“Il silenzio degli innocenti”, recensione

   L’agnellino piangente lagrimò di bestial ferocia “innocua

La saga lecteriana di Thomas Harris trova successo, planetario e oscarizzato in tutti i premi maggiori, nell’imperfetto capolavoro di Jonathan Demme.

Demme “entomologa” la banale psichiatria bestseller di Harris e la sbrana a lembo di lambs urlanti nelle silenti pareti fredde dei fragilissimi cunicoli (dis)umani, a brado raschiare le anime avvizzite e temprarle nell’accese frenesie del cannibalismo d’un rito sacrificale immolato alla sopravvivenza.

Ove Michael Mann esaltò le dinamiche “calibrate” della sua indagine da “licantropo” manhunter, un investigare assoldato all’Actor’s Studio della criminologia, arpionando il mostro dentro la spirale-specchio del suo signor Hyde “dolce” e dentro-fuori la maschera doppiogiochista della giustizia, una perfezione d’immagini elettriche-divoranti-fluide-cicatrizzanti, natanti nel brivido a pelle del diverso “spaventoso”, simbiotico nel vincerlo di nemesi punitrice, Demme gioca le sue carte nella spettacolarità colorata di rosso e denti aguzzi, sopraffino “fotografo” delle paure inconsce e (sovra)impresse a tagliente carisma d’un Anthony Hopkins radentissimo, sobrio, elegante freak dalla quasi messianica  efferatezza “b(o)riosa”.

Anche Lui, Lui più di tutti, l’antonomasia stessa della carne lacerata del mostro morsicante.

Sigillato nelle mura d’una prigione che resiste al tremendo (non) e-spiarsi, dipingendo fantasia michelangiolesca nella vetta acu(i)ta del candore rubato.
Ruggisce calmo e asceta, erutterà sanguinario!

Lecter, linciato e vivo-“dead man walking”, bruciato-iracondo a supplizio “savio” nella condanna infernale, oh oh, gemi rattrappito e sibili come il Demonio pittato di gote “golose”.

Ti capita a “tiro” la tirocinante Starling, timida e permalosa, “cazzuta” e diplomatica, anch’ella come tutte le altre ancelle “cast(igat)e” nel servil prestar servizio “civile”, (ig)nobilmente soggiogato da un manicheo, oscur potere crudelissimo.

Vi “giocate”, vi guardate, esplorate nei vostri incubi a strapparvi l’innocenza. Tu, Lecter violato che aneli al libero volo, tu Starling la “contadina” impettita in un tailleur che arde d’erotismo “squadrato”, esangue muliebrità d’una bella Donna troppe volte “virilmente” umiliata dai branchi a “spruzzarti”, anche solo d’occhiatine furbe alla gonnella, le pudicizie “spermatiche”-impaurite, fiere dell’oggi tua femminilità “lapidaria”. Emancipata ma così ancor incerta, come tacchi “spaccati” in collant sofferenti, attillati alla disillusione che la purezza è oramai azzannata dall’“obiettivo” malizioso di chi, cineasta esperto o voyeur insaziabile, strangola la “sciocca” tua infanzia con lo zucchero filato sulle sbiadite bianche iridi illese.

Il “buffone di corte”, il (non) Sesso di Freud, l’eremo dell’ “insensibile” killer nella Notte degli orrori. Oh, che sotterfugio il suo stesso nascondiglio, bugia al suo Cuore desideroso ma invero (e)virato all’affrangersi “Nosferatu”.

Caccia senza tregua al “vampiro” delle verginità che succhia nella sua “culinaria” cucina soffocante.
Bavaglio anestetico al (non) piacersi. Crollato nella sua umanità, antropofago dell’anima sua recisa.

Accanito, il cagnolino è ora lupo e morde di “(dis)g-i-usto”.

Similarità con Mann nella dialogica “a penetrazione” di due vite spezzate, una (s)lanciata nella Donna Jodie Foster fighissima, e l’altra nel suo bramare una Luna serena già d’eclissi rugosa e “repellente”.

Un inseguimento di suspense tagliata con l’accetta, scandita dalle movenze oculari, dalle caviglie della Foster a “scandire” la bomba del suo seppellire le paure per sempre. Agguanta e uccidi il mostro, fisicamente, e l’alba non udirà più il lamento snervante, omicida delle pecore macellate.

I lupi…, tu e Lecter siete così “diversi?”. Due complementari “giustizieri”, (com)bacianti dietro un romantico cavo telefonico.

Squilla, squilla, squilla la vocina melliflua. E duole…, nelle profondità del vostro, nostro buio.

Di tutti.

(Stefano Falotico)

 

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