Racconti di Cinema – Indian. La grande sfida con Anthony Hopkins

Indian Hopkins

Ebbene, oggi voglio parlarvi di Indian, il cui titolo originale completo è The World’s Fastest Indian, scritto e diretto da Roger Donaldson (Senza via di scampoCocktailSpecie mortale, etc.), uno di quei registi “artigianali” di cui tutti, forse senza saperlo neanche, avranno certamente visto in vita loro almeno un paio di film, ma che non si può definire un autore e ha sempre lavorato un po’ nell’ombra, realizzando opere spesso inclassificabili, ibride fra il mainstream più commerciale, il semplice film di cassetta, e velleità autoriali comunque indiscutibili ma irrisolte, perché sicuramente la sua filmografia è improntata al Cinema di genere, secco, deciso, senza fronzoli, e le sue sono storie perlopiù di personaggi parsimoniosi che si danno volenterosamente a grandi imprese, ma quasi mai le sue sono opere che raggiungono la vetta della memorabilità, si lasciano vedere con piacere, con gusto, son godibili come si suol dire, ma senz’ombra di dubbio non sono trascendentali né si potranno annoverare come pietre miliari della Settima Arte. E anche Indian non fa eccezione e possiamo tranquillamente annetterlo alla categoria del “discreto”, passabile… senz’infamia e senza troppa lode.

Questo film del 2005, della durata di due ore e 7 minuti, è interpretato da Anhony Hopkins, che torna quindi a lavorare con Donaldson a distanzia di circa un ventennio da Il Bounty, la “versione”, diciamo così, con Mel Gibson.

Qui si narra la vicenda reale di Burt Munro, neozelandese, un uomo anzianotto pieno di acciacchi, con problemi al cuore e perennemente afflitto da un dolorosissimo male alla prostata, che passa la sua vecchiaia quasi sempre in officina, ove da anni sta mettendo a punto una moto da corsa, la sua Indian Twin Scout, perché nonostante l’età coltiva un grandioso sogno, quello di poter andare nelle saline di Bonneville nello Utah per battere il record di velocità. Alla fine, si mette in viaggio per attraversare l’oceano col suo gioiellino e parte alla volta del suo splendente dream. E questo sogno, che pareva impossibile, lui riuscirà immensamente, contro ogni sfavorevole e realistico pronostico, a realizzare, diventando l’uomo più veloce del mondo.

Un film retorico, all’insegna sfacciata di buonissimi sentimenti nel quale, a parte un paio di personaggi marginalissimi, tutte le persone che Munro incontra nel suo cammino si dimostrano gentilissime, care e affabili, e lo stesso Munro viene abbastanza relegato a una bidimensionalità di character dal gran cuore ingenuo e caramelloso ai limiti del rimbambimento, prodigo e caritatevole col prossimo e sempre col sorriso sulla bocca e la battutina filosofica a stemperare le acidità e il cinismo.

Insomma, il film è tutto qua, e quello di Munro è un lungo viaggio on the road in cerca della sua meta invincibile, un viaggio costellato di personaggi bizzarri ma caritatevolmente ineccepibili.

Due inoltre i camei da ricordare, quello sfolgorante di Diane Ladd e quello simpatico, birbantesco di Bruce Greenwood.

Un po’ poco, direte voi. Ma, stranamente, nonostante il retrogusto zuccheroso e insopportabile, il film comunque funziona e in un qualche modo ci appassioniamo alla stramba e peculiare vicenda di Munro. Il merito forse della parziale riuscita del film sta in Hopkins, splendido, misurato, che non “stecca” una sfumatura. D’altronde lo stesso Hopkins, recentemente, quando gli hanno chiesto quali pensa che siano le sue migliori interpretazioni, ha elencato le sue performance in Quel che resta del giornoNixon e ha citato, non a torto, secondo me, proprio questo ruolo, Burt Munro in Indian – La grande sfida.

di Stefano Falotico

 

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