IL BACIO DELLA DONNA RAGNO, recensione

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Ebbene oggi, per i nostri racconti di Cinema, a distanza di circa una settimana dalla scomparsa e dipartita di William Hurt, deceduto, ahinoi, nel giorno del 13 Marzo scorso, disamineremo Il bacio della donna ragno. Film per il quale vinse meritatamente l’Oscar in virtù della sua splendida prova recitativa assai intensa e recitata magnificamente. Aggiudicandosi anche il prestigioso premio di miglior interprete maschile al Festival di Cannes. Sconfiggendo, fra gli altri, durante la Notte delle Stelle degli Academy Awards, i ben quotati e parimenti eccezionali Harrison Ford (alla sua prima, storica e stranamente unica nomination della sua stellare carriera) di Witness e il superbo Jack Nicholson de L’onore dei Prizzi. Agguantando inoltre, il primato, potremmo dire epocale e importante, di essere stato il primissimo attore nella storia del Cinema a vincere la succitata statuetta dorata, incarnando il personaggio d’un omosessuale.

Il bacio della donna ragno (Kiss of the Spider Woman) è una pellicola della durata di due ore nette, diretta dal compianto Héctor Babenco (Giocando nei campi del signore), sceneggiata da Leonard Schrader che adattò, molto liberamente, il romanzo omonimo di Manuel Puig, interpretato mirabilmente, come poc’anzi dettovi, da un Hurt ispiratissimo e da un altrettanto sorprendente Raúl Juliá, oltre che da una sensuale, conturbante e avvenente Sônia Braga. Quest’ultima campeggiante, stilizzata e misteriosamente fascinosa, nell’avvolgente poster internazionale a sua volta estremamente seducente e ammantato, diciamo, d’atmosfera caldamente onirica. Enunceremo per voi la trama, estrapolandola dal dizionario Morandini (a cui apporremo, fra parentesi, i nomi degli attori e una nostra precisa osservazione), in quanto, oltre che pertinente, nella sua secca sinteticità sibillina e nel suo corretto giudizio, brevissimo ma centrato appieno e corrispondente in toto con la nostra opinione a riguardo, condensa esattamente il senso dell’opus di Babenco, non sciupandovi, con spoiler inutili, le belle sorprese emozionanti e commoventi che, nell’arco della sua narrazione, sfaccettata e intrecciata meravigliosamente, incontrerete frequentemente, rimanendone estasiati e magnetizzati. Poiché Il bacio della donna ragno, pur essendo oramai un film dell’85, dunque di quasi quarant’anni fa, non è affatto datato, anzi, profuma d’estatica celluloide nostalgicamente stupenda e adamantina nella sua forma più nitida: «In un carcere brasiliano, Molina (Hurt), omosessuale condannato per corruzione di minorenne, è in cella con Valentin (Julia, così accreditato nei titoli di testa, come d’altronde anche la Braga, senza quindi accenti particolari), politico ribelle. Si vorrebbe usare il primo per avere informazioni dal secondo. Intanto gli racconta i film che hanno deliziato la sua giovinezza. Tra i due si produce uno scambio. Il lato debole del film è la visualizzazione dei racconti (con S. Braga); la sua forza nel rapporto tra i due personaggi, nel clima di morbida ambiguità che si crea tra loro, nella valentia dei due interpreti».

Discordiamo però col Morandini in merito al fatto che le suggestive digressioni in cui si visualizzano le scene dei film, in particolar modo di quello centrale, esposteci dal personaggio incarnato da Hurt e rivolte al suo compagno di cella, rappresentino una debolezza strutturale dell’opera da noi qui presa in questione e analisi. Sono invece soavemente delicate e volutamente naïf, cioè ricercatamente artificiose secondo l’accezione migliore. Incantate, deliziose e sanamente “ingenue”, assai poetiche e di finissimo gusto estetico e non solo. La Braga interpreta tre personaggi, Leni Lamaison, ovvero la diva à la Rita Hayworth del film immaginifico, forsanche immaginario, raccontatoci da Molina, Marta, l’amante perduta per sempre e soltanto poi vagheggiata (?) di Valentin, e la donna ragno del titolo. Che altri non è forse se non Marta stessa in versione filmica meta-cinematografica, fantasiosamente idealizzata.

Malgrado qualche eccesso didascalico nell’ultima mezz’ora e alcune forzate, però al contempo inevitabili prevedibilità nello snodarsi del rapporto empatico che pian piano s’innescherà fra Molina e Valentin per via delle loro amicali, intime confidenze personali che a loro volta genereranno nei loro cuori e nelle loro sensibili anime perfino qualcosa in più, Il bacio della donna ragno rimane a nostro avviso un capolavoro. Per certi versi, assai simile e analogamente speculare al celeberrimo La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen. Film che, per pura coincidenza, uscì nello stesso anno.

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di Stefano Falotico

 

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