EVERYTHING EVERYWHERE ALL AT ONCE, recensione

Michelle Yeoh Everything Everywhere

Ebbene, ivi sganciato da dittatoriali regole editoriali, no, semplicemente stringato e liberissimo di esprimermi a piacimento in merito a questo film “pornografico”, no, strampalato e, a mio avviso, perfino mal congegnato, sebbene inventivamente molto colorato, considerato emerito, invero sopravvalutato in modo abnorme e disumano, apprezzato a dismisura e, prossimamente, da me miniaturizzato, no, soltanto liquidato in fretta e furia, dico per l’appunto la mia in maniera disinteressata.

L’Academy, che gli ha assegnato sette statuette dorate, oscarizzandolo peraltro nelle categorie maggiori, perlomeno fra le principali, è impazzita? No, non credo al suo valore istituzionale e subissare tale pellicola di premi non plus ultra è stato però, di certo, un affronto sconsiderato, oserei dire scandaloso, nei riguardi di film e attori, probabilmente (il dubbio è lecito), in gara, assai più quotati e mirabili.

Il mio tifo sfrenato, nella Notte delle Stelle (poco di Hollywood, stavolta, datesi i risultati finali dal sapore fortemente orientale, orientamento, inoltre, assai in voga degli statunitensi globalizzatisi negli Awards), andò a Colin Farrell de Gli spiriti dell’isola, vistosi rubare l’ambito scettro dal bravo ma troppo truccato, in senso toutcourt, Brendan Fraser. Ingrassato ma non come si vede nel film, pompato dai suoi beniamini dell’ultima ora, ovverosia, paradossalmente, gli stessi che gli crearono meme poco “avvenenti” per storpiarlo malignamente e in modo bullistico, deridendolo illegalmente.

Detto ciò, Everything Everywhere All at Once è una bischerata di proporzioni ciclopiche che, per via della sua accozzaglia d’immagini sparateci a raffica nella nostra retina visiva, accecò la vista di molti suoi ammiratori sfegatati, compresi i votanti degli Oscar che, rimbambiti più del comunque mitico ed immarcescibile, redivivo e vivissimo James Hong, alias David Lo Pan di Grosso guaio a Chinatown, lo incensarono, giustappunto perdendo di vista sé stessi.

Ora, nel “multiverso” della bizzarra carriera caleidoscopica di Hong, il quale qui interpreta la parte del padre, di nome Gong Gong (nel cast non v’è Gong Li, ah ah, però, oh oh), bigotto e rintronato di Evelyn Wang, incarnata da Michelle Yeoh, oltre al suo leggendario villain del succitato capolavoro carpenteriano, prima e dopo quest’ultimo, vi sono, in un excursus filmografico da pelle d’oca, le sue parti come maggiordomo di Evelyn (non la Yeoh dettavi, bensì Faye Dunaway) in Chinatown, Hannibal Chew di Blade Runner, Quan di Tango & Cash, Gung (non Gong) Tu in China Girl di Abel Ferrara e, “soprattutto”, Adam Chance nel grande “masterpiece” del Cinema soft core par excellence, vale a dire il misconosciuto, da voi, non certamente da me, Scandalous Behavior, altresì conosciuto come Singapore Sling. Filmaccio di bassa lega, per molte ex mie seghe, con una Shannon Tweed stratosferica e strafiga come non mai. La quale, a detta dei maliziosi, in tal sudata, no, suddetta pellicola quasi a luci rosse, non simulò affatto una scabrosa, assai spinta scena di sesso col suo vero compagno, cioè Gene Simmons dei Kiss, bensì con un lucky guy figlio di putt… issima, motherfucker che rese cornuto il povero Gene. In this infamous scene, è visibile, se avvisterete bene, per pochi infinitesim(al)i istanti, quelli giusti e tosti, il pene di costui che entra e fa su e giù nella vagina liscissima della vellutatissima Shannon. Ché già il name Shannon te lo fa diventare duro.

