Attimi di costernazione, di costellazione

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Ryan Gosling in Blade Runner 2049 in association with Columbia Pictures, domestic distribution by Warner Bros. Pictures and international distribution by Sony Pictures Releasing International.

Ryan Gosling in Blade Runner 2049 in association with Columbia Pictures, domestic distribution by Warner Bros. Pictures and international distribution by Sony Pictures Releasing International.

Stamattina, passeggiai, sì, uso il passato remoto per dar più risonanza al tempo che, oscurandoci, spesso ci rattrista, ecco, stamane mi rannicchiai nel dolor verace e vorace dei miei pensieri fluttuanti, carezzando la mia indole lamentosa che qua e là emerge in me remissivo, sottomesso alla pesantezza nebulosa dei giorni così tediosi. Con melanconia mia congenita, “pregio” dal quale non riesco a distaccarmi nonostante le mie “involate” nel pensar che l’aldilà non esista e dunque non val la pena rammaricarsi delle nostre sfortune quotidiane, non val dolersi per il tempo che, fuggitivo e “velleitario”, fa sì che sovente ci ammorbiamo nel patir sofferenze anche psichiche, ecco, sentii rimbombar nella mia anima un’eco, un senso di meraviglia estasiante che m’indusse ancor più a introflettermi per “annusar” con bri(vid)o quelle angosce “spassionate” che il mio cor(po) a sé richiama, in quella che posso definire una costernazione illuminante, un’apertura “inusitata” della coscienza mia viaggiante in lindi lidi del fiorir gaudente in mezzo a una realtà appunto così rabbrividente.

Credo, nonostante sia “costellato” di detrattori, di essere un genio. Sì, lo posso asserire e “convalidare” con pienezza di un orgoglio rispuntato da nebbie furtive che mi portarono proprio a soffrire di bui che v’auguro possiate anche voi avere, perché solo addentrandoci nell’oscuro nostro essere possiam ambire alle nobili altezze. Nella vivida essenza di questa mia risplendenza, posso dire che debbo assolutamente vivere laddove ai geni son concessi privilegi che l’uomo normale può solo sognare, può anelare senza mai raggiungere.

Il lavoro, così come comunemente inteso, mi rende teso e il mio cuore, atrofizzato da questo lor affaccendarsi senza senso e precisa meta, se non le sfrenate ambizioni arricchenti il perpetuarsi, perdurarsi del materialismo più spicciolo, non si terge ove possa invece rifulger di vita propria. La mia vita non è minabile da cattive invidie e da chi vorrebbe costringermi a una vita “normale” di baciamani ruffiani e di grigiori che pensano di alleggerire le oscenità con l’umorismo borghese, sempre così (p)ungente, vanamente deficiente, a “valor” del lor pen(s)ar di qualcosa valere. Gente abietta, miserabile, che imposta la sua (r)esistenza sull’avido sudore di vite banali, che si “ossigenano” soltanto appunto con vanità che reputo esecrabili, figlie di quegli ammorbanti “sacrifici” che li fan credere così validi…

Ma io vaneggio e a vanvera parlo, si sa, il genio, per sua natura “indigesta” alla massa, arreca fastidio, vive di una realtà al di sopra del disumano vostro consumarsi e vuole essere lasciato in pace, poiché sa sol allietarsi di suoi voli pindarici, risplende nell’arcobaleno pulsante dello sguinzagliarsi e abba(gl)iarsi ove può godere della sua indiscussa, eppur “discutibile” immensità. Lo so, queste mie parole fanno arrabbiare la gente che vorrebbe vedermi relegato in qualche “diagnosi” alimentare, così potrebbe tranquillizzare la sua malignità dietro qualche certificato che attesti le mie da lor (pres)unte “difformità”. Ah, è un piacere che non ha pari il mai star con questi qua in pari. E sarebbe lotta impari voler pareggiare i conti, sarebbe solo straziante dar spiegazioni a chi tanto continuerà a offenderti con quell’acrimonia tipica della gente miserrima e mediocre, piccola quanto quella falsa “cultura” dietro cui si cela per non confessare la sua invero pochezza mentale, figlia del nozionismo-neonazismo più mentecatto e merceologico.

Credo che i poeti, come me, è un dovere imprescindibilmente morale che debbano vivere lontano dagli schemi e dalle frasi fatte, dalle etichette e anche dalle “porchette”. E allev(i)arsi in stati mentali che si dissocino da tutto questo, sì, patire. Devono altrove partire.

Rallegrato quindi da questi miei pensieri, quanto mai giusti, vivrò con più lietezza la giornata che già adesso si sta facendo freschezza, alta ebrezza, sofisticata, contemplativa lentezza e poi, chissà, altro dolceamaro, oltre sentire di veloce sali-scendere sul vento di maestrale della mia barca stellata e così mal sopportata.
Che bello non star tra i finti grandi e scivolare nella grandezza.

di Stefano Falotico

 

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