“Le ali della libertà”, Review

Rita mia Rita, aiutami tu. Ridammi la vita ché io, marito punito, grattando dietro la tua impudica e non vista gatta ci cova in tal nero covo, dal buco scur uscirò per un nuovo, pulito, fresco mattino chiaro, ché prima fu plumbeo e ora ripiomba dorato dal Ciel piovuto in me rinato!

La lucidità di un attimo può illuminare la nerezza disperata dell’anima. Salvarla dalle grinfie “autoritarie” di forse ingiusto “precipizio”. Nel baratro profondo del buio più violento e scheggiante al Cuor per sempre scalfito, volare per una speranza che “riacciuffi”, agguantante, la gioia perduta, le vitali emozioni rubate, segregate, smorzate in languore “ambiguo” del proprio sangue rifulso di pioggia libera…

Passeggiando

Era una sera in cui soffiava un soffice vento caldo. Passeggiavamo allegri per strada. Ci sentivamo i padroni del mondo.
Invulnerabili, arroccati com’eravamo nelle nostre convinzioni giovanilistiche. Niente e nessuno avrebbe disturbato la nostra amicizia.
Frank era lì in mezzo a noi, pareva divertirsi, accondiscendere alle nostre risate. Replicava in silenzio con la sua faccia eternamente fissa in posa commiseratrice, come chi è avvezzo ad ascoltare stoltezze per provocarsi diletto.
Un sorriso triste che languiva sugli zigomi e dormiva sereno nei suoi profondi occhi neri. Bui, inquieti, permanentemente fissi e mobili.
Per quanto ne so, Frank mi piacque dal primo momento che lo conobbi. Aveva un modo tutto suo di esprimere le emozioni. Era carismatico e freddo, coriaceo come un martello e debole come la dura roccia che si sgretola sotto i suoi colpi. Placido come un lago boschivo increspato dalla brezza serale. Inafferrabile come le alghe che si agitano sotto la sua superficie.
Quando uno pensava di aver capito qualcosa su di lui, eccolo comportarsi in maniera assolutamente imprevedibile, spiazzante, ironicamente caustica. Poi sfoderava il suo inconfondibile sorriso disinteressato e girava lo sguardo altrove.
Alle volte avevi paura a fissarlo negli occhi. Pareva impossessarsi dei tuoi pensieri e non volerli restituire. Frank era una bella persona…

 

Pareva esser schiavo di uno stupore tranquillo, come se non gli importasse di niente e di nessuno. O per ragion contraria, talmente assorto a riflettere da apparir distratto.
In certi momenti era davvero difficile solo provare ad immaginare cosa gli passasse per la testa. Stava lì ad osservare le macchine sfilare dalla finestra, col suo strano sorrisetto stampato in faccia. Non aveva bisogno di dirti che non desiderava parlare. Lo si capiva benissimo.
Lo fissavo, ticchettando con le dita sull’orlo del bicchiere, forse per richiamare la sua attenzione. Per un attimo volli fortemente che si voltasse verso di me e con irruenza mi bloccasse la mano, urlandomi: «Basta, mi dà fastidio». Frank non l’avrebbe mai fatto, men che meno in quell’occasione. Con lui potevi startene zitto senza provocarti imbarazzo.
Quel picchiettare ripetuto doveva martellargli le cervella, ne sono convinto, ma non era il tipo che t’avrebbe violentemente intimato di smettere. Soprattutto se eri l’unico possibile interlocutore seduto al suo fianco. Sarebbe stato come dirti: «Non sopporto la tua compagnia. Se proprio hai da dire qualcosa, dilla»

 

Quest’estratto non è estrapolato, appunto, dalla voce narrante del grande film di Frank Darabont, bensì è un segmento, come riportato da link a “intestazione”, della mia prima opera letteraria, “Una passeggiata perfetta”.
Uno dei personaggi principali del mio libro rispecchia, per alcuni tratti caratteriali, proprio Andy Dufresne, il protagonista di questo The Shawshank Redemption.

Ora, fratelli della congrega, non scambiate tale mia… per una mera pubblicità “occulta” o come un modo “losco” per incitarvi o sollecitarvi all’acquisto di “Una passeggiata perfetta”. Non sono quel tipo di persona che utilizza ogni “forum” a sfoggio furbo e promozionale delle mie creazioni, letterarie e non. Non appartiene alla mia indole né alla mia educazione.

