La complessa “misantropia” della “crudeltà” del grande De Niro di Heat, cioè me stesso

di Stefano Falotico

De Niro Heat

L’altro pomeriggio, ho scritto che James Blunt mi piace. Invero, l’ho sempre sospettato, anche se per tutta la vita ho tentato di camuffare il mio immane romanticismo ma, alla fine, contemplando la striatura del vento nelle sue increspature morbidamente sobrie, tagliandomi, affliggente libertà assoluta e spasmodica, in uno squarcio abissale, la mia anima s’è furiosamente raschiata d’un sentimento spaziale d’infinita estasi, l’odore della vita più profonda, imperscrutabile, ora riemersa com’un ghiacciaio arido d’arsura violentissima, davvero agghiacciante nella sua spaventosa “bruciatura”, (l)ambente ogni mio sospirante, dapprima anestetizzato respiro, m’ha scalfito nei ventricoli sanguigni più profondi a squarciatura d’un leso, indelebile scricchiolio esistenziale dalla calamitica vulcanicità mia celata e credo che, assai presto, compirò non solo trentacinque anni ma mi sto apprestando alla prodezza mia più (mal)destra, vi(b)rando ove molta gente è stata “evirata” dai propri intimi, rinnegati sogni, regalando all’umanità la totale grandezza di me ché, (dist)ruggente nell’ira cremosa rovente, insufflo d’epico afflato gl’impietriti, annichiliti cuori degli “sconfitti”, erto come un cavaliere senz’alcun sonno ma con macchie vere da uomo di ve(t)ro, perché chi è senza peccato, scagli la prima (pi)e(t)ra, un vampiro cospargente la miticità dell’anima umana, da tal società frivola quasi assassinata, io, (non) “morto ammazzato” dall’inevitabile superamento delle limitatezze ché, una volta raggiunte le sponde dell’onda point break, l’oceano delle nostre brame, frangendosi tra i delfini spumosi e magnifici, i cuori ribelli e solitari, evocando la forza della vita riesplosa come Sansone, affatto indebolito da chi usurpò la sua dignità, bensì potenziato dal fulminante essere finalmente sé stesso, e non solo una “maschera” (in)crollabile dalla capigliatura “leonina” e “sbranante”, apparentemente sfiorito nel “bulbo” (s)radicato della sua genealogia “inalberata” d’una irreprimibile, tremenda rabbia, afferrò le colonne dei temp(l)i schiavisti e, stritolando anche il proprio sanguinare suicida, spezzò le inenarrabili cattiverie orrendamente perpetrate ai “fragili” e ai più puri figli di Dio, nella costernazione salvifica dei mostri (im)potenti, rasi al suolo dalla folgore della rinascenza sua e dei suoi eletti creaturali e, in quel gesto stupendamente sacrificale, (ri)sorgente come una nuova Creazione, (s’)incendiò zampillante armonia stellare affinché, gridando, l’umanità fosse migliore, lib(e)rata finalmente dal dolore dell’essere perennemente stata tragicamente smorzata, frenata, paralizzata dai c(u)ori bestiali di coloro che costrinsero alla pazzia Kurtz/Marlon Brando.

Brando che, piangendo soffertamente nel suo spaccarsi dentro, grattandosi il capo…, libero d’ogni gerarchia, elevato come Cristo sulla croce, fu già Dio, senza leggi (im)morali, lontano da ogni guerra grande o piccola, vita fattasi carne metafisica dell’aver ucciso tutte le rivalità che rendono l’uomo schiavo dei propri desideri egoistici, quei desideri che, anche se all’apparenza “innocenti”, feriscono il prossimo, castigandolo nell’opprimente omologazione delle coscienze… “uniformi”…

Allora, perché De Niro di Heat?

– Tu, invece, sei un monaco?

– No, ce l’ho una donna.

– E che le racconti?

– Che faccio il rappresentante…

– Il rappresentante di che?

– Di tutto.

– Senti, Bob, queste due ultime battute te le sei inventate. Non sono presenti nel film.

– Infatti, non ci sono… io sono (di)stante.

 

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