L’artista è un IT agli occhi degli altri e lotta con la pioggia dei suoi dubbi amletici

pennywise

Essere artisti. Sin da quando nacqui lo volli essere, eppur per molto tempo non lo fui, castigato e fustigato da occhi maligni che perlustravano anche le mie interiorità psicologiche per addivenire superficialmente alla complessità magmatica del mio io. L’io è l’immensa sfaccettatura delle proprie complicatezze, la risultanza stupenda dei conflitti inconsci, l’incarnazione della perenne fuga dalle banalità quotidiane, l’indole innata di essere appunto artisti. Il mio percorso umano fu traviato e, travagliandosi, or sbocc(i)a in rive mastodontiche delle mie meste e poi irruente, guascone riflessioni. M’induco a meditare, a planar di lievità nel soave mio navigar fra le profondità di me arcano, non ancorato, giammai lo sarò, alla fatiscenza collettiva che vive in modo patinato le emozioni, dando valore solo alle puttanesche euforie, svendendo e dunque svilendo la propria anima per ottenere scorciatoie alle quali mai soggiacerò né, sradicandomi dal volermene annettere, abdicherò in remissione dei miei peccati. Io, come tutti, sono un peccatore, non ho vergogna ad ammetterlo, e ogni giorno pecco, sbaglio e sbadiglio, casco e poi mi rialzo, fra imbranate introversioni e capitomboli ridicoli, e slanci invece sguinzaglianti il mio disincagliarmi dagli schemi comuni, dal volgare pregiudizio, dalle morbose certezze entro cui l’uomo “normale” si rifugia per cementare, in verità, soltanto la sua mediocrità.

Molti, dinanzi a questo mio esser falotico così riaffacciatosi alle sue viscerali e più pure emozionalità, dirimpetto a quest’uomo che par non temere il domani, sebbene tentenni e ancor titubi, si stupiscono e ne rimangono inquietati. Perché non riescono a darsi una spiegazione logica, razionale, di questa mia sopravvenuta piacevolezza del vivere. Per come, in passato, tanto mi lagnai e stagnai nel poltrire più apatico, troppo meditabondo, malinconico e, quando stoltamente provocato, iracondo. Sì, ancor mi urto e d’ire mi turbo se “solleticato” con frasi cattive che non merito, con analisi sfacciate che di me vedono solo l’apparenza che fa più comodo, appunto, a quella falsa giustezza entro cui, per debolezza, eh sì, son loro i fragili, aderiscono meccanicamente, languendo nel mare delle infelicità mascherate dietro sorrisi faceti, che paiono invece esser contenti e soddisfatti di vite che, in anima loro, odiano e ripudiano.

Così, mi scopro ancora romantico e gradevolmente “strano” e anche, gioiosamente, mi “scopo”, scorporandomi nella metafisica a cui attracco quando gli umori miei cangevoli si distaccano dalle abiette carnalità, e mi rendo argento vivo nel creare, favoleggiare, intimarmi a uscir dalle timidezze e a giocare, ad abbracciar l’esistenza nel suo flusso tanto misterioso quanto, chissà, portatore di gioie e, sia mai, anche di altre ansie. Di altre paure, di miei incubi segreti, di altri posti straordinari ai quali accedere con la fantasia più ribalda, remota dalle chiacchiere frivole, dal mentecatto “g(i)usto” delle barriere che in molti (si) costruiscono per difendersi dietro volti, questi sì, da pagliacci spaventosi.

L’IT, che forse sono io, ama gli infantilismi sani, la purezza, la (s)contentezza, e fluttua sopra le fogne in cui i cretini galleggiano, facendo scoppiare i palloncini del suo cervello oggi fritto e domani fortemente ritto in abbacinante nitore che non ha nulla da nascondere, se non i suoi savi timori, i suoi magnifici pudori.

Insomma, sono un IT anomalo. Avercene…

Sono un uomo che sa… che sta un po’ qua e un po’ lì, che non crede nell’aldilà e fa il Paperino in mezzo a Qui, Quo e il suo quid.

In mezzo ai vostri patetici quiz.

di Stefano Falotico

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