Hong, classe ‘29, quindi vicino al “centenario” della sua nascita. La stessa età, pressappoco, del suo Lo Pan che, a quanto pare, voleva ancora usar il pen’ con una ragazza cinese dagli occhi verdi. Lo Pan, un uomo ambiguo dalla carica sessuale eterna alla pari di David Bowie di China Girl, non di Ferrara, bensì del videoclip diretto da David Mallet (da non confondere con David Mamet).

I panni (s)porchi si lavano in famiglia? Lo sa Evelyn/Yeoh, la quale gestisce una lavanderia a gettoni, lei de La tigre e il dragone, ed è sposata a Waymond Wang, ovvero Ke Huy Quan, nientepopodimeno che il bambino cresciutello de I Goonies e d’Indiana Jones e il tempio maledetto. Il quale, quando domenica scorsa vinse l’Oscar, piangendo come un neonato, guardò Steven Spielberg, il grande sconfitto della serata, e gli alluse un non poco stronzo…:  – Vedi, ora sono un uomo, prenditelo in culo, nel tuo film mi trattavi da nerd che, fra un ciak e l’altro, si masturbava sulla tua futura moglie Kate Capshaw.

Trama, secondo IMDb, di questo film della durata di due ore e venti minuti interminabili, scritto dagli stessi suoi directors, Daniel Kwan & Daniel Scheinert:

Un’anziana immigrata cinese viene coinvolta in un’avventura folle, in cui lei sola può salvare il mondo esplorando altri universi che si connettono con le vite che avrebbe potuto condurre.

Perché mai anziana? La Yeoh è del ‘62, un po’ attempata, sì, ma sicuramente più giovane di Jamie Lee Curtis. Onestamente poco più vecchia, essendo nata nell’anno 1958, ah ah. La quale, dopo il Leone d’oro alla Carriera, assegnatole recentemente al Festival di Venezia, viene finalmente or considerata la grande attrice che è sempre stata. Per troppo tempo identificata, ahinoi e purtroppo, solamente come Laurie Strode della saga di Halloween, ovviamente per la regia sempre di Carpenter, e del rispettivo reboot di David Gordon Green

La quale, forse, non sa che un giornalista italiano, nel giorno successivo alla sua vittoria come miglior attrice non protagonista, scrisse che è la figlia di Tony Curtis (fin qui, ok, difficile infatti sbagliare, il cognome si prende “di solito” dal padre) e di Vivien Leigh di Via col vento. Eh già, ah ah, si sa, Michael Myers di Halloween altri non è che una versione aggiornata e, possibilmente, ancora più slasher di Norman Bates/Anthony Perkins (non Hopkins) di Psyc(h)o. Dunque, Janet Leigh/Marion Crane del capolavoro di Alfred Hitchcock di chi è madre? Forse di colei che interpreta la moglie di Arnold Schwarzenegger in True Lies ove si esibisce in uno spogliarello più eccitante della “prostituta” nuda, con le bocce di fuori, di Una poltrona per due?

Everything Everywhere All at Once è strambo, un inconcepibile e indegno videogioco cinematografico davvero nauseante con velleità, addirittura, in certi momenti, da Cinema di Wong Kar-wai? Sì, è così.

È il Cinema della modernità, della nostra società che è impazzita e ha perso ogni senso dell’orientamento e del discernimento. Hollywood, questo, l’ha capito.

Quindi, per farla breve, Hollywood ha visto invece giusto, a differenza di ciò che si dice erroneamente in giro. È stanca di Spielberg, non se l’è sentita di premiare Martin McDonagh (ancora leggermente presuntuoso e a tratti lezioso, nonostante The Banshees of Inisherin sia indubbiamente magnifico). Hollywood è stufa dello stesso mondo che “lei”, la fabbrica dei sogni, ha retoricamente e fasullamente creato e che non ha premiato Ready Player One.

Sa che la colpa è sua. Che consiste nell’aver ingannato il mondo con questa storia edulcorata e buonista secondo cui la Settima Arte deve far sognare, deve consolare, deve intrattenere e commuoverci. Spesso in modo falso e paraculo.

Ne L’infernale Quinlan (vi è anche Janet Leigh, che ve lo dico a fare…), d’altronde, echeggia la lapidaria frase… Avanti, dimmi il mio futuro. Non ne hai più: […] il tuo futuro non esiste più.

