ASSASSINIO SUL NILO (Death on the Nile), recensione

Emma Mackey Nilo death nile branagh

Ebbene, stavolta, libero da legami editoriali, tralasciando il bon ton e il politically correct, spero di potermi sbizzarrire, in tale review alla Falotico purissimo, senz’orpelli e regole redazionali, giornalistiche e via dicendo, nella mia disamina di tale opera di Kenneth Branagh, a mio avviso immensamente sottovalutata, incompresa e, secondo me, ribadisco, straordinaria. Dopo avermi già ammaliato, incantato e fortemente intrattenuto col suo sperimentale, innovativo, postmodernista Assassinio sull’Orient Express, dopo Dave Gahan a colonna sonora d’un trailer eccezionale, coraggioso e fuori da ogni vetusto canone oramai appartenente a un fin troppo classico e vecchiotto passato superato, ecco che la quintessenza del Bardo da lui molto amato, mr. Shakespeare per antonomasia dopo Laurence Olivier, Ian McKellen e Orson Welles, cioè Kenneth Branagh, presente anche nel primo “film-documentaristico” di Al Pacino (un altro gigione splendido di William Shakespeare, uno dei pochissimi italoamericani a conoscere l’autore de Il mercante di Venezia meglio del suo Shylock, eh eh, per la regia di Michael Radford, ovvero il regista-interprete di Riccardo III – Un uomo, un reLooking for Richard), cioè nientepopodimeno che il sig. e sir interprete e director del suo stupendo, integrale Hamlet, ritorna sul luogo del delitto, no, in territorio Agatha Christie, sostenendo quanto segue nelle sue recenti interviste:

1) «Si tratta di un tipo di film molto cupo, sensuale e inquietante. Di certo è un film che porta avanti il tema del viaggio, che ci conduce in luoghi differenti, grandi ed emozionanti. Tuttavia la storia metterà a disagio in modi che la gente capirà, perché tratta amore, possesso, lussuria, gelosia ed emozioni primordiali che si mettono in mezzo tra le persone».

2) «Penso che ci siano ottime possibilità di farlo. Con decine di libri e racconti, c’è molto materiale e lei stessa ha mescolato spesso i suoi personaggi. Si ha la sensazione di un vero e proprio universo, un po’ come quello di Dickens. Un mondo nel quale vivono vari personaggi. Quindi credo che quest’ipotesi abbia delle possibilità».

Traendo le sottostanti frasi pronunciate da Branagh da Wikipedia che ha tradotto il suo inglese d.o.c., posso qui dire che spero vivamente che Branagh continui a incarnare il suo superbo Hercule Poirot.

Perché il suo Poirot non è Peter Ustinov e non vuole neppure esserlo o forse non esserlo in maniera amletica, ah ah. Cosicché, senza riferirvi la trama di Assassinio sul Nilo, ricalcata piuttosto fedelmente eppur con qualche inevitabile licenza dalla signora dei gialli per antonomasia, che ve lo ridico a fare, Agatha Christie, incorrendo in molti rimandi per via del Covid e del fattaccio scabroso accaduto ad Armie Hammer, alias Simon Doyle con tanto di fotografia di Patrick Doyle, allestendo perfino una storia alla Arhur Conan Doyle, sì, quello del mastino dei Baskerville, con aria ieratica, aplomb imperturbabile simile allo Sean Connery/Guglielmo da Baskerville de Il nome della Rosa di Annaud da Umberto Eco celeberrimo, Kenneth Branagh firma un capolavoro, checché ne dicano i suoi detrattori e buona parte della Critica imbecille e miope, prevenuta e testarda.

Un adattamento geniale di Michael Green a sua volta adattato dallo stesso Branagh al suo mimetismo cineastico e attoriale senza pari. Branagh, nei panni di Poirot, ci sguazza, giganteggia, emoziona e, in alcuni frangenti commoventi, ricorda anche Lino Banfi de Il commissario Lo Gatto. Perché piange in modo toccante eppur pudico, parimenti a Lino di fronte a Maurizio Micheli, quando confessa il dolore per la sua donna perduta alla base, potremmo dire, della sua (non) scelta di attorniarsi soltanto di libri e indagini, perfino di introspezioni alla sua anima e non soltanto riguardanti le sue detection fra i bui anfratti degli orrori umani che celano tanti scheletri nell’armadio.

Un uomo con un dono, come Matt Damon di Hereafter, adoratore di Charles Dickens, un uomo meraviglioso dai modo raffinati e il fiuto di un cane da tartufo. Magistrale in fatto di galanteria, osservatore speciale a cui non sfugge nulla.