Ho semplicemente citato questo… perché, “riprendendo in mano” Le ali della libertà, m’è tornata alla mente l’estemporanea, sì prodigiosa, e lo è senza dubbio, ispirazione “stramba”, esoterica, da cui s’è generata la mistura che ha dato linfa “stilografica” a quel mio ipnotico frangente rischiarante. Anzi, chiarissimo come un Andy Dufresne che, “bloccato” nel suo silenzio obbligato, non si castiga affatto ma scava nelle sue interiora a ragion mnemonica d’una “strategia”, certo raschiantissima, addolorante e “tristemente” imprigionata, soprattutto a logorio della psiche, che però gli sarà (ir)razionale folgore di salvazione ed evasione. Del suo Cuore, del complesso di “colpa” d’una forse innocenza punita d’ingiustizia. Sì, il mio esordio…, oltre a essere un originale omaggio proprio alla memoria di Marlowe versione Altman, attinse anche all’atmosfera melanconica di questo film miscelato a Stand by MeStephen King… ci sarebbe da glorificarlo in monumentale infinitezza geniale, probabilmente non tanto quando è un romanziere celebre per l’horror, spesso sopravvalutato e oramai “accasciatosi” in prolisso raffazzonare qualche intuizione nell’adattarla poi a un gusto compiacente del “normale” lettore che furbescamene abbindola con truculenze di prosa “tavolino”, piuttosto andrebbe ricordato e quindi rivalutato in particolare… per le sue perle, “sconosciute” ai più. A mio avviso, al di là della spropositata fama, come già detto vagamente oltre i suoi reali meriti, King è immenso paradossalmente quando (non) è il King amato dalla maggioranza. Che cerca storie “macabre” prive di profondità psicologica, squartamenti facili e “inquietudini spaventose” a getto per annusare il senso, però mediocre, del proprio sempre, immutabile e vigliacco inconscio “tranquillo”.
No, King è davvero Re indiscutibile altrove. Nei suoi ricordi da collegiale del Maine che scende negli abissi “lacustri” d’un Proust alla Poe, che soffia sulle “rive” del romanticismo anacronistico e fuori da ogni Tempo, e par che così magnificamente s’innamori di piccole storie intimistiche a crepitar… dentro gli occhi di un umanistico abbagliarsene e abbacinarci.

Come in questo caso…

Rita mia Rita, aiutami tu. Ridammi la vita ché io, marito punito, grattando dietro la tua impudica e non vista gatta ci cova in tal nero covo, dal buco scur uscirò per un nuovo, pulito, fresco mattino chiaro, ché prima fu plumbeo e ora ripiomba dorato dal Ciel piovuto in me rinato!

La “trama” è semplicissima ma King, nel suo appunto “Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank”, trasforma quel che è all’apparenza una “banale” storia carceraria, con annesso già letto, e “sentito”, (in)credibile errore giudiziario ma non troppo…, in una clamorosa storia davvero emozionante.

King è stato sempre molto fortunato anche sul versante delle trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi. E può fregiarsi d’“adattamenti” autoriali firmati De Palma, Reiner e Stanley Kubrick fra gli altri, anche se quello… Shining strepitosamente kubrickiano, assurdità delle più grottesche, l’ha sempre “odiato”, disconosciuto e ripudiato con stizza, perché non lo ritenne “fedele” al “suo” originario… ah, Stephen, ti bacchettiamo ancora… avresti gradito un Kubrick purista? Non me la dai a bere…

Ma torniamo a Shawshank. Ecco che, dal cilindro di cotanti cineasti del bel beatificarlo, spunta un “anonimo” Frank Darabont. Un signor “nessuno” sino ad allora.

D’altronde, eh eh, va bene… non deve adattare un King “bestseller” ma un film “come tanti”.

Invece Frank… stupisce tutti prodigiosamente e ci dona un’opera che non è un capolavoro ma qualcosa di più. Un film che, lentamente, con discrezione felpata, prende la sua strada e sempre pian piano ascende vertiginosamente, partendo da un “pretesto” comunissimo, quasi trascurabile.
Un ex vicedirettore di banca viene stritolato da uno svelto “linciaggio” processuale perché accusato dell’omicidio della moglie e del suo amante. In America non van per il sottile. Se non ci son prove a tua difesa, il verdetto è lapidario, immediato, per direttissima.

Andy dunque vien sbattuto, senza se e senza ma, a Shawshank, un braccio della morte stritolante. Andy, Andy che pasticciaccio… ora sei condannato per due ergastoli e , appunto“indifendibile”, lì crollerai durante la prima Notte… Piangi, bambino cattivo.

Invece no, pare che non te ne freghi nulla. Non fai una piega, non ti pieghi e pur t’adatti, come se niente fosse, perfino all’ambiente più duro, trovando perfino un “lavoretto” da bibliotecario.

Tutto (ti) scorre addosso e appari “invisibile”. Sempre sulle tue. Stringi un’amicizia vera soltanto con Red, nero “bastardo” segnato da un personale, indelebile, orribile scheletro nell’armadio.

Adesso Red è specializzato al “contrabbando”, vai da lui, gli chiedi qualunque cosa e te la procura. Come riesca, non si sa…

Red ha sbagliato, tu Andy hai sbagliato (?).

Andy soffri come un cane ma non lo dai a vedere. Sembri “tonto”, pare che tu abbia accettato, remissivo, di morire da un cagnolino fra le sbarre. Ubbidiente quel tanto da servo del direttore aguzzino.

Passeggi… mesto, con le mani in saccoccia nei granelli di “polvere”…

Sì, oltre ad archiviare i libri… in biblioteca, non c’è molto da fare. Quella cella è gelata.

Va “scaldata” con un poster della rossissima Rita…

Lo “appiccichi” in bella vista. A scadenze regolari, le guardie controllano che sia tutto a posto nel tuo “loculo”. E nessuno “smuove” il manifesto. Che male c’è? Oh, Andy, al massimo ti farai delle seghe. Capirai. Mica possono toglierti pure quel “passatempo” per una passerona da sognare…
Intanto, il Tempo appunto scivola.

E tu scappi dalla “gattta… buia”, usando il “buco” aperto dietro… Rita.
Oplà.
Che puoi dire a un colpo di genio del genere?

A voi importa che Andy sia colpevole? Anche se lo fosse? La moglie, in fondo, era una stronza.

Di mio, Andy mi sta simpaticissimo. Non so voi. L’aspetto in riva al mare.

Io e Andy ce ne fottiamo.
Doveva andare così. E allora?

(Stefano Falotico)

 

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