Hollywood non ha più Marlene Dietrich, snobbò Ana de Armas as Marilyn Monroe nell’orrendo Blonde di Andrew Dominik, premiò Cate Blanchett nei panni di Katharine Hepburn in The Aviator ma non se la sentì di darle, dopo Blue Jasmine, un altro Oscar per Tár.

Se siete infelici e mosci, noleggiate il film A Woman Scorned con Shannon Tweed e butterete via dei soldi. Anche dello sperma.

James Hong Everything Everywhere All at Once

Perché mai anziana? La Yeoh è del ‘62, un po’ attempata, sì, ma sicuramente più giovane di Jamie Lee Curtis. Onestamente poco più vecchia, essendo nata nell’anno 1958, ah ah. La quale, dopo il Leone d’oro alla Carriera, assegnatole recentemente al Festival di Venezia, viene finalmente or considerata la grande attrice che è sempre stata. Per troppo tempo identificata solamente come Laurie Strode della saga di Halloween, ovviamente per la regia sempre di Carpenter, e del rispettivo reboot di David Gordon Green

La quale, forse, non sa che un giornalista italiano, nel giorno successivo alla sua vittoria come miglior attrice non protagonista, scrisse che è la figlia di Tony Curtis (fin qui, ok, difficile infatti sbagliare, il cognome si prende “di solito” dal padre) e di Vivien Leigh di Via col vento. Eh già, ah ah, si sa, Michael Myers di Halloween altri non è che una versione aggiornata e, possibilmente, ancora più slasher di Norman Bates/Anthony Perkins (non Hopkins) di Psyc(h)o. Dunque, Janet Leigh/Marion Crane del capolavoro di Alfred Hitchcock di chi è madre? Forse di colei che interpreta la moglie di Arnold Schwarzenegger in True Lies e, ivi, si esibisce in uno spogliarello più eccitante della “prostituta” nuda, con le bocce di fuori, di Una poltrona per due?

Everything Everywhere All at Once è strambo, un inconcepibile e indegno videogioco cinematografico davvero nauseante con velleità, addirittura, in certi momenti, da Cinema di Wong Kar-wai? Sì, è così.

È il Cinema della modernità, della nostra società che è impazzita e ha perso ogni senso dell’orientamento e del discernimento. Hollywood, questo, l’ha capito.

Quindi, per farla breve, Hollywood ha visto invece giusto, a differenza di ciò che si dice erroneamente in giro. È stanca di Spielberg, non se l’è sentita di premiare Martin McDonagh (ancora leggermente presuntuoso e a tratti lezioso, nonostante The Banshees of Inisherin sia indubbiamente magnifico). Hollywood è stufa dello stesso mondo che “lei”, la fabbrica dei sogni, ha retoricamente e fasullamente creato e che non ha premiato Ready Player One.

Sa che la colpa è sua. Che consiste nell’aver ingannato il mondo con questa storia edulcorata e buonista secondo cui la Settima Arte deve far sognare, deve consolare, deve intrattenere e commuoverci. Spesso in modo falso e paraculo.

Ne L’infernale Quinlan (vi è anche Janet Leigh, che ve lo dico a fare…), d’altronde, echeggia la lapidaria frase… Avanti, dimmi il mio futuro. Non ne hai più: […] il tuo futuro non esiste più.

Hollywood non ha più Marlene Dietrich, snobbò Ana de Armas as Marilyn Monroe nell’orrendo Blonde di Andrew Dominik, premiò Cate Blanchett nei panni di Katharine Hepburn in The Aviator ma non se la sentì di darle, dopo Blue Jasmine, un altro Oscar per Tár.

Se siete infelici e mosci, noleggiate il film A Woman Scorned con Shannon Tweed e butterete via dei soldi. Anche dello sperma.

EVERYTHING EVERYWHERE ALL AT ONCE Jamie Lee Curtis cr: Allyson Riggs/A24

EVERYTHING EVERYWHERE ALL AT ONCE
Jamie Lee Curtis
cr: Allyson Riggs/A24

di Stefano Falotico

 

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