La giovinezza di Sorrentino secondo il cannense inviato Anton Giulio Onofri

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YOUTH, di Paolo Sorrentino. Scrivere del nuovo film del regista de La Grande Bellezza rischia di diventare, invece che un elogio dell’opera, una filippica in sua difesa contro l’ormai corazzata schiera dei suoi detrattori. Ma come ignorarli, o almeno fare finta? Antipatico e stupido suona infatti l’odio ideologico di certa cinefilia soprattutto nostrana verso chi ha deciso, con risultati che gli hanno dato ragione ben oltre l’atteso, di PIACERE AL PUBBLICO senza rinunciare al dovere sacro dell’artista, che è poi quello di PIACERE A SE STESSO. Dico subito, tuttavia, che non ho tanta voglia di imbarcarmi in discussioni che si moltiplicheranno come spermatozoi impazziti qui su Facebook e nei mille altri rivoli della rete, e piuttosto taglierei corto dicendo che ANCHE stavolta Sorrentino ha firmato un film magnifico, sontuoso, di eleganza e leggerezza supreme, maneggiando, insieme a quello che è il suo mestiere, anche quell’altra cosa che insieme al Cinema è alla base della mia sana e onnivora bisessualità: la MUSICA. Non che di musica si parli molto, in YOUTH, anzi. Di Fred Ballinger, direttore d’orchestra britannico in ritiro somigliante, per via della montatura gambardellesca degli occhiali, a Sergiu Celibidache, Olivier Messiaen e Luciano Berio, veniamo a sapere poco della sua attività di Maestro del podio (per quarant’anni, racconta ad un messo di Elisabetta II venuto ad annunciargli la sua nomina a baronetto, ha diretto una fantomatica “Orchestra di Venezia”, pretesto forse per una sequenza onirica di acqua alta in Piazza San Marco di bellezza fulminante, ma anche perché là è sepolto Stravinsky, conosciuto in gioventù, e omaggiato sulla sua tomba nel cimitero di San Michele), mentre ascoltiamo qua e là frammenti delle sue giovanili Simple Songs, uniche sue composizioni rimaste nel ricordo del pubblico e della critica, in virtù della loro gradevole semplicità di linguaggio. Ma ciò che maggiormente preme di raccontare a Sorrentino è la vita privata dell’ormai anziano musicista, in vacanza con sua figlia in un resort svizzero che è poi lo stesso sanatorio della thomasmanniana Montagna incantata. Tra gli ospiti del lussuosissimo albergo, tutti in pensione o in “pausa di riflessione”, un Pibe de oro sfatto come un ippopotamo, un Johnny Depp in rehab, una schiantosa Miss Universo, uno stralunato Reinhold Messner, e una carrellata di varie umanità in età d’argento, compreso un santone buddista sempre in procinto di lievitare, e un regista cinematografico, sodale di Ballinger fin dagli anni dell’adolescenza, insieme alla sua ciurma di sceneggiatori. Non succede granché, nella placida vallata elvetica, ma si parla molto, proprio come nel romanzo di Mann, tra una passeggiata nei boschi, un concerto di mucche e di corni delle Alpi, un massaggio e una sauna, un incubo e un temporaneo idillio, un pranzo e una cena nella magnifica veranda vetrata dello Schatzalp di Davos. Qualcuno ha detto infatti che è un film “troppo scritto”: a me suona buffo, perché di rado si sono visti, almeno di recente, film così carichi di immagini mozzafiato, prive di qualunque patinatura, inquadrate e riprese, stavolta, con una macchina da presa sobriamente assai meno mobile di quella che aveva tanto innervosito i puristi dell’immagine fissa per ore e ore su nuvole o sigarette, ne La Grande Bellezza. Per chi si aggira per mostre e biennali d’Arte (contemporanea e non), la festa per gli occhi secondo i criteri dell’estetica post-postmoderna e 2.0 è garantita e grondante di invenzioni squisite e prodigiosamente sature di armonia ricercata con voluto e dominato artificio. Il senso di vecchiezza al termine di una vita lunga e ricca, ora minata dal decadimento fisico e dal progressivo distacco dalle cose del mondo, pervade con cinico struggimento l’intero film, indicando nell’Arte un’arma a doppio taglio, che può rivoltarsi contro il suo creatore (come nel caso del regista/Harvey Keitel), o fornire lo strumento di tornare a recuperare l’energia della giovinezza attraverso la Musica, che ha necessità di “essere eseguita” per non restare inerte sui fogli della partitura, come nella lirica, sognante, assurda e surreale ultima sequenza di questo film meravigliosamente cialtrone, straordinariamente presuntuoso, incredibilmente bellissimo, com’è diventato il Cinema di un autore ormai destinato a dividere e a rompere amori e amicizie.

 

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