“Inland Empire”, recensione

Holly-wood

Holly-wood
La zoccola!

La zoccola!

conigli poltriscono beati nella “valle” lacrimosa di Alice, “spogliati” belante e rea (non) confessa della vi(t)a armoniosa, illibata e gioconda…

Sono l’Altissimo Signore, fratelli della congrega qui a raccolta in fervido ammirarmi, ché le mire nostre scaglieremo avvelenate dinanzi agl’ignobili, assediando le loro dimore in detronizzante goderne da “folli”. Noi cantiamo al Mondo, oggi inibito e ubicato a loculo di quest’ideologico asservimento collettivo. Basta con gli schemi e i controlli! Ai colletti bianchi, preferiamo i bianchi denti del navigare coi cazzi per la testa, in burrasca, spodesteremo i falsi e li copriremo di fango. Obliteremo il biglietto di (non) ritorno!

Sì, voglio narrarvi io, come il cantore Omero, quest’Odissea di Lynch, paladino esemplare che tanto diletta le nostre mai ammainate notti. Non nasceremo a “voluttà” dei loro (s)fregi, siam baldanzosi in rose scevre d’ogni spina dalla doppia taglia. Arma radente delle loro ipocrisie sempre incurabilmente latenti. S’allatteranno a seni materni per crogiolarsi in “tranquillo” vivere ma, da tale quietezza mal celando la lor indole di macellai, soltanto geleranno i capricci veri e vogliosi, del quando la virilità era, in ere primitive appunto disinibite, ludico succhiare senz’attingere a trionfi vani su scopate arriviste, scappatelle ruffiane sui ricchi divani. Sgattaioliamo! Gatte morte!
Sputatemi e offendete la mia vanità, io del vostro salvadanaio non so che “sniffarmene”.
Avete la testa bacata, avvocati altolocati vi “bucate” in “aspirar” strisce che prima difendono i deboli e poi s’energizzano di coca liscia per “fendere” la carne di maiale strappante “dame” dietro scacchi “re(g)ali”. Ricotte! Che cotti!
No, io non cambio, persevero severissimamente nel sedere a spappolarvi il popò, oramai remoto da ogni “retta” (im)moralità da “bravi” papà.
Son il cervello che scandisce il valzer “equino” dell’ubiquità più ambigua, di coda caprina e fuggendo dalle forche caudine. Non ci friggerete! Azzanno di canini e, licantropo, mi sfamo appieno di Luna, fr’apnee lussuriose delle immaginazioni cristalline e placid’orizzonte dell’eter(e)o tramontante-salente-sol(f)eggiato nella riva marina. Ove raccoglierò le conchiglie, soffiandovi in beatitudine delle contemplazioni floride, limpidezza che nessuno scalfirà. Scalando la montagna dei deliri, sfiorai Dio, poi l’acciuffai come un delfino e ne ribaltai le regole castiganti, grottesche e bugiarde. Sono io di Delfi un Oracolo! Miracolati!
Così come il giusto estrae il pezzo di merda dal “cubo”… delle dissimulate vostre (a)sociali “benevolenze”. Maleditemi “volentieri”. Domani sarà in ieri, eroe di tal David contro le vostre golosità da Golia. Non illudetevi!
Solo chi ha valicato le pianure vostre del piattume, può risorgere nell’asciutta aurora. Libero in eclissi sobria, sottil’evocare i venti e squagliarli a brivid’incandescenti. Non v’è ridondanza nel mio stile ma volo pindarico come l’arcobaleno ch’acceca, non ved(r)ete ché, oscurati da troppi futili desideri, ottemperate alla tempra inutile del materialismo. Il nulla. In alto invece le nubi, le piogge che s’abbatteranno violente, irose sull’ardimentosa nostalgia del nostro struggimento. Rinforzati! Strusciamoci in scie a(l)te(r)e, incupiamoci nel buio dipinto di blu come i ne(r)i puri del pittarci di stranezza. D’estraniazione alienante, alleati delle luminescenti astrazioni e attorno a orbite atomiche, spaziali dentro la fantasia vivace, talora nervosa ma vivaddio briosa.
Sono io a voi il maestoso Maestro. Allevatore della perfezione e della minuziosità, vagabonderia in tal disumane loro piraterie. Eso(n)diamo, transumanza che cavalca via dalle vie del consumarvi. A bordo della nostra nave, miei prodi c’aspettano albe del virar stellari. Planetario sorvolare ogni schema mentale, non c’imbottiglierete e sarete voi a esser imbottiti di farmaci. Alle teorie castranti del maniaco sessuale Freud, preferiamo il culo di Paula Patton, mulatta calda, dai tacchi a spillo in raddrizzarci con inculate solo fraterne tr’amanti e questa concubina anche sognata, fottuta, immortalata in prepuzi aizzanti del viverla visceralmente. Che figa! Orsù, c’assaliscono le sue cosce, che velluto marmoreo dell’imbrunito colorito “sporco” dai capezzoli lattiginosi, iceberg delle esplosive vette “marsupiali” nel suggere quel frutto d’amore glorificante. Non possiamo (r)esisterle. Che ci spos(s)asse.
Ma sì, che importanza hanno oramai le recensioni quando le nostre acute mani protendono a tenderlo? Quando abbiamo distrutto ogni resistenza al pudore pub(bl)ico e siamo nudi come Paula c’ha creato?
Siamo cuori selvaggi e, dopo la nera ciliegina arrossente sulla torta eburnea, ecco che un omonima, Laura Dern,rammemoro. Bionda da “burro”.
Pochi invero ne son innamorati. Bellezza atipica, magrolina e fors’anche frigida. Ma siamo o non siamo dei “conigli?”. E allora diamoci!
L’esistenza è finzione, messa in scena pagliaccesca. Dunque, perché arrenderci a quel che tutti percepiscono? Ché poi manco capiranno o a stento “remeranno” per inanellarsi, come il gregge grigio, di l()iane aggroviglianti, non aneleremo a ciambelline alla marinara da borghesi sciroccati! Che sciocchezza “vivente”.
Noi non adempiamo da un lustro a questo lor finto lustrarsi.
Attricetta, troietta, che cazzo sogni? Il mio? E allora pigliatelo. Ma dovrai scendere nel labirinto, oh mia monellina. Sono un bricconcello e dovrai guadagnarti la pagnotta del pen mio “infornato” di Night. Solo dopo mille peripezie, cara zietta… potrai gustare la mia saletta.
I sali della discesa, dell’ascender tuo di coscienza, deformarti, basta con le “uniformi”.
Sei “topa” di formaggio? Nooo! Non stirare, tiracelo!

Siam qui, a guardar la televisione. Siamo sintonizzati su “Playboy Late Night Show”.
Accomodati, ecco la festa!

 

(Stefano Falotico)

 

Ahhh!

Ahhh!

 

Donne mie, la più bella di rame nel reame

Donne mie, la più bella di rame nel reame

 

 

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