Racconti di Cinema – Basic Instinct di Paul Verhoeven con Sharon Stone e Michael Douglas

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Basic Instinct con Sharon Stone e Michael Douglas, il prototipo perfetto dell’erotismo plastificato della stupida Hollywood dei nineties. Un pastrocchio di rara furbizia? Con una Sharon però d’antologia, nel bene e nel male? Siamo sicuri che sia realmente brutto come si disse?

Sì, oggi vi parlerò di questo classico invincibile, non nel senso raffinato del termine. Cioè non un film soavemente di prim’ordine ma diventato immediatamente una tappa fondamentale da prendere in seria considerazione per l’impatto che ha avuto nell’immaginario erotico mondiale. Tanto d’assurgere a modello basilare di thriller erotico per eccellenza.

Anche se sinceramente appare, oggi come oggi, un po’ inconcepibile e assurdo che venga annoverato tra i film più scandalosi di sempre assieme a 9 settimane e ½ di Adrian Lyne con la bollente coppia dei sex symbol platinati per antonomasia degli anni ottanta, il trasgressivo, stropicciato Mickey Rourke e la longilinea, bionda tutta d’oro Kim Basinger, e naturalmente a Ultimo tango a Parigi del nostro Bertolucci con un Marlon Brando allo zenit della sua maschia sensualità sull’orlo del maledettismo decadente più anarchicamente ribelle e una Maria Schneider conturbante da celeberrima scena del burro. Peraltro, sottolineiamolo, scena indimenticabile quanto sopravvalutata e ridicolmente mitizzata.

Ebbene, solo Ultimo tango…, di questi tre, è un capolavoro, il film di Lyne è un trascurabilissimo esempio di Cinema commerciale melenso e programmaticamente pruriginoso, alquanto imbarazzante, rivisto oggi.

Basic Instinct invece porta la firma di Paul Verhoeven, un regista, come sappiamo, tutt’altro che incapace, autore di alcuni dei film di fantascienza più spericolatamente coraggiosi, distopici, sfrontati, impavidi e persino irriverenti delle ultime decadi, basti pensare al seminale, violentissimo e stilizzato RoboCop, al ventrale Atto di forza, al profetico, politicizzato e inaudito Starship Troopers, un autore che, dopo la scemenza di Showgirls, con la quale tentò pateticamente di bissare il successo di Basic Instinct in maniera fallimentare, ha poi nuovamente saputo inventarsi con film bellissimi come Black Book ed Elle.

Un olandese senza sprezzo del pericolo, abile ed espertissimo nel suo mestiere che, alla veneranda età di ottant’anni, sono convinto che non mancherà di stupirci anche col suo prossimo Benedetta.

Ma torniamo a Basic Instinct. Film uscito da noi il 18 Settembre del 1992 e subitaneamente diventato un hit che furibondamente sbancò il botteghino, annientò, sfracellò e repentinissimamente frantumò ogni record d’incasso grazie al martellante, tonitruante, maliziosamente ruffiano battage pubblicitario. Che divinizzò fin dapprincipio la star creata ad hoc per l’arrapato pubblico di massa. Certo, lei, Sharon Stone, l’unica attrice forse nella storia del Cinema a essere stata elevata a diva assoluta, a paladina della sensualità più impudica ed emancipata soltanto grazie ai pochi istanti infinitesimali del suo audace, provocante, svergognato e famosissimo accavallamento di gambe senza slip nella scena dell’interrogatorio. Insomma, quello che oggi viene definito un lampante, entusiasmante, eccitantissimo, inequivocabile upskirt.

Sì, Sharon, un’attrice divenuta arcinota, a livello planetario, in un batter d’occhio solo col devastante potere cataclismatico, oserei dire a proposito degli ormoni maschili da lei vigorosamente strapazzati, di un ammiccante, giocoso e peperino accavallar di cosce senza biancheria intima addosso.

Incredibile, vero? Eravamo nel ’92. Oggigiorno, a poco più di venticinque anni da questo film, scene di questo tipo non suscitano alcuno scandalo. A meno che non siate dei tremendi moralisti incurabili e dei perbenisti chiesastici, repressi e bigotti. Impazza la pornografia sul web, siamo bombardati giorno e notte da immagini decisamente più osé di quelle presentate in Basic Instinct, tali forme di lussuria voyeuristica costruita a tavolino c’inducono semmai a sorridervi, rattristandoci, perdonandole e assolvendole con compassionevole bonarietà. Cioè, questi escamotage pubblicitari non ci turbano affatto. Anzi, addirittura ci annoiano. È ben altro che sollecita il rimescolamento dei nostri sensi, è molto altro che denuda e sconvolge le nostre innate voglie irregolarmente peccaminose.

Fatto sta che Basic Instinct divenne un istantaneo fenomeno di costume e il suo sceneggiatore, il volpone Joe Eszterhas, con la sua scaltrissima trovata, guadagnò talmente tanti soldi da poter sfamare tutte le sue future generazioni. Anche se, va ammesso, che il successivo, già succitato Showgirls, sempre da lui firmato, e Sliver col quale cercò miseramente d’intascare altri facili dollaroni, deflorando del tutto ogni residua, virginale resistenza di Sharon (sì, spogliandola impunemente del tutto, deprivandola di ogni rimastale castità cinematografica e non, e regalandole incessanti nudi generosissimi, gratuiti, abbondanti e marmorei), gli andarono giustamente malissimo.

