“Grudge Match”, recensione

Grudge Match Stallone

Boxe rancida della rancorosa rivalità, del duello fra due vecchi leoni indomabili e forse domi, sonnolenti, addormentati, dagli addominali stanchi e dai sentimenti nel rimpianto

 

Picchiano le acidità fra due guerriglieri del tappeto rosso colore vita proletaria, ove i pugni s’incassano a rotazione “ossuta” di delusioni ripetute e colpi secchi ai due sterni inflacciditi, rinvigoriti dal solo “titanio” dell’esperire polmoni dalla friabile fragilità emotiva. Perché sono burrascosi dentro, straziante patetismo sublime di due orsi che si odiano con tutta la forza che hanno in “corpaccione”. Uno claudicante, quasi Notre-Dame in pelle “abbrustolita” dal metallo pesante della coriacea scorza, l’altro trasformista del camaleonte qui mai così fantasmatico, un De Niro che impressiona perché pare oramai futilità totale, smorfia fatta carne, incendio di grinzose rughe, ruggine smembrata su palpebre decadenti, rotte, labbra spappolate in un eterno arrotarle verso il basso, piegato in mille parti dai tanti personaggi che (non) vediamo nel codice genetico del suo corpus attoriale e non. Ispirato? No, sparito. Ed entrambi sfibrati, erosi, anacronistici, nella clessidra di bicipiti ridicoli.

Esemplari cariatidi di un’epoca sull’orlo della sparizione, anzi già estinta da lustri, da rigenerare con la CGI che può plastificarli a memoria così come anche il passato verrà filtrato dalla “modernità” di chi filtra a occhi contemporanei quel che vide solo lontano, qui stante fra Rocky e Toro scatenato, ché non li sa neppure. Non li ha visti, li rivedrà solo dopo aver visto questo match, quindi capterà questi capolavori con occhi già influenzati.

Scoppiettante euforia nostalgica, triste e fuori tempi…  (da pugili) massimi dei senili borbottii in cerca dell’ultima prova di slancio, di vita che risorge per dichiararsi (non) vinta. Per sigillare i nonni che sono, e lo smalto non tanto inguainabile dietro allenamenti rassodanti.

Tira aria di brutto, di insopportabilmente inguardabile, ma resisti e ciò a cui assisti ti pare il “miracolo” al contrario della peggior fantasia mai partorita. Riunire sullo stesso ring due miti agli antipodi, lo statuario Stallone, macilento e schiacciasassi dall’espressione torva ma simpatica, e il De Niro più incredibile del suo parossistico farci arrossire con l’estrema “unzione” del sussurrargli la ficcante, tramortente domanda “Perché l’hai fatto?”. Sei credibile nel combattimento quanto una lesione cerebrale scongiurata dopo che uno ha infilato la testa in una pressa martellante. Quasi quanto una capacità (in)espressiva sempre più uguale a una paresi facciale.

Ma il film respira d’una assurdità tanto (in)concepibile, grottesca, surreale o oscena, d’assurgere immediatamente a cult indiscutibile. Un tassello, nella filmografia di Sly e Bob, da cui d’oggi in poi… prescindere non puoi. Ti macchieresti dell’onta più imperdonabile, aver trascurato la cagata, il guilty pleasure con “diritto” d’ordinanza, di esistere in quello strano Pianeta delle bazzecole tanto impresentabili da pensare che lo sceneggiatore sia un genio assoluto. E forse della vita, e del Cinema, ha capito tutto.

Perché nel 2014 avremmo bisogno forse, infatti, di film didattici? Di film “importanti” o che debbano “dirci qualcosa?”. In un’epoca di carinerie e film tutti “bellini”, ché non riesci davvero a discernere la stronzata dal capodopera, Grudge Match diventa il film da prendere, per paradosso, ad esempio.

Peter Segal è un idiota ma non gira film demenziali. Film con Adam Sandler, uno che noi non capiamo così come gli americani non capirebbero i nostri Zalone…

Peter Segal non è Mel Brooks, non è un regista, non gira commedie né drammi. In una sola domanda: “Chi cazzo è?”.

Niente, il vuoto. Segal è l’orrore. Il deficiente a cui la Warner Bros continua a dar credito perché fa incassare. Che giri roba USA & gettala subito nel cesso… chi se ne frega? Basta che “freghi”.

Ed è per questo che Grudge Match è il suo film migliore.

Perché poteva girare, con 50 milioni di dollari come budget, un film revisionista delle rispettive carriere “rivaleggianti” di Stallone e De Niro. Quale migliore occasione? Un film profondo nonostante i toni spesso (non) comici. Invece, non gira, lascia che Stallone e De Niro siano sé stessi, due attori come due tizi qualsiasi filmati con la mano sinistra, come se non fossero le icone Stallone e De Niro ma due persone “chicchessia”.

E, in tale osservarli a girarli in stile “fiction”, ottiene una perla di proporzioni storiche. Perché ha involontariamente elevato l’idiozia proprio inconsapevole del suo Peter Segal a Ed Wood.

E dinanzi a tanta “lauta” imbecillità sesquipedale c’è solo da inchinarsi.

E adorare, a spada tratta, questo devastante filmone.

Sì, lo è. Guai a toccarlo.

Altrimenti, da me, solo pugni in faccia. Anche se le prenderò.

Magnifico Kevin Hart, Arkin giganteggia di passere, bella la Basinger. Ma non capiamo perché ami, abbia amato Razor e vive col figlio avuto da Kid.

E, su questo dubbio edipico, riflettiamo sul sen(s)o.

 

(Stefano Falotico)

 

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