L’ultimo dei Mohicani

Tu conosci l’avventura dell’ultimo sopravvissuto della tribù coraggiosa dei veri pellerossa?

Michael Mann, innovatore e memore “imprigionato” nei 70 per accelerarli di futurismo, anche sviando, estemporaneamente con una picaresca “dipartita” dai suoi soliti temi di Natura thriller.

Attinge a Fenimore Cooper e lo incide nella secchezza atletica d’un Daniel Day-Lewis condottiero e d0una sensualità liscia come capelli sciolti tra gli intrecci sopraffini di lotta divorante.

Inversione della tendenza, nessun bianco contro l’indigena selvaticheria.

Indiani… gli uni contro gli altri, ai margini delle guerre colonizzatrici, “aristocratici” selvaggi contro brutali d’efferatezza primitiva.

Sopravvivenza delle dinastie e dei valori impressi a scalpo, a nitrito d’attriti “consanguinei”.

Trama innestata su un “rapimento”, come nelle storie di suspense moderna. Ma d’intelaiato classicismo da far impallidire ogni viso “nostro” pallido. Tatuandoci di draghi virenti a emozioni epidermiche, fluide nella musica martellante d’un Trevor Jones ispirato dalla movenza “pifferaia” di afflato ed epicità libera come aquile nell’alba del vivido detonarle raggianti.

Una sfida, già heat, un mostro nero come gli orchi delle favole.

Ruba e “stupra” l’innocenza e le verginità, e il suicidio annuncia la vendetta deflagrante di un urlo nella foresta.

Day-Lewis lascia il mezzogiorno di fuoco al padre putativo e gli consegna tutta la potenza della sua giovinezza.

Il padre impugna un’ascia sanguinaria, lesto accerchia il mostro, lo agguanta nel respiro già annichilito e lo sgozza vivo.

Poi, il tramonto di un’epoca.

Madeleine Stowe, capolavoro di Donna nelle luci a planare d’un commovente “Io sono l’ultimo, l’ultimo dei Mohicani”.

(Stefano Falotico)

 

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