Racconti di Cinema – Lo spaventapasseri di Jerry Schatzberg con Al Pacino e Gene Hackman

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Oggi recensiamo un film del quale in verità pochi parlano, un film magnifico che, se non avete visto, dovete recuperare quanto prima. Una colonna portante del Cinema disilluso e neorealista degli anni settanta, ovvero Lo spaventapasseri (Scarecrow) di Jerry Schatzberg, Palma d’oro a Cannes, ex aequo con Un uomo da affittare, interpretato da un due eccezionale, i premi Oscar Gene Hackman e Al Pacino, qui all’apoteosi della loro forza recitativa.

Film del 1973 della durata di un’ora e cinquantadue minuti.

Mi soffermerei per un attimo su Schatzberg. Regista classe ’27, di origini ebree, nato nel Bronx. Un cineasta che, visto appunto questo straordinario Lo spaventapasseri e il precedente Panico a Needle Park, sempre con Al Pacino alla sua primissima apparizione sul grande schermo, prometteva davvero parecchio.

Ma via via è scomparso dalla circolazione, pur essendo stato l’autore anche del controverso remake del celeberrimo film strappalacrime Incompreso (Vita col figlio) di Luigi Comencini, nella sua versione a stelle e strisce ancora una volta con Gene Hackman, L’ultimo sole d’estate. E della trasposizione del famoso libro di Fred Uhlman, L’amico ritrovato.

Comunque sia, Lo spaventapasseri rimane il suo capolavoro.

La storia di due disperati, Max (Hackman) e Lion (Pacino) che su una strada della sterrata California imparano curiosamente a conoscersi. Dopo aver fatto l’autostop, cominciano a girovagare per l’America. Max è stato da poco rilasciato dal carcere, ove ha scontato sei anni di detenzione e ora, finalmente libero, sogna di aprire un grosso autolavaggio a Pittsburgh. Lion invece, dopo aver vissuto sulle navi negli ultimi cinque anni, desidera tornare a Detroit per regalare al figlio piccolo, mai conosciuto, una dolce lampada. E sapere dalla sua ex moglie, Annie Gleason (Penelope Allen) se è il figlio è un maschio o una femmina.

Dapprima i due sostano a Denver, ove vengono ospitati da Coley (Dorothy Tristan), con la quale Max aveva avuto un bollente flirt. Qui Max però perde la testa per la sua amica Frenchy (Ann Wedgeworth).

Mentre Max è un tipo burbero, rozzo e perennemente litigioso, Lion prende la vita con enorme filosofia, scherzando sulla fatalità del tempo e ingenuamente, quasi bambinescamente, non curandosi degli eventi negativi occorsigli nel corso dell’esistenza.

Da qui il titolo del film che si rifà metaforicamente al significato che Lion stesso attribuisce allo spaventapasseri, che ai suoi occhi appare come un fantoccio buffo che fa ridere gli uccelli.

Ma la tragedia attende Lion al varco. Lion telefona all’ex moglie che, delirando in preda alla rabbia, sconsolata perché Lion l’aveva lasciata, gli mente sul figlio, invero vivo e vegeto, dicendogli che è morto mentre era all’ottavo mese di gravidanza. E gli sussurra adirata che non è mai stato battezzato, quindi non ascenderà mai in paradiso ma la sua anima vagherà dannata nel limbo di un’eternità nerissima e maledetta.

Lion, come sempre, pare non accusare il colpo. Ma di lì a poco la sua psiche crollerà e gli sarà diagnosticata una gravissima schizofrenia.

Max, impotente e distrutto per l’accaduto, s’involerà lo stesso per Pittsburgh. O forse no… Ma avrà perso il suo più caro amico, come tante altre cose nella vita, oramai irrecuperabili e perdute irreversibilmente in quel suo cassetto dei sogni rimasto sigillato nell’arrugginito scrigno dell’amarezza più sconfinata.

Un tristissimo quanto emozionante ritratto dell’american dream inceneritosi dinanzi alla dura, brutale realtà del mondo.

Sorretto da una regia attentissima alle sfumature, che s’incolla ai visi iper-espressivi dei due suoi mastodontici protagonisti. E si prende tutte le sue lentezze, le sue pause, le sue digressioni scanzonate e goliardiche, affidandosi a lunghi e meticolosi piani-sequenza e a mobili inquadrature che a volte, quasi teatrali, diventano repentinamente fermissime, entrando vivamente zoomanti nel cuore appassionato di questi due loser destinati a una sconfitta ancor più irreparabile e struggente. Regalandoci forti, spassose e poi devastanti emozioni lungo tutto l’arco della sua durata.

Illuminato dalla meravigliosa fotografia del compianto Vilmos Zsigmond (Il cacciatore, Incontri ravvicinati del terzo tipo…).

Lo spaventapasseri…

Che film!

Un film sul tempo, sull’amicizia, sulla caducità dei piccoli, grandi sogni impossibili.

Piccola curiosità: l’attrice Penelope Allen che qui, appunto, interpreta nel finale la parte dell’ex moglie di Lion, avrà un ruolo ben più consistente, due anni dopo, nell’altrettanto epocale Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet.MV5BODExNjg1MWQtMDlhMy00N2E0LWIwNzUtYmNhMzkxNGVhZjAyXkEyXkFqcGdeQXVyNjUwNzk3NDc@._V1_SY1000_CR0,0,1330,1000_AL_ MV5BMGVlNjU5ZDEtMjgxZC00ZjUyLTljYTQtZjJlNTA3ZjFlN2EyXkEyXkFqcGdeQXVyMzAwOTU1MTk@._V1_SY1000_CR0,0,804,1000_AL_

di Stefano Falotico

 

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