La trama di Basic Instinct è parossisticamente banale e tanto incredibilmente allucinante e terribile nella sua ovvia linearità anemica, sì, talmente poco appassionante e passionale, che m’induce adesso inevitabilmente e con indubbia costernazione a riflettere (dico a voi, finti bacchettoni, certo, e vi punto il dito, vistone lo spaventoso e inammissibile successo e l’osceno appellativo di cult che gli decretaste) su quale possa esser stato, al di là delle grazie della Stone bellamente esibite, il motivo principale che all’epoca v’indusse a osannare tale riprovevolmente scioccante ma efficace sciocchezza (non sconcezza, attenzione), e ciò mi porta anche a interrogarmi sulla ragione, reale e leale, che vi spinse… ad accorrere al cinema per vederlo. Solo per vederla…?

A San Francisco, un uomo viene trovato morto nel suo letto. Efferatamente massacrato con un punteruolo dopo uno scatenato amplesso. Chi è stato o chi è stata a ucciderlo?

La scrittrice-psicologa bisessuale Catherine Tramell (Sharon Stone) è l’indiziata numero uno. Ogni sospetto infatti cade su di lei.

Catherine si sottopone alla macchina della verità e viene poi interrogata dalla polizia, appunto nella scena senza mutande. Il detective Nick Curran (Michael Douglas), sconvolto dal fascino ipnotico e seduttivo della donna, comincia a cambiare personalità e assume atteggiamenti violenti nei riguardi della sua amante, la castana dottoressa Beth Garner (una Jeanne Tripplehorn sexy e magnifica quanto Sharon), tanto da sodomizzarla, una notte, con immonda brutalità, in preda a un’incontrollabile, scalmanata, delirante furia pazzesca.

La donna, esterrefatta e schifata dal gesto di Nick, lo schiva, lo allontana, ma comunque gli confida parecchie informazioni importanti su Catherine Tramell. Beth conosce molto del passato di Catherine perché avevano frequentato assieme lo stesso corso.

Continuano le indagini e Nick viene sempre più dissolutamente attratto da Catherine. Dopo un infuocato ballo a un night club, Nick bestialmente cede alle ardite lusinghe di Catherine e abbocca piacevolissimamente al suo sbranante, spudorato, impudentissimo corteggiamento.

I due finiscono a letto e si amano come inverecondi animali selvaggi. Distruggendo e incenerendo ogni loro reciproco pudore.

Nick rischia grosso. Se davvero Catherine fosse l’assassina e avesse il vizietto di trucidare col tritaghiaccio le sue vittime durante i suoi torridi rapporti sessuali quasi sadomaso?

Ma Nick è troppo innamorato di Catherine, non può resisterle, e forse anche Catherine è per la prima volta in vita sua davvero sensibilmente innamorata di un uomo…

Chissà… lo ucciderà o no? O si ameranno e scoperanno come conigli per tutta la vita?

Ora, chiariamoci. Verhoeven, come detto, non è il primo venuto, ha strepitoso senso del ritmo e la fotografia di Jan de Bont è bella, elegante, sensuale. E neppure le musiche di Jerry Goldsmith sono malvagie.

Ma è chiaramente stato ed è un cretinesco porno molto soft, abbastanza innocuo, velleitario, architettato per sollevare lo scandalo facilissimo, per rilanciare la carriera all’epoca in discesa del macho Douglas (che probabilmente in Black Rain era stato molto più affascinante e virile che qui) e per creare dal nulla una nuova dea di Hollywood, una sorta di niccoliana S1m0ne perversa e to die for… Sharon Stone!

La Stone fregò perfino la Critica americana e si guadagnò una nomination ai Golden Globe.

In Basic Instinct è davvero bellissima, stratosferica, magnetica. Ma continuo a credere, ve lo dico con enorme sincerità, che al di là della sua impareggiabile venustà, del suo notevole, immane sex appeal e della sua prova sofferta e sentita in Casinò di Scorsese, Sharon Stone sia sempre stata un’attrice abbastanza mediocre.

Non me ne volere, Sharon.

Chioserei con le recensione di Morandini estrapolata dal suo Dizionario, alquanto in linea con la mia disamina e piuttosto aderente al mio giudizio…

Morandini: poliziotto di S. Francisco è morbosamente attratto da una scrittrice sospettata di un omicidio commesso durante un amplesso. Thriller erotico in forma di giallo (whodunit) di imbecillità costernante e di svergognata disonestà nell’accanita ricerca dello choc. Verhoeven e il suo strapagato sceneggiatore Joe Eszterhas (3 milioni di dollari!) mimetizzano i loro intenti mercantili, e la misoginia, con pomposi alibi tematici. Celeberrima la scena dell’interrogatorio in cui la fatale Stone, senza slip, accavalla le gambe. È tutto dire. M. Douglas, spesso con le brache abbassate, sembra la copia carbone del padre Kirk nelle sue peggiori interpretazioni.

Mentre Paolo Mereghetti, dopo aver mantenuto intatta la sua sonora stroncatura in molte edizioni del suo tomo, in quella del 2018 ha alzato le stellette da una e mezza a due e mezza, rivalutandolo alla grande e definendolo un ottimo blockbuster dalla discreta suspense.

In fondo, sì, non è poi malissimo, è soprattutto un film assai interessante a livello sociologico per capire quali fossero i turbamenti, post-edonismo reaganiano, degli uomini e delle donne.

Ma, per carità di Dio, i grandi film sono altri.

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di Stefano Falotico

 

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