Casinò, lo splendore tragico del melò, dalla francese eleganza mélo alla Mela torbida del Peccato in quel di Las Vegas…

Sa(l)m(o)

Sa(l)m(o)

di Stefano Falotico

La Mecca d’un Cinema parsimonioso, doloroso, croce e delizia di martiri annunciati, di angeli bruciati dall’odor ludico del denaro. Che s’azzanneranno dietro falò turbinati, da ricchi lussu(ri)osi della vanità irosa e più diluente in tramontar del rosso che fu splendido. Ma solo per un istante illusorio. Vite già al capolinea del passaggio a livello, della segnaletica semaforica a forarli nella crepa delle loro inestinguibili macchie.

La smania di potere “gravita” in Sam “Asso”, giocatore d’azzardo, scommettitore invincibile che afferra vincite d’intuito “imperscrutabile”. Come un De Niro imponente, pauroso nella sua (non) sempre azzeccante lucentezza d’abiti sgargianti.

Sempre in giacca e cravatta, sarà il primo fottuto “croupier” d’una vita spalancatasi a (non) essere meravigliosa che, per colpa della follia dell’avida moglie-puttana e dell’amico avventato e bastardo, colerà a picco, arsa viva come il luccicante incipit d’un deflagrante Saul Bass.

Dopo il bagliore rotante del logo Universal(e), ecco il piano sequenza sulla camminata fiera di Sam. Che esplode! Cadenza i suoi passi a cronometro dell’esplosivo già Martin incendiante. Gira la chiave e boom! Scoppia in aria.

Fine dell’inizio o siamo solo a metà del viaggio infernale? La costruzione è già Cinema di altissima scuola, di quelle carrozzerie perfette che oggi non si fabbricano più. Respira di nostalgici ’70, crepuscolare narratore De Niro a raccontarci l’antefatto e i prossimi, a nostro vederli rabbrividendo, “bianchi” misfatti.

Dal nulla, una pedina del sistema gangsteristico, uno “qualunque” che non sbaglia mai come allibratore, viene scelto dai capoccia di Kansas City per star a capo, di lor “capi”, d’un casinò “desertico”, il Tangiers.

Sale le scale della gerarchia, s’illude ma sba(di)glia, come si suol dire. Fra gli squali, distrarsi un secondo è letale. Sam azzecca tutte le mosse, un cavallo purosangue… che, fra la violenza, è principe del gioco. Tutti arrivano a Las Vegas pensando di far banco e cassa, invece non lo sanno che schiatteranno. Lui ha calcolato i perdenti ma non la sua possibile, devastante perdita per troppo orgoglio. Ahia, dolore di cui ti pentirai acu(s)t(ic)amente.

Nessuno, in pratica, vince… è già (iper)visto che moriranno dissanguati, sepolti vivi nella “slot machine” delle appunto lor ca(rca)sse da morti viventi. Las Vegas puzza di vecchiaia dietro le paillettes da Elvis Presley.

Premi invece il pulsante che non dovevi spingere e sei finito.

Lo sa Nicholas Pileggi, direttamente dall’evoluzione in salsa melodrammatica dei bravi ragazzi. Qui a miscela pregiata del caffè più amaro, zuccherato di cucchiaino al biscotto di tre vite inghiottite(si).

Le altre tre ore sono Storia del Cinema. Pura mattanza della Bellezza disossata, fulminante è Martin nell’apoteosi della magnificenza che odora di limpida carne nella celluloide perfetta a stamparci lo sguardo distrutto d’un De Niro petroliere…

Re-view again and again, ancora!

 

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