Smoke, la bellezza di un racconto, non solo di Natale, della (s)vi(s)ta

di Stefano Falotico

Sì, mi riferisco a quel piccolo gioiello che è Smoke.

Un’opera di rara raffinatezza, d’altronde, dietro c’è la penna sobria, poetica del grande Paul Auster che esordirà alla regia col seguito, o meglio il suo ideale proseguimento, Blue in the Face, invero co-dirigendolo con Wayne Wang, regista del capostipite.

Raro prodigio, fra l’altro, attoriale. Perché fra Keitel, gigione, sempre con la birra Budweiser in mano e il ghigno del lupo di mare ma tabaccaio di professione, “filosofo” di perle esistenziali raccontate con eccezionale bravura, tanto che sospetti alla fine, sui titoli di coda, proprio quando narra il suo “Racconto di Natale” del trasfigurar Charles Dickens fra le note incantanti d’un Tom innocent when you dream Waits, che sia lui lo scrittore e non il personaggio di William Hurt, che ha appunto il “blocco” però è parimenti ispirato di talento recitativo, nessun mai saprà chi dei due recita più da Dio. Due prove maestose, che si donano soprattutto umanamente, tanto che ti sembran due amici che conosci da tempo. Da sempre. Un film eterno, anche dolcemente etereo. Che danza acquoso, languido, romantico, “arrochito” fra piccoli aneddoti strampalati da farti tossire d’amaro in bocca o forse al sorridervi con generosa magnanimità del tuo cuore deliziosamente ri(a)mante della vita. Non tremate mai, non abbiate timore, vivete al timone dell’attimo. La vita è. Da cullare come Keitel/Auggie abbraccia la nonna nel commovente, delicato e lirico suo (rac)conto appunto di “maltolto” che ritorna felice. Ballando musicalmente incendiato nell’anima da un tocco grazioso di fine bagliore a nostre emozioni sfiorate in altisonante rinomanza cinematografica toccante. Un film che, come un lieve, sofisticato pianista, batte le corde giuste su ritmo “allegro”, poi “triste”, poi “meteoropatico”, un film d’umorali aneddoti e celestiale atmosfera. La respiri nelle tue vene, un film che sento mio. E credo anche voi.

Ora, accostandolo ad alcune sue scene “cult”, di clip qua a voi mostrate, di poetico realismo, allineato a episodi miei (sur)reali, voglio illustrarvela…

Cosa? La vita? Se non c’è vita, non c’è neanche Cinema. Se non c’è l’emozione, non scatta l’emozione fra due sguardi, neppure l’empatia verso il mondo, solo apatia. E, amici, posso dirvi che vidi tempi bui in cui non vedevo molto, una “cecità” però apparente, diciamo che oscurai proprio le emozioni, estraniandomi parecchio da un’aderenza più vicina alla concreta essenza. Ancor oggi son spesso ermetico ma mi rivelo con più (s)velato viso.

Sì, oggi sono l’incarnazione dello zucchero a velo del mio cuore, indubbiamente bugiardello perché esagero di melensaggini pur d’intascarmi un bacio femmineo, “toccando” prima ancor che lei, parafrasando Totò, di “(ri)tocco” mi (s)possa… render toccabile e subito “duramente grosso” dopo la glassa, e in questa (im)palpabilità le faccio toccar galassie al dente di nostri cuori un(i)ti d’ardendoci.

A parte le battute, fidatevi, innamoratevi di me, il resto è una battona.

Sì, son bravo con la “lingua”, vi gioco e molte così “soggiogo” ad amori di cioccolato. Ma son roco talvolta e dunque di più m’indurisco… ah ah.

Sì, “lecco”, e dunque ecco l’album(e) di ricordi da amici come me, (tras)fusi.

L’altra sera, vado da un mio amico. Serata davvero “sexy”, di quelle sere che “spingono”.

Sì, io e lui a guardar la Germania che fatica con l’Algeria, quindi io, molto “ubriaco”, dopo dieci caffè più nervosi d’una partita noiosa da romperci i maroni.

Lui tira… fuori dal cassetto un c… un catalogo.

– Questa chi è? – domando io.

– Una.

– Quest’altra, invece?

– Un’altra.

– Questa qui?

– No, questa è solo una di passaggio.

– Cioè? Stavi fotografando il panorama ed è venuta questa figa(ta) involontariamente?

– Sì, capita.

– Caspita, che culo… Questo invece è un maschio. È un tuo amico?

– No, era il mio “accompagnatore”.

– Il tuo accompagnatore?!

– Sì, non lo sapevi? Ma non ti eri mai accorto, cazzo, come hai fatto a non accorgerti…?

Ma dai, è evidente che sono… uno di quelli.

Sì, amici, il mio amico è un diverso, è un non vedente. Che poi tu sia omosessuale, per me non è un problema.

Ora, vi chiederete, allora come ha fatto un cieco a scattare delle foto?

Ah, non è difficile. Basta togliere l’otturatore dall’obiettivo, accendere la macchina fotografica, e spingere “click”.

– Sì, ma non poteva sapere, il tuo amico, cosa aveva fotografato – obietterete.

Vi rispondo: – Infatti, questa conversazione, fra me e il mio amico, è una mia invenzione.

– Come? Inventata? Ma che senso ha tutto ciò?

 

Sempre io a rispondervi: – Perché la vita ha senso? Siamo noi che la immaginiamo e non vediamo quel che non vogliamo vedere anche quando siamo perfettamente vedenti.

Però, molta gente è miope.

Se non l’avete capita, è una la vita.

Mi spiace per voi.

 

 

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