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Casino Scorsese De Niro

di Stefano Falotico

Una magnifica perla che si rinnova a ogni visione…

Illuminandoci ad acuto splendore d’un Martin Scorsese violento, incantevole nei sublimi strazi di una tragedia annunciata, così come l’incipit esplode già nel melò a “bruciapelo”

Dopo il logo fiammante della Universal, “targato” 1995 d’antico nostro evocarci quanto lucenti abbagliavano perfino i naïf marchi delle “superate” major, una zoomata lentissima all’indietro che (a)dora un De Niro in giacca e cravatta sgargianti su impeccabile camminata sua celeberrima. Imponenza attoriale d’immediata presa scenica su gambe “sbilenche”, inguainate in pantaloni aderentissimi di velluto. Pochi passi scanditi dalla sua voce narrante (nel nostro doppiaggio resa in modo perfettamente “roco” da un perfetto Gigi Proietti sfumato, densa subito di malinconico squillarci nell’anima e “bruciarla” di limpidità “peccaminosa”), che c’annuncia quanto (non) vedremo d’allora in poi in un “finto” gangster movie di proporzioni shakespeariane. Ascesa dal nulla di Sam Ace Rothstein e, dall’esplosione in medias res con improvvisi, sfavillanti e al neo(n) titoli di testa di Elaine e Saul Bass, un viaggio dentro Las Vegas, centro nevralgico d’ogni sognatore “ingenuo” che sarà lapidariamente fregato. Fottuto, per dirla come s’esprime il nostro Joe Pesci, a sua volta fulcro centrale su cui un immenso Martin Scorsese fa ruotare i destini di tre “viscidi” scalatori sociali che calcolano tutto d’ambizioni sfrenate ma scordano proprio il nervo vitale della loro esistenza, l’anima.

Dimenticando l’anima, che han venduto al Diavolo, riceveranno in sorte prima l’inganno camuffato dalla ricchezza dei fruscianti soldi e poi, in tragica “serpentina” d’errore enorme, chi la morte atroce e chi, come Sam (spoiler), la sconfinata, inestirpabile e più funeraria amarezza.

La fine di ogni sogno.

Il tanto decantato, attraente, ipnotico e suadente American Dream s’è schiantato di ferocia abissale quanto così veloce salì le “scale”.

Ecco che Martin, dopo aver fatto saltare in aria la macchina lussuosa di Sam/De Niro e dopo gli avvolgenti, enigmatici, “tenebrosi” quanto folgoranti titoli di testa, piazza subito la storia dentro la cornice del 1983. Poco prima che la lancetta dell’orologio decreterà l’ultima, “estrema unzione”, di tre vite che hanno superato ogni confine, per avidità, voglia matta di diventare qualcuno, per aver corrotto la propria integrità morale nel barattarla con lo stesso rischio azzardatissimo su cui loro hanno scommesso, rubando “di nascosto” ai già falsi giocatori (dis)illusi.

Ecco che, all’improvviso, dopo la sibillina detonazione, Martin fa saltar il “pallino” della voce narrante al balzo (a)temporale di quella di Pesci/Santoro. Un mafiosetto di mezza tacca, ammanicato di qua e di là ma senza un piazzamento preciso, soprattutto tanto paranoico, impulsivo e testardo da mettersi inevitabilmente nei guai, trascinando con sé il suo “inseparabile” amico d’infanzia, Sam appunto, e una stratosferica, gran figa Sharon Stone. Bravissima “regina” che ammalia come una strega sua vita a imbruttire nel precipizio della fornace “divina”, la trinità di alcol, sesso e droga dalla quale s’era sganciata, approdando nelle braccia di Sam ma, nella cui stessa avviluppante spirale, “crollerà”.

Un ottimo allibratore che non sbaglia mai un colpo viene notato da qualche “capo” di Kansas City. Così, di “buoni” accordi “legali”, gli “recapitano” la gestione di uno dei più importanti casinò di Las Vegas, lo statuario, “brillante” Tangiers.

Questo allibratore è Sam, il “perfetto” Rothstein. Sam ci sa fare fin da subito. “Regola i conti” a modo suo, con acutezza via via maggiormente sorprendente, coi suoi “metodi”, tanto concisi quanto a muso duro se qualche truffatore pensa di scappare col malloppo estorto in modo baro ma inconsapevole che Sam, le sue videocamere color occhi a cui non sfugge niente e i suoi “bravi” scagnozzi, gli ha(n) già teso la trappola mortuaria. Se freghi, Sam ti vede, anzi (ti) ha già (pre)visto tutto. Chi vince grosse cifre a Las Vegas è sempre, a detta del nostro, uno che l’ha fatta sporca e non può quindi svignarsela di tutta franc(hezz)a.

Sam è un perfezionista, un calibratore d’ogni mossa tua vincente, dunque subitaneamente da perdente se ti va bene, da morto ammazzato se pensi di fuggir via da “vivente”.

Sam s’innamora però (classico colpo di fulmine “irrazionale”, ed è il primo delitto ai suoi raziocinanti calcoli…) di Ginger, prostituta-ballerina incarnata nella gran “falcata” strepitosa d’una Sharon Stone da Oscar. Addirittura, la convince a sposarlo. Promettendole, per l’eternità, una vita da favola paradisiaca. Ginger ci sta, ma è innamorata, non si sa perché, di un figlio di puttana come pochi, un fallito scarto di nome Lester Diamond, la versione ancora più spettrale del James Woods di C’era una volta in America, il suo fantasma forse mai “morto” e “riciclato” da un geniale Scorsese di casting beffardo. Di puro metacinema al di là d’ogni immaginazione.

Una miscela esplosiva, ecco che cos’è questo capolavoro assoluto. Tre protagonisti più un quarto incomodo (il poker), si mescolano poi le voci fuori campo di De Niro e Pesci, l’intreccio c’abbacina e stordisce, il congegno batte il tic tac per la fine che non può essere altra. Non c’interessa sapere come andrà a finire. Sappiamo già, in effetti, che in una maniera o nell’altra andrà malissimo per tutti quanti. Ed è in questo che consiste la magia di Scorsese. Riesce ad appassionarci a una storia vista mille volte ma mai raccontata così. Poi, i protagonisti a chi non starebbero antipatici? Eppure c’emozionano. Perché tanto umani. Altro ribaltamento di prospettive empatiche. Non “tifiamo” per nessuno, anzi, desideriamo in cuor nostro che crepino, proprio “trivellati” dalla sciagura che puoi augurare al tuo peggiore e “odioso” nemico.

Eppure Scorsese ce li “attacca” addosso, il flusso d’immagini è magnetico, apparentemente nulla di nuovo (infatti, in molti lo paragonarono a Goodfellas, dunque copia-“carbone” di “uguale” Martin stesso, che superficialità!), ma è quello che sappiamo di “vedere”, non sapendo come lo vedremo, a meravigliarci. Scorsese depista le vie sue già percorse, reinventa il suo Cinema con una trama “identica” a mille altre.

Unicamente Casinò.

Ed è per questo che Casinò, appunto, è insuperabile. Una delle vette più alte degli ultimi vent’anni della Settima Arte.

 

 

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