CUORE SELVAGGIO (Wild at Heart), recensione

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Ebbene, per i nostri racconti di Cinema, oggi recensiamo Cuore selvaggio (Wild at Heart), celeberrima pellicola insignita della Palma d’oro al Festival di Cannes del 1990, assegnatale da un entusiasta presidente di giuria, Bernardo Bertolucci, che ne rimase ipnotizzato e magicamente incantato.

Cuore selvaggio, opus firmato da David Lynch (Velluto blu, Inland Empire), tanto celebrato quanto a tutt’oggi apertamente contestato, perlomeno controverso e non appieno giudicato un capolavoro in modo unanime. Infatti, a dispetto del massimo riconoscimento succitato, ricevuto per l’appunto alla manifestazione e kermesse cannense poc’anzi nominatavi, ancor adesso suscita spaccature presso l’intellighenzia critica, indecisa se decretarne definitivamente la consacrazione nell’empireo delle massime opere di Lynch, qualitativamente indiscutibili e rinomatamente altissime, o collocarlo, con toni più moderati, fra i lavori di Lynch certamente affascinanti, mirabolanti e visionariamente eccelsi eppur non del tutto esenti da talune sbavature ed eccessi eccentrici probabilmente troppo disomogenei che lo rendono, dunque, non compiuto completamente.

Cuore selvaggio, da non confondere ovviamente con l’altrettanto famosa ed omonima, messicana telenovela che per anni ha imperversato sui piccoli schermi di tutto il mondo, interpretata dal mitico, per modo di dire, Eduardo Palomo.

Cuore selvaggio, film della durata di due ore e quattro minuti netti, sceneggiato interamente dallo stesso Lynch che, basandosi sull’omonima novella dello scrittore Barry Gifford, ne ha tratto il suo personale adattamento, visualizzandolo e filmandolo, ça va sans dire, col suo inimitabile stile, giustappunto filmico e immaginifico, rendendo Cuore selvaggio una propria indissolubile creatura e, potremmo dire in senso metaforico, una cinematografica partitura toutcourt e, sotto ogni punto di vista, perfettamente agganciata alla sua poetica unica.

Per chi non ha ancora mai visto Cuore selvaggio, per non sciupargli le mille e più sorprese in cui s’imbatterà in tale torbido racconto sognante, iper-romantico, allucinato e stravagante, strabiliante e perfino macabro e grottescamente granguignolesco, fotografato con toni saturi e assai colorati, atmosfericamente variopinti, addirittura pindarici, dal solito ispirato Frederick Elmes (Eraserhead), eccone a brevissime linee la trama:

Il mattoide, scapestrato, scalmanato e incontenibile Sailor Ripley (Nicolas Cage) e la sua inseparabile, amatissima donna Lula (Laura Dern) desiderano immensamente vivere tutta la vita assieme. Lui però viene incarcerato in quanto, per legittima difesa, ha ucciso un uomo in preda a un raptus immoderato di follia omicida forse involontaria. Malgrado ciò, eludendo la libertà vigilata, fugge insieme a Lula lungo le contorte e pericolose highway californiane in cerca d’una meta idilliaca ove sia lui che Lula possano finalmente, liberi da tutti, sigillare la loro passione sconfinata.

Nel loro sogno e nel loro impetuoso cammino esistenzialmente ricolmo d’ardore e furente amore infermabile, vengono però intralciati dalla madre di lei, la dispotica e psicotica, decisamente folle, Marietta Fortune (Diane Ladd, la vera madre di Laura Dern anche nella vita reale). La quale, per rintracciarli e compiere la loro cattura, assolda sia un ferreo investigatore privato, ovvero nientepopodimeno che suo marito Johnnie Farragut (Harry Dean Stanton), che il suo losco amante Marcelles Santos (J.E. Freeman).

Nel frattempo, Sailor & Lula fanno la conoscenza assai ambigua del luciferino e torvo Bobby Peru (Willem Dafoe).

Cast ricchissimo in cui compaiono anche Sherylin Fenn e Sheryl Lee (vale a dire Audrey Horne e soprattutto Laura Palmer del lynchiano, pletorico dirlo eppur necessario evidenziarlo in maniera inevitabile, Twin Peaks), Isabella Rossellini, Crispin Glover, Grace Zabriskie e Pruitt Taylor Vince.

Cuore selvaggio, che omaggia Il mago di Oz e, a suo modo, n’è una sua versione sui generis, sebbene non dichiaratamente esplicitata, che presenta in colonna sonora la soavemente ipnotica Wicked Game di Chris Isaak e si conclude con Love Me Tender di Elvis Presley, “coverizzata” dallo stesso Nic Cage, performer peraltro di tutte le canzoni che canta nel film, è indubbiamente un film straordinario e dai notevoli pregi, trascinante e ammaliante, mozzafiato visivamente in maniera evidente.

Detto però ciò, siamo convinti che in effetti in molti punti pecchi di alcuni manierismi di matrice arty che da Lynch non ci saremmo aspettati e che la rendono, obiettivamente, al di là della grandezza incontestabile del nostro adorato Lynch intoccabile, un’opera, sì, bella e godibilmente balzana, di primaria importanza oramai epocale, eppur al contempo ricolma di stramberie forse superflue e un po’ indigeste. Quasi stucchevoli.

In conclusione, col seno, no, col senno di poi:

Capolavoro assoluto, opera sopravvalutata, film irrimediabilmente sbilanciato in molte sue parti? Con un Nic Cage troppo caricato nella sua recitazione esasperata o Laura Dern, qui, è una figona esagerata? Ai suoi posteriori, no, ai posteri la durissima sentenza.

di Stefano Falotico

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