R.I.P. Stefano Falotico (13 Settembre 1979 – ? 2014)

Sono suo zio. Siamo tutti sconvolti dalla morte di Stefano. Che ci ha lasciato il suo testamento, degno del suo immane uomo, in quanto ha ereditato solo la sua anima. Dunque tantissimo.

La leggenda di un uomo “svanito” che, dopo esser stato sfinito dalla sua infinitezza, in tutta interezza e morale integrità, ha deciso d’allunarsi con un suicidio annunciato, prossimo a definirsi nel firmamento dei suoi enormi romanzi firmati da lui medesimo, in combutta con la penna stilografica, sua nemica-amica di tastiera e taste, gusto raffinato d’un poeta e letterato ante litteram in quanto genere a sé oltre i più storici maudit che vissero sui… generis e a trascorse, epocali generazioni dimenticate ma mai dimentiche della grandezza dei diversi solitari, dunque siderali poiché non da tal mondo, immutabile d’era in fu come ieri e sarà Sahara, lesi nel lor intoccabile decoro mai più da violare con le vostre pastrocchianti orge serali e via via più immonde di bianchi, notturni spermatici. Inutile sperar in un suo (non) ritorno.

In memoria dei poster(i), già post scriptum d’epitaffio postumo e dichiaratamente “impostore” dinanzi a una società maialesca che inneggia ai femminili posteriori con sconci post su volti di facce da culo, che han svenduto ogni valore a metro laido della viscidità più pusillanime e d’animali, Falotico (non) fa ammenda e a meno di che di nulla, poiché del più bel far niente è dolce amante anche del farneticare.

Da anni ormai ignoti, dal Falotico amati di rinomanza e nobile denignar tutti gli ignobili, cioè il mondo intero perché imputabile di tal atto d’accusa, sviscerarsi di carnali interiora, come i santi del Paradiso più celestiale, alla morte kamikaze s’immola o già volò in alto pur precipitando in “basso” a vertigine di sue fiere e spaccate vertebre, maciullate dall’impatto con una Terra avida e sanguigna, proboscide d’infantilismi a crescita del sol celebrar le cere da grassi elefanti.

Con abnegazione delle più intrepide, irresistibili e orgogliosa dell’esser nato al di fuori di tal osceno porcile, egli presto mischierà, o già mescolo, chi lo sa…, la sua pelle a spappolarsi perché fuori da ogni congedo in quanto genio congenito e non come voi congelato. I geli dei vostri uccelli.

Oberato dalla sua superbia grandiosità, ripudiante il sesso baccanale e adoratore della metafisica più insuperabile, con sfrontatezza ha già superato il varco stellare, penetrando dentro la diafanissima e più illuminante Luce.

Come Cristo e San Francesco, il precipizio sacro del suo sacrificio a monito dei vostri orifizi.

Orefice anche in tal atto eroico e prodigioso, (s)ragionato e indubbiamente degno di un uomo vero come il vetro, come il poliedro puro, come chi era e mai vorrà essere come voi.

Stringo la mano a tua sorella e le strappo le mutande, in segno di “carità”. Quindi, strappo il tuo braccio a “stappo” di nessun patto. Aprendomi al cielo, dopo una pisciata di (fr)esco dalla patta.

Poiché, se mi reputi pagliaccio, io rimango di ghiaccio.

Addio e Dio sono io.

 

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