Black Mirror, quarta stagione: Crocodile

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Ebbene, stavolta recensirò per voi quello che è stato definito l’“episodio” più brutto di tutte le stagioni di Black Mirror, ovvero Crocodile. Permettetemi in parte di dissentire, ne spiegherò le ragioni.

Diretto dall’esperto John Hillcoat (The RoadLawlessCodice 999), è certamente irrisolto, non del tutto riuscito, abbastanza carente in materia di pathos e forse troppo sbrigativo, ma questi sono difetti tipici di questo genere di “produzioni” che, dovendo obbligatoriamente stare nel minutaggio di solo un’oretta, inevitabilmente peccano di superficialità e son costrette ad accelerare narrativamente, con snodi spesso troppo facili.

Subito, in un montaggio sincopato molto “ballerino”, in maniera, oserei dire, lisergica… veniamo catapultati nel caos di una disco-dance. Poi, i due protagonisti, un ragazzotto ben pasciuto e una ragazzina quasi anoressica, ritornano a casa a tutta velocità sul loro macchinone. Ancora sballati e ubriachi, investono involontariamente un passante in bicicletta e l’ammazzano sul colpo. Sconvolti, anziché chiamare la polizia e identificarsi come autori del “delitto”, ben consci delle orribili conseguenze a cui andrebbero incontro, liberi da sguardi indiscreti, essendo quel posto quasi abbandonato da Dio, raccolgono il cadavere dall’asfalto e lo gettano in un lago lì vicino. Maschereranno nelle loro colpevoli coscienze il misfatto per anni.

Quindi… salto temporale. Una donna, con marito e figli, fa una conferenza e viene celebrata come geniale, innovatrice architetta. È la stessa donna autrice dell’omicidio, adesso profondamente cambiata nel look, cresciuta e con una vita soddisfacente e ambiziosa. Nella sua stanza dell’albergo, fa capolino la sua vecchia conoscenza, il suo ex ragazzo… che le confida, mostrandole una foto di giornale, che la moglie di quell’uomo da loro ucciso tanti anni fa è viva, non si dà pace per la scomparsa del marito ed è disperata. E sta cercando ancora la verità… poiché non ha mai saputo perché fosse sparito nel nulla. In questa notte d’antichi complessi di colpa, di un glaciale passato tormentoso che riemerge in tutto il suo brutale, gelido orrore, accadrà ancora una volta qualcosa di macabro…

Intanto, un’agente assicurativa sta interrogando vari testimoni riguardo un banale incidente stradale. Sì, è stata sviluppata e messa a punto una tecnologia rivoluzionaria, il “rammentatore”, uno strumento che legge nei ricordi delle persone per rievocare “tangibilmente” ciò che è custodito negli anfratti “soggettivi” della memoria.

Questa è la prassi…

Quell’incidente stradale è stato fuggevolmente visto anche dalla nostra signora “morte”. E qui viene il bello, anzi, l’orrido… come avrete potuto facilmente intuire. Viene interrogata, le verità emergono, i suoi delitti non possono essere più nascosti e ci scappa un’altra morta. E via via la violenza esplode sanguinaria e incontrollabile. Sino al twist finale che ha dell’incredibile e che naturalmente non vi sveleremo per non rovinarvi la sorpresa.

Ecco, il tutto poteva essere indubbiamente svolto meglio, non ci convince la deragliante, repentina deriva omicida della protagonista, incarnata dalla magrissima e luciferina Andrea Riseborough, e la sceneggiatura di Charlie Brooker lascia molto a desiderare. Troppo meccanica, automatica la follia che viene ingenerata, esagerate le dinamiche assassine e la logica qui non combacia tanto con la verosimiglianza narrativa e con le cause-effetto della vicenda. Insomma, possibile che questa donna, all’apparenza normalissima, si sia trasformata in uno spietato mostro all’improvviso? No, forse a ben vedere, da quel giorno maledetto di quel cadavere buttato nelle acque, la sua psiche aveva già subito una sinistra deviazione celata proprio nei ricordi della sua bestialità arcanamente umana e probabilmente lei sempre mentito su questo “cambiamento” perfino a sé stessa, coprendosi d’una maschera sociale apparentemente perfetta quanto ambiguamente terrificante.

Quindi Crocodile è proprio brutto? Sì, in parte lo è, e non emoziona neppure molto, non avvince nella trama e nei suoi sviluppi, ma almeno vince sul piano dell’ambientazione e dell’eleganza formale delle immagini, immergendoci in una cupa Islanda spettrale da noir polizieschi da Jo Nesbø, e alla fin fine si fa apprezzare per il taglio prospettico delle freddissime inquadrature, per l’interpretazione distaccata e agghiacciante della Riseborough e ci ha fatto sorridere onestamente per il finale tanto grottesco quanto inaspettato e al solito cinicamente crudele in puro stile Black Mirror.

Una simpatica sciocchezza, insomma, pretendiamo certo di meglio, ma Crocodile non è così disprezzabile come si è letto in giro. Soprattutto se siete amanti di tetre location e dei panorami aridamente gelati e umanamente raggelanti.

 

di Stefano Falotico


 

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