LA PREDA PERFETTA, recensione

preda perfetta poster

Ebbene, recensendo per l’occasione La preda perfetta, oggi c’addentriamo in un purissimo, osiamo dire, adamantino territorio noir vividamente emanante torbide atmosfere poliziesche delle più fascinosamente sordide, ricordanti le migliori pellicole, dalle atmosfere cineree e plumbee, con protagonista l’emblematico e iconico detective Philip Marlowe. Che, non a caso, viene puntualmente citato, soprattutto nell’incipit di tale bellissimo e, ahinoi, sottovalutato La preda perfetta, svariate volte nel suo ammaliante e al contempo incalzante procedere avvincente. A sua volta, fortemente echeggiante, giustappunto, i libri nati dalla penna del creatore stesso di Marlowe, ovvero il leggendario scrittore Raymond Chandler. Specializzato in storie grandemente hard boiled. Peraltro, per strane fatalità e inevitabili percorsi di carriera attoriale, sarà proprio il protagonista, meraviglioso e perfettamente in parte, di tale superbo La preda perfetta, vale a dire lo straordinariamente indiscutibile Liam Neeson, a interpretare per il grande schermo nientepopodimeno che Marlowe in un’imminente, omonima pellicola firmata da Neil Jordan (Intervista col vampiro) su sceneggiatura del premio Oscar William Monahan (The Departed). Neeson, il quale rincontrerà Jordan a distanza di molti anni da Michael Collins.

Tornando invece a La preda perfetta, è un film di poco meno di due ore, potenti ed emozionalmente taglienti, abrasivamente coinvolgenti, diretto da Scott Frank, writer di Out of SightLogan – The Wolverine e La regina degli scacchi. Il quale qui sceneggia da sé, per meglio dire adatta, il romanzo A Walk Among the Tombstones (che, infatti, è il titolo originale de La preda perfetta) di Lawrence Block, da noi edito col nome Un’altra notte a Brooklyn. Donandogli ritmo e notevole compattezza visiva.

Trama: Matt Scudder (Neeson) è ora un investigatore privato senza licenza, ex alcolista ed ex poliziotto auto-ritiratosi dopo aver accidentalmente ucciso una bambina durante uno scontro a fuoco in cui però ammazzò dei malviventi. Per il suo prode gesto fu perfino medagliato ma preferì, per l’appunto, chiudere con la polizia, rodendosi del complesso di colpa, giammai sanato, d’aver ammazzato un’innocente.

Questo triste evento avvenne nell’anno 1991. Nel ‘98, invece, Scudder è, come detto, un uomo à la Marlowe che viene intimato dallo strampalato e disastrato Peter Kristo (Boyd Holbrook, visto poi assieme a Neeson nell’altrettanto eccellente Run All Night) d’incontrare il suo ricco fratello, Kenny (Dan Stevens), narcotrafficante. Il quale, malgrado le iniziali titubanze di Scudder, incarica quest’ultimo di rintracciare, acciuffare e identificare i rapitori aguzzini della bella sua consorte. I quali, malgrado il riscatto elargito loro da Kenny, hanno barbaramente, egualmente trucidato la donna. Tradendo dunque gli accordi, eppur incassando il lauto bottino, dileguandosi nel buio vigliaccamente. Al che, la vicenda s’ingarbuglia, il custode del cimitero cela oscuri, macabri e tetri segreti pericolosi e una nuova, giovanissima vittima è stata presa in ostaggio, con intenti naturalmente malvagi e possibilmente omicidi, ancora una volta dai malavitosi assassini poc’anzi menzionativi.

Ottima fotografia spettrale di Mihai Malaimare Jr., una regia senza fronzoli forse con qualche ralenti di troppo che enfatizza, in modo superfluo, alcune scene che con ogni probabilità sarebbero dovute essere girate senza riprese effettistiche e vagamente estetizzanti, cioè in funzione meno accessoria di quella che resta, comunque, un’efficacissima messa in scena che, perlomeno fino agli ultimi quindici minuti, regge alla grandissima. Peccato, purtroppo dobbiamo sottolinearlo, per il finale molto raffazzonato, stilisticamente assai hollywoodiano e retorico in senso negativo, in cui abbondano truculenze da mattatoio che, per quanto si rivelino sanguinosamente d’impatto, sono manieristicamente violente e stonano decisamente col clima bilanciatamente sobrio di quanto prima mostratoci da Frank con impeccabilità senz’alcuna sbavatura né minima caduta di tono.

Uno dei cattivi, Ray, è interpretato da David Harbour. Eh già, colui che pochissimo tempo dopo avrebbe incarnato un personaggio totalmente agli antipodi, l’oramai mitico sceriffo Jim Hooper di Stranger Things.

In conclusione:

Un grande film con un finale però alquanto deludente. Un Neeson strepitoso, uno Scott Frank che, in cabina di regia, se la cava egregiamente. Ah, Dan Stevens assomiglia a Milo Ventimiglia ma non è lui. Io, invece, sono davvero un investigatore privato. Sì, della mia anima cimiteriale eppur vivissima. Ah ah. Rapii il mio cuore per indagarvi.

di Stefano Falotico

 

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