PEOPLE I KNOW, recensione

Datemi una Leoni con la pelliccia di leone, no, leopardata e un amico del giaguaro come Ryan. Sarà dura non avercelo duro con Kim Basinger. Una notte da lupo, da Pacino che vi guarda in cagnesco e sempre si salva la pellaccia in modo volpesco. Ah ah.People I Know

Ebbene, oggi recensiamo un film molto sofisticato ed elegante che, ahinoi, all’epoca della sua uscita nelle sale fu quasi del tutto snobbato, a nostro avviso ingiustamente, ovvero People I Know.

People I Know è firmato da Daniel Algrant (Sex and the City). Regista assai interessante, classe ‘59, inspiegabilmente poi smarritosi e forse dalla stessa Hollywood dimenticato immantinente in modo inconcepibilmente indecente. People I Know, sceneggiato totalmente da Jon Robin Baitz, è un inquietante e cupo thriller, potremmo dire, intimistico e melodrammatico della forte, incalzante durata di un’ora e quaranta minuti che può fregiarsi di tetre, ammalianti atmosfere newyorkesi bilanciatamente fotografate egregiamente dal maestro delle luci lynchiane per antonomasia, vale a dire lo strepitoso Peter Deming (Strade perduteMulholland DriveQuella casa nel bosco). Il quale, ancora una volta e non smentendo la sua fama di cinematographer mago dei traslucidi giochi lucenti di cui ammanta le sue ipnotiche immagini, spesso opalescenti, ci regala perle di bravura ineccepibili. Giostrandosi fra chiaroscuri di frame perfettamente intonati all’ambientazione mortifera della vicenda narratavi e, sottostante, anzi prestamente qui da noi sintetizzatavi lapidariamente e seccamente: l’attempato Eli Wurman (un Al Pacino magnetico anche se sovente troppo gigione), scafato addetto alle pubbliche relazioni di VIP e uomini e donne più o meno importanti del jet set della Grande Mela, assiste suo malgrado a uno scabroso omicidio che potrebbe seriamente compromettere la sua già pericolante e tramontante carriera oramai agli sgoccioli. Al che, il nostro Wurman intraprenderà una guerra soprattutto nei riguardi dei suoi fragili nervi per non crollare a pezzi in modo autodistruttivo, avvinghiato com’è, inarrestabilmente e specialmente impotentemente, dentro il circolo vizioso allarmante e infernale d’un nero, scioccante kafkiano incubo a occhi aperti, scivolando di conseguenza e inesorabilmente nella notte più buia del suo decadentismo a sua volta incarnatosi nella pallidezza ombrosa d’una giungla metropolitana assai pericolosa e tenebrosa.

People I Know non è un film eccezionale, è un film che fu datato già nell’anno della sua release, cioè il 2002. Volendo, difatti, imitare fuori tempo massimo il Cinema à la Pakula dei tempi d’oro in modo per l’appunto troppo emulativo e anacronistico. Altresì, è ricolmo di fascino e si avvale di un cast di prim’ordine e tutto rispetto ove, oltre a un Pacino che consuetamente giganteggia anche quando sta muto, svetta la bellezza stupendamente sciupata d’una Kim Basinger d’annata, nel quale ritroviamo con piacere il grande e quasi sempre sottovalutato Ryan O’Neal (Love StoryBarry Lindon) e una torbida, affascinante Téa Leoni (The Family Man) in un ruolo ingrato eppur molto sensuale.

Daniel Algrant si destreggia con sapiente e sapido mestiere robusto, regalandoci un film, come detto, in più punti imperfetto e perfino ingarbugliato, talvolta poco appassionante e dal ritmo blando, però al contempo godibilmente demodé ed estremamente morboso.

Musiche di certo non indimenticabili ma ben orchestrate di Terence Blanchard (La 25ª ora).

Per gli amanti delle analogie speculari di natura attoriale, diciamo, il Wurman di Pacino è da raffrontare al suo perturbato detective Will Dormer d’Insomnia, uscito nello stesso anno di questo People I Know.

Non poche infatti sono le similitudini riscontrabili in questi due personaggi incarnati dal mitico Al.

Io vidi questo film all’ex multisala Star City di Rastignano, in provincia di Bologna. Ovviamente, nel lontano 2002. Io ricordo tutti, fratelli, io vedo tutto e segretamente i miei misteri sono chiusi in me.

Siete voi quelli smemorati e non sapete nemmeno oculatamente celare i vostro scheletri nell’armadio.

Ma io so che, nelle vostre case, non vi sono soltanto armadi da Leatherface di Non aprite quella porta, ci sono anche molti sogni nel cassetto che non avete il coraggio di aprire e scoprire. Nei miei cassetti, a volte trovo addirittura vecchie musicassette che dovrebbero stare invece sugli scaffali e sulle mensole, e rinvengo persino paia di mutande di qualche vostra donna del cazzo.

E che ci fanno nei miei cassetti? Non lo so. Chiedetelo ai mariti cornuti. Ah ah.people know pacino locandina

di Stefano Falotico

 

 

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