WINDTALKERS, recensione

Windtalkers poster CageEbbene, per i nostri Racconti di Cinema, vi parliamo di un grande film purtroppo all’epoca assai sottovalutato e dai più snobbato, perfino dal sottoscritto che, francamente, non poco lo trascurò e, giustappunto, lo prese sotto gamba. Ovvero, Windtalkers.

Firmato dal grande John Woo. Windtalkers, uscito nei cinema mondiali nel 2002, pellicola della durata corposa di due ore e quattordici minuti, tratta da una sceneggiatura originale realizzata dalla premiata ditta John Rice & Joe Batteer, già autori di Una bionda sotto scorta e, fra gli altri, di Blown Away – Follia esplosiva.

John Woo, stimatissimo e avanguardistico regista cinese, classe ‘46. Il quale, dopo essersi straordinariamente affermato in terra natia, sì, nella sua natale patria che ne decretò immediatamente le abilità action veramente rivoluzionarie, in virtù di film strepitosi quali, per esempio, The Killer e A Better Tomorrow, dopo essere approdato ad Hollywood con risultati altrettanto eccelsi, lodati e ragguardevoli, dirigendo opere di valore come Senza tregua con Jean-Claude Van Damme, Mission: Impossible II con Tom Cruise, Nome in codice: Broken Arrow con John Travolta e soprattutto lo splendido Face/Off, sempre con l’appena citato Travolta e Nicolas Cage, ecco che ritrovò quest’ultimo, cioè Nic Cage, ovviamente, per tale avvincente e avventuroso dramma bellico spettacolare ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale.

Purtroppo, a differenza di Face/Off, che riscosse grandi incassi e ottenne immediatamente voti lusinghieri da parte dell’intellighenzia critica, d’oltreoceano e non, Windtalkers si rivelò un mezzo flop sia al boxoffice che a livello recensorio. Tant’è che Woo, già pronto a iniziare le riprese d’un nuovissimo film, preventivamente messo in cantiere, vale a dire un western nuovamente con Cage e il suo orientale attore feticcio, Chow Yun-Fat, dovette abbandonarne presto la realizzazione poiché, per l’appunto, in seguito al semi-fallimento di Windtalkers, la major a cui propose l’opus successiva, avente per protagonisti gli appena menzionativi Cage e Yun-Fat, si ritirò dal finanziarla. Non più convinta della forza al botteghino di Woo stesso. Che, sino a questo momento, aveva sempre sbancato e fatto centro, economicamente e qualitativamente parlando. Ci riferiamo, in tal caso, all’annunciato e, per l’appunto, poi sospeso e finanziariamente boicottato Men of Destiny.

Oggi come oggi, Windtalkers, ahinoi, film tuttora e ingiustamente misconosciuto presso le più giovani generazioni attuali, riscontra una media critica piuttosto bassina, perlomeno insoddisfacente, su metacritic.com. E, su larga scala, da buona parte di molti miopi critici, piuttosto sbadati e ingrati, i quali erroneamente non hanno più rivisto le loro retrograde, mai rivedute, secche e dure opinioni a riguardo, è tenuto poco in considerazione.

Esplicheremo e diremo, più avanti, brevemente la nostra opinione in merito, enunciandone i suoi pregi che marcatamente evidenzieremo, a tutt’oggi nascosti e quanto prima da rivalutare e da rimettere in luce.

Ora, accenniamone la trama, riassumendola a grandi linee, speriamo comunque esaustive:

Ben Yahzee (Adam Beach) viene assegnato a un corpo speciale di marines, capitanati o, per meglio dire, alle direttive dell’arrugginito eppur sempre agguerrito sergente Joe Enders (Nicolas Cage), in quanto, essendo un Navajo, è in grado di decifrare i codici “criptati” dei nemici. Cosicché, grazie alle sue importantissime confidenze, può notevolmente aiutare gli statunitensi ad anticipare le mosse del nemico.

Bella galleria di personaggi di contorno fra cui quelli incarnati da Mark Ruffalo, Peter Stormare, Jason Isaacs e Christian Slater, che coloriscono e condiscono una pittoresca e perfino lacrimosa, furente e visionaria storia che, in alcuni frangenti, può addirittura avvicinarsi a I cannoni di Navarone.

John Woo abbandona parzialmente, per tale suo Windtalkers, il suo consueto marchio di fabbrica, diciamo, e la sua cifra stilistica a base di coreografie e piroette marziali che hanno contribuito a renderlo celebre. Anche perché l’ambientazione del film, la tematica in essa sviluppata e quant’altro poco s’addicono a una scelta di questo tipo. Non rinunciando però alla sua poetica, incentrata sulla dualità ambigua fra bene e male, imperniata quasi esclusivamente sull’amicizia virile e la complicità consequenzialmente amicale che s’instaura fra due uomini apparentemente, caratterialmente agli antipodi, anche per via naturalmente delle loro diverse origini e delle inevitabili differenze culturali e socio-formative, figlie di background sideralmente distanti, almeno a prima vista…

Woo adotta uno stile filmico molto classico e perfino compassato, lirico in molti segmenti addirittura contemplativi che, di primo acchito, poco parrebbero centrare con un film di questo genere. Cioè a sfondo militaresco. Sfoderando poi la sua classe cineastica veramente pregiata in perle degne di nota quali le sue riprese dapprima frenetiche e poi pregne di ralenti sorprendenti nei momenti di massima concitazione degli scontri a fuoco più dinamitardi. Alternando l’adrenalina efficacissima, effusaci grazie allo scoppiettare bombardante del ritmo convulso, con attimi di pathos struggenti e perfettamente calibrati, innervati di profondo lirismo toccante.

Spezzettando la narrazione, dunque, fra segmenti volutamente lenti e/o lisergici e altri in linea con un’estetica da blockbuster hollywoodiano dei primissimi anni duemila, memori dei nineties, girato però con stile personalissimo che ha poco a che vedere con le pedestri, insulse accozzaglie dei cosiddetti shooter maldestri purtroppo odierni.

Musiche di James Horner. Fotografia di Jeffrey L. Kimball.

Nel cast, come detto, eterogeneo e internazionale, anche Noah Emmerich e Frances O’Connor.

Fra tutti i film di John Woo, realizzati soprattutto in terra statunitense, questo è il meno citato e considerato perfino dai suoi più sfegatati aficionado. Peccato, si sbagliano.

di Stefano Falotico

 

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