“Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans”, recensione

 

di Stefano Falotico

 

Bad Jaw d’un folle poliziotto borderline, la sofferenza ignoto delle sue perverse notti

Werner Herzog spiazza e questo lieutenant, di sue ossessioni rimescolate dal Ferrara più potente, quando fu presentato al Festival di Venezia, mi sconcertò non poco di perplessità. E gli “offrii” una metabolizzazione di mio (non) giudicarlo ma abbandonarlo “in sospeso”. Galleggiò nel fe(ga)to. Poi, me ne scordai. Apparentemente, la sua scomparsa durò un frame.

Dopo, infiammò virulentemente, rapendomi dentro un precipitoso incubo tornante. Gracchiando in mia anima illividita, screpolato forse me n’invaghii, avvolto dalla sua ipnotica aria malsana, dormiva sereno ed esplose violento.

Aiuto!

Grido perché invaso da un Herzog divoratore, “verme solitario” scuoiante delle mie emozioni cinematografiche lì profonde ora qui riscaturite scattanti.

Scatta in piedi l’imponenza “gobba” di Nic, ti aggroviglia, ti sbudella, fantasma ancor più sporco del Kinski che fu. Evoluzione dell’irrequietezza nel Klaus in gemellarlo di pazzia formato shaker fra Sailor Ripleywild at heart del Santoro di Snake Eyes (non ferrariani stavolta ma depalmiani) e l’amarezza cristologica dell’Al di là della vita di Scorsese.

Sì, mi ha riposseduto, spossato, disossato e l’anima mia ve n’è stata, con furia, penetrata in fasi alterne, altalenanti gli occhi ghiacciati e blu di tal Nic Cage pavone, pagliaccio, esagitato al massimo, esageratissimo, invertebrato, anfibio, losco, bugiardo, cafone, bastardo, dolce e quindi sbraitante, spastico, macilento, disperato, loffio, affranto e quindi arrabbiato, burrascoso, smagrito e triviale, eccesso fatto carne cannibalizzata dal sé più mio amato-odiato, ecco che spunta d’inquietarmi d’angoscia sottile. Reprimo il volto contorcente di Nic, contatto l’SOS per salvarmi d’esorcismo infermieristico, ma il mio sangue “nitrisce” e gli stringo la mano in segno di patto fedele a nostro unito, argentato nitrato.

Siamo dei feudali alle(n)ati di una congiunta origine alienata. Nic il matto, io il sano, entrambi perciò scopandoci di elettive affinità agli antipodi combacianti su convergenza degli estremi che s’attraggono. Io irresistibile, lui volgarissimo. Che coppia di scopatori di merda. Fantastici!

Non lo vedi di buon occhio all’inizio Il cattivo, traballa quest’Herzog anomalo, rifacimento sui generis, degenerante e (non) ideale del proseguimento di Abel.

E solo adesso comprendo che il nostro digerirlo, mi rivolgo anche ai critici frettolosi nel “detrarlo” dalla filmografia importante di Herzog, sminuendolo di minorità, sia stato un osceno abbaglio. Sì, l’anima di questo grande film, a sé stante rispetto alla versione originaria, comunque superiore col più carnale e spaventoso Keitel, anche nel senso, forse sì, di bravura e aderenza scarnente, risiede nella folle scena in cui Nic, allucinante e drogato di recitazione lisergica, morso dentro, stupido, deficiente quanto devastato, ride sguaiato nella soul still dancing del fantoccio appena trivellato, morto ammazzato dal pusher “duca” ma ballante nel riapparir rapper funambolo di danza magnetica di rapide, immortali gambe.

Una scena che vale il film. Come quando Nic sostituisce Keitel ad abuso di potere, lo potenzia di maggior cattiveria. Se Keitel ricattava le ragazzine con quello storico “Fammi vedere come succhi il cazzo” ma si fermava, Nic (si ) spinge oltre il lecito della schifezza.

Addirittura, punta l’arma da fuoco a una coppietta appena uscita da una discoteca, minaccia il maschietto senza palle, gli ride in faccia, lo paralizza mentre a lei lo ficca non solo di lingua, infatti se la scopa “bello” menefreghista del distintivo.

Val Kilmer sta come uno stoccafisso-soprammobile di però fine arredamento. Presenza “inutile” ma che fa il suo effetto carismatico, anche e soprattutto perché distrutto e imbolsito come non mai. Fra le luci nero-cromatiche d’una fotografia spettrale. Eva Mendes è una puttana nella vita privata. Herzog azzecca la scema giusta, Eva appunto, al Nic ingiusto. Uno che le racconta un sacco di stronzate, solo per leccarla molto…

Questo tenente non è un porco, è peggio, un morto che cammina, un dannato, uno spento che s’accende a botte impressionanti d’un Cage fuori di testa, uno squalo che non fa paura, fa ribrezzo. Perché è già annegato, soffocato, eppur respira e pur urla. Eppure (non) si muove. Non sta morendo, lo è da sempre.

Un patetico lupo innatamente, maledettamente condannato.

 

Lascia un commento

Home Nicolas Cage “Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans”, recensione
credit