E già dapprincipio, quando osserva Doyle/Hammer e la superba, incantevole Jacqueline de Bellefort/Emma Mackey che ballano come se stessero in pista praticamente scopando, comprende che Gal Gadot/Linnet Ridgeway-Doyle, per colpo di fulmine imponderabile, sì, si è alla sveltina, no, molto alla svelta innamorata davvero di lui ma lui sta invece già furbescamente danzando con lei non per far piangere la sua vera lei, bensì per essere l’Amedeo Minghi di Ballando con le stelle. Cioè, uno poco credibile con Samanta Togni.

Poirot/Branagh ha un solo vero amico, Tom Bateman/Bouc. Uno che crede davvero all’amore anche se la madre, interpretata da Annette Bening/Euphemia, cioè l’unica donna al mondo ad aver calmato Warren Beatty, sposandolo, cioè un uomo che ha trombato più donne in una sola notte di Ercole e ha fatto l’amore con donne più belle di Cleopatra, vuole proteggerlo dallo stesso dolore che ora prova Poirot.

Sì, perché il grande amore può donarti felicità enorme ma, se lo perdi, per un motivo o per l’altro, a prescindere dalla sua morte, forse solo per corna, puoi trasformarti in Paul Giamatti nel finale de La versione di Barney.

Gal Gadot veste come Cleopatra in questo film e sarà veramente presto Cleopatra. Russell Brand fa la parte del medico, incredibile! E, onestamente, Gal Gadot è una donna bellissima ma Emma Mackey è forse l’unica donna che riesce a essere, perlomeno in tale pellicola, più sexy di lei e di Samanta Togni.

Ed è più brava dell’attrice preferita da Branagh, cioè Judi Dench. Presente in Assassinio sull’Orient Express e, ovviamente, qui no, solo per motivi da elementare Watson.

Al che Poirot diviene Sherlock Holmes con l’animo puro di Nicholas Rowe di Piramide di paura e la potenza di Ramses II, il più grande faraone egizio di sempre.

Mario Puzo, autore de Il padrino, disse che De Niro, l’unico attore capace di essere grande come Marlon Brando e Don Vito Corleone, non sa recitare Shakespeare e non può fare la commedia.

In Frankenstein di Mary Shelley, prodotto da Francis Ford Coppola, Branagh scelse De Niro per essere suo figlio, la creatura. La sua nemesi.

Branagh, osteggiato da tutti, un uomo che non è figlio di un principe e che ha origini umili e “tristi”.

Che racconta la sua infanzia in Belfast. E ritorna a essere in pole position per l’Oscar. Un gigante!

Finisco così, con la classica mia freddura.

– Ciao, mamma, ti presento Stefano – dice un mio amico.

– Ah, piacere. Cosa fa nella vita? Usa straccio e ramazza? Ed è un coglione come tutti? – risponde e domanda lei.

– No, Stefano fa lo scrittore ed è il più grande scrittore del mondo – replica suo figlio.

– Ah, simpatico. A quando il Nobel? Ah ah! Comunque, presto sarà Pasqua. Dopo i pensierini di Natale di Stefanino, avremo una bella sorpresa nell’ovetto Kinder? Ah ah.

– Mamma, non sto scherzando. È veramente il più grande scrittore del mondo e ha ora la stessa forza fisica di De Niro in Frankenstein.

– Allora, è una tragedia.

– Purtroppo, sì. O forse no. Quando vuole, Stefano diventa Gary Odlman di Dracula di Bram Stoker:

Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti.

Morale: nessuno aveva voluto credermi ma sono Matthew McConaughey di Interstellar.

Vi è un mistero immane nella vita, si chiamano occhi. Da essi, capisci se una persona mente, se è triste o felice, se è innamorata o è spenta. E ora sentite i miei occhi? State sentendo questa forza, lo so.

Sono gli stessi occhi di Oldman/Vlad, sono gli stessi occhi di Branagh/Poirot in questo film bellissimo, romantico, sensazionale.

Poiché, così come disse Marlon Brando, non è tanto difficile, alla fin fine, imparare un lungo testo a memoria, il difficile è recitare con lo sguardo.

Dunque, se nella vita recitate, o siete Branagh, De Niro o Brando, oppure la vedo molto dura per voi.

Perché, in tre secondi netti, io ho capito tutto, guardandovi.

D’altronde, ho tanti difetti come tutti ma i miei occhi e la mia voce non si discutono.

Quasi capolavoro. Emozionante, qua e là volutamente sciatto ma ci sta. Branagh non vuole girare Arte. E la dovreste finire con questa parola che ficcate dappertutto a sproposito. Vuole intrattenerci, emozionarci, inquietarci e ipnotizzarci. E ci riesce perché è un genio. Se dite che non è così, forza, andate a pulire i piatti, piattole.

emma mackey assassinio nilo gadot assassinio nilo

di Stefano Falotico

 

 

Lascia un commento

Home Agatha Christie ASSASSINIO SUL NILO (Death on the Nile), recensione
credit