Gli SPIRITI dell’ISOLA (The Banshees of Inisherin), recensione

Ebbene oggi recensiamo l’acclamato Gli spiriti dell’isola, il cui titolo originale è l’impronunciabile e ben più ermetico, forse evocativo, The Banshees of Inisherin.Colin Farrell spiriti isola

Opus diretto e interamente scritto, a partire da un proprio soggetto e sceneggiatura originali, così come sempre accaduto sinora, dal sempre più valente e sorprendente Martin McDonagh (Tre manifesti a Ebbing, Missouri), qui alla sua quarta e incensata incursione dietro la macchina da presa.

Presentato con successo e, fin da subito, ottenente strepitose recensioni altamente lusinghiere alla 79.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Gli spiriti dell’isola, dopo aver fatto sfracelli alla recentissima edizione dei Golden Globes, s’è aggiudicato meritatamente ben nove candidature agli Oscar assai pregiate, ottenendo peraltro le maggiori nominations per quanto concerne le categorie maggiori, ovverosia Miglior Film, Migliore Regia, Miglior Attore Protagonista e non e, giustappunto, best original screenplay. Entrando oramai di diritto, a ragion veduta, fra le pellicole più ammirate e lodate della stagione 2022.

Film della consistente eppur perennemente avvincente e scoppiettante durata di centoquattordici minuti netti e decisamente corposi, oltreché narrativamente succulenti, Gli spiriti dell’isola è una squisita e assai gustosa, imperdibile pietanza cinematografica veramente d’annata da leccarsi i baffi. McDonagh ivi ritrova Colin Farrell, a cui affida il ruolo principale, dopo le altrettanto antecedenti collaborazioni avvenute con In Bruges – La coscienza dell’assassino & 7 psicopatici, instaurando inoltre un’altra reunion di valore rilevante con Brendan Gleeson, a sua volta co-protagonista con lo stesso Farrell della seconda e succitata prova cineastica di tale director oramai inarrestabilmente e indiscutibilmente ascendente fra i più interessanti e attualmente imprescindibili in circolazione.

Trama, da noi enunciatavi in poche righe sintetiche per non sciuparvene le sorprese:

La vicenda è ambientata nell’anno 1923. Sta terminando la tribolata e tormentosa Guerra civile irlandese e tale conflitto, con tutta probabilità, deve aver turbato e scosso emotivamente, forse inconsciamente, soprattutto gli innocenti. Nella fattispecie, i marini abitanti della pittoresca e ancestrale, fittizia isola denominata Inisherin. Ove vivono due amici di lunga data ma dalla differente età anagrafica, rispettivamente il mandriano sempliciotto e di umili origini Pádraic Súilleabháin (Colin Farrell) e il navigato, scafato e irrequieto, burbero e non poco irascibile violinista Colm Doherty (Brendan Gleeson). Il loro, apparentemente collaudato e indistruttibile, amicale legame indissolubile viene improvvisamente rotto dall’inaspettata, per Pádraic scioccante, decisione repentina e irrazionale, da parte d’un irremovibile Colm, di troncare di punto in bianco il loro rapporto. Dal giorno alla notte, infatti, senza motivazioni precise, senz’alcuna precedente avvisaglia che potesse anticipare la decisione dettavi e fulminea, oltre che fulminante l’anima di Pádraic, Colm non vuole più rivolgere la parola a Pádraic, senza fornirne spiegazioni dettagliate e in merito plausibili. Semplicemente, per ragioni oscure, del tutto ignote e non chiaramente espressegli, Colm non desidera più la compagnia del suo ex amico. Schivandolo e perfino schifandolo.

Pádraic n’è sconvolto e visibilmente ferito, costernato oltremodo. Non capacitandosi di tale affronto ingiustificato, non riuscendo a rassegnarsene, vanamente ma disperatamente tenta in ogni modo di cercar di comprendere per quale assurdo moto del cuore e per quali imperscrutabili, valide spiegazioni, il suo insospettabile amico, immantinente, l’abbia drasticamente allontanato dalla sua vita in modo tanto celere quanto doloroso e glaciale. In una parola, mortificante. Distrutto, in preda allo sconforto più nero, in stato confusionale, coinvolgerà addirittura sua sorella Siobhán e, statene pur sicuri, ne succederanno delle belle. Forse assisteremo a dita mozzate e ad autodistruttive mutilazioni figlie d’una pazzia crescente e smodata veramente allarmante psicologicamente?

Spiazzante, alternante toni esilaranti e farseschi da tipica commedia brillante, così come si diceva una volta, a toni ampiamenti drammatici, financo tragici e pregni di dark humor grondanti pungente ironia sarcastica, fotografato splendidamente da Ben Davis e perfettamente montato da Mikkel E. G. Nielsen, Gli spiriti dell’isola è un egregio sig. film inattaccabile sotto ogni punto di vista e perciò ampiamente lodabile così come infatti, fortunatamente, avvenuto.

Farrell, in uno dei suoi più sfaccettati e maturi ruoli di sempre, incarna, con fragilità dolente e sofferta aderenza al ruolo addosso cucitogli, il character descrittovi, imprimendovi una profondità mirabile, non da meno, naturalmente, gli è un impareggiabile Gleeson in formissima e inquietante come non mai. Parimenti, i pochi attori di contorno sono eccellenti e son perlomeno da citare Kerry Condon e Barry Keoghan. Non per nulla, tutti e quattro sono stati nominati ai prossimi e imminenti Academy Awards come attori con un Farrell in pole position, alla sua primissima candidatura in assoluto, pronto a sbaragliare l’agguerrita concorrenza.

Teso come la corda di violino suonata da Gleeson/Colm, struggente e melanconico, spesso geniale e imprevedibile dal primo all’ultimissimo minuto, delicatamente stratificato, metaforico ed enigmatico, interpretabile sotto molteplici chiavi di lettura, perfino psicanalitiche, angosciante e contemporaneamente divertente, Gli spiriti dell’isola è un capolavoro inconfutabile.

Se vi turbano però le funebri atmosfere rurali mescolate a battute ficcanti e ad interpreti che si disimpegnano istrionicamente in una sarabanda espressiva scatenata, se non tollerate i film troppo dialogati e, soprattutto, non facilmente decriptabili, lasciate perdere immediatamente.


di Stefano Falotico

 

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