di b movie esaltante che è Tremors.

Scappo dalla città, prodotto dalla Castle Rock Entertainment, è una strepitosa e geniale commedia brillante con venature addirittura di matrice vagamente western, uscita sui grandi schermi nel ‘91. In Italia non incassò tanto e fu, all’epoca della nostrana release, alquanto disdegnato dalla Critica, mentre negli Stati Uniti ricevette un’accoglienza di pubblico mastodontica e grandiosa, inaspettatamente superando di gran lunga ogni più rosea aspettativa, ricevendo lodi entusiastiche, piazzandosi addirittura al secondo posto del box office d’oltreoceano, subito dopo gli inarrivabili e stratosferici incassi di Terminator 2. Non male assolutamente per un film per cui, con ogni probabilità, secondo le intenzioni originarie, fu concepito per essere solamente una commedia, per l’appunto, scanzonata e leggerissima a base di puro entertainment senza troppe ambizioni artistiche e ideata a prescindere da qualsivoglia pretenziosità “seriosa”. Scritto dal duo formato da Lowell Ganz & Babaloo Mandel, Scappo dalla città dura un’ora e cinquantatré minuti e a tutt’oggi, come facilmente presumibile, per via del fatto che il suo valore s’è perfino accresciuto negli anni, su Metascore, può vantare l’assai lodevole e lusinghiera media recensoria del 70% di opinioni largamente positive. Scappo dalla città, malgrado qualche inopportuna caduta nel pecoreccio e nella comicità di grana grossa in alcuni punti, soprattutto nella parte centrale, è un film garbato e girato da Underwood con brio arguto, con piglio registico sobriamente pregiato, con ferma mano illuminata da grazia e delicatissima levità profumata d’intelligenza divertente delle più mirabili e gustose. Non pensiate che lo stiamo oltremodo sopravvalutando o eccessivamente magnificando, Scappo dalla città è veramente un ottimo film che, evidenziamolo, molti critici italiani dovrebbero quanto prima rivalutare alla grande. Questa la sua scorrevolissima trama scoppiettante e ricolma di colpi di scena farsescamente eccellenti: tre scalcagnati e un po’ sfigati amici depressi cronici, trovandosi nel bel mezzo, potremmo dire, d’una irrisolvibile e triste crisi di mezz’età inesorabile e sempre più incalzantemente incipiente, i quali rispondono ai nomi di Mitch (Billy Crystal), Phil (Daniel Stern) e Ed (il compianto Bruno Kirby), straziati e afflitti, angosciati e martoriati dalle loro rispettive mogli rompiballe, le stanno utopisticamente tentando tutte pur di ritrovare la felicità perduta d’una oramai lontana e rimpianta loro giovinezza inevitabilmente tramontata e inattingibile. Al che, dopo essersi avventurati spericolatamente lungo le frenetiche e pericolosissime strade di Pamplona, cimentandosi assai rischiosamente nella corsa del celeberrimo avvenimento della rutilante festa di San Firmino, e sperimentando dunque il brivido di poter essere scornati da dei tori scatenati, optano per una vacanza distensiva e scacciapensieri. Scegliendo come meta incarnante la ricerca del loro tempo perduto, non più come una volta spensierato, il nuovo Messico. Improvvisandosi capi mandria di mucche in transumanza. Guidati dal burbero, vecchiaccio e irascibile, ambiguo e pittoresco, intransigente e severissimo, temibile Curly (Jack Palance) i nostri tre amigos riusciranno nell’ardua impresa di compiere la loro mission?

Inoltre, Mitch stringe un’amicizia molto romantica con una donna incontrata lungo il picaresco tragitto, ovvero la sensuale e affascinante, dolcissima Bonnie Rayburn (Helen Slater, qui sexy al massimo).

Billy Crystal ricevette la nomination ai Golden Globe mentre Jack Palance vinse l’Oscar come miglior attore non protagonista. Fotografia di Dean Semler (Balla coi lupi, Apocalypto), musiche di Marc Shaiman (Insonnia d’amore). Nel film, è presente anche un Jake Gyllenhaal giovanissimo alla sua prima apparizione.

Dunque, a proposito del titolo appena messovi fra parentesi. Come si suol dire, appunto, fra parentesi diciamo…

Ah, insonnia d’amore. Poveri cazzoni e finti stalloni… se, durante le vostre notti in bianco in cui contate le pecorine, no, il vostro essere dei pecoroni, no, le smarrite pecorelle, non prendeste sonno, ci sono io ad allettarvi con le mie micidiali puttanate godibilissime. Come la sottostante a seguire, seguitemi, cavalchiamo!

Film da rivedere sempre, con un Crystal eccezionale, un Jack Palance autoironico oltre ogni dire e una Helen Slater, qui, quasi più figa di Priscilla Ricart. Priscilla è castana ed è a mio avviso la donna più bella del mondo. Se non la conoscete, non rompetemi i coglioni. Amerei che mi cavalcasse a briglia sciolta. Ho detto tutto.

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di Stefano Falotico

 

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