The Punisher 2, recensione completa

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Ebbene, finalmente abbiamo terminato di vederla. Stiamo parlando della seconda stagione di The Punisher, targato Marvel, con protagonista il solito strepitoso Jon Bernthal. Un uomo che, dopo tante particine, dopo essere stato il figlio di Robert De Niro nel divertente ma pasticciato e alquanto disdicevole Il grande match, Grady ‘Coon-Ass’ Travis in Fury assieme a Brad Pitt, il ciarlatano e un po’ imbranato Brad dello scorsesiano The Wolf of Wall Street con Leonardo DiCaprio, Matt ne I segreti di Wind River, il truffaldino ma sessualmente appetibile Ted di Sicario firmato Denis Villleneuve (sì, era lui quello che flirtava con Emily Blunt, portandosela a letto), dopo The Accountant e tantissimi altri ruoli più o meno incisivi, con The Punisher pare aver trovato la sua definitiva, giusta dimensione attoriale.

Chiariamoci. Il Punitore del celeberrimo fumetto è, se possibile, ancora più coriaceo e taurino, più muscoloso e ingrugnito del pur somigliante nostro Bernthal ma Bernthal ha saputo infondere, in questa rivisitazione targata Netflix, un’anima al personaggio e una sorta di specularità emozionale da lasciarci stupefatti e senza fiato. Un’incarnazione fantasiosa, personalissima eppur agganciata allo spirito originario del personaggio stesso da lui rappresentato.

Bernthal è, come si suol dire, l’attore perfetto, nato per questa parte. E, dopo averlo visto in azione e aver accaloratamente tifato a spron battuto per lui, non riesco sinceramente a immaginare un altro interprete al suo posto.

Davvero grandioso, magnifico.

Premesso ciò, al di là, ribadisco, della mia oramai sconfinata ammirazione per Bernthal, rapace, grintoso, capace di farci stare simpatico un personaggio che, onestamente, malgrado il suo imperdonabile passato traumatico e l’aver visto sterminare la sua famiglia sotto i suoi occhi, non è che sia propriamente uno stinco di santo, The Punisher 2 (e ci stringe il cuore affermare quanto segue) ha parzialmente fallito e mancato il bersaglio. Deludendoci, in fin dei conti, non poco.

Dopo l’acclamata prima stagione, i fan di questa serie trepidantemente non vedevano l’ora di riabbracciare il loro beniamino per antonomasia, il Punitore, sperando che continuasse a picchiare i bastardi e i figli di puttana meritevoli dei suoi vendicativi pestaggi sanguinari, e dunque a gran voce avevano chiesto immediatamente, appunto, la stagione due.

Probabilmente, pur di accontentarli quanto prima, gli sceneggiatori e la produzione hanno accelerato oltremodo l’operazione, diciamo, di rilancio e, a soltanto un anno di distanza dal debutto della prima stagione, affrettando sciattamente un po’ tutto, hanno distribuito questo nuovo segmento, sorvolando colpevolmente sui dettagli e sui personaggi.

The Punisher 2 è rocambolesco, violentissimo quanto il primo, esuberante, guascone e pieno di momenti memorabili ma sostanzialmente assai monocorde e, in particolar modo negli ultimi episodi, fiacco e privo di quella coesa tensione creativa, di quel vivo, appassionante mordente funambolicamente cinetico, spericolato ed emozionante del capitolo numero uno. Avevamo detto che i primi cinque episodi di The Punisher 2 ci avevano abbastanza folgorato. E tutto lasciava presagire infatti di trovarci dinanzi a una serie nuovamente, quanto la prima, estremamente soddisfacente. Purtroppo, ahinoi, così non è stato. Esattamente, è dall’episodio numero sette che qualcosa, anzi più di qualche cosa, ha iniziato a non funzionare e la chimica s’è rovinosamente inceppata. L’intrepida e coinvolgente amalgama dei primi episodi si è affievolita a dismisura e pian piano squagliata sotto i coli letali e pedissequi di una narrazione eccessivamente prolissa, piena zeppa di digressioni inutili, soporifere, per non dire imbarazzanti.

Josh Stewart, nei panni del Pilgrim, dopo averci entusiasmato e stupito con la sordina magnetica dei primi episodi, si è sciolto come neve al sole e il suo pur interessantissimo personaggio, così come di conseguenza la sua prova recitativa, ha cominciato a essere sempre più bidimensionale, scadendo perfino nel patetico e ridicolo involontario. Come se gli sceneggiatori, non sapendo bene come delinearlo, in corso di sviluppo, avessero tralasciato aspetti peculiari della sua personalità che dovevano essere necessariamente approfonditi e descritti con più puntigliosa oculatezza.

Così, il Pilgrim è diventato soltanto un fantoccio moralmente ambiguo, deprivato di ogni spessore, trasformandosi in un velleitario giustiziere della notte introspettivamente assai poco affascinante, un fanatico religioso mezzo scemo la cui vera reattività consiste solamente nel voler liberare e riscattare i propri figli dalle grinfie del malvagio governatore stupidissimo.

Floriana Lima, nei panni della dottoressa Krista Dumont, non ci ha peraltro convinto appieno. Lei è stata inappuntabile e bravissima ma, essendo stato ancora una volta sbrigativamente e superficialmente mal risolto il suo complesso, sfaccettato e ambiguo, inquietante personaggio, a risentirne è stata inevitabilmente la sua recitazione. Rattrappita in uno spettro algido d’inconsistente futilità. Un personaggio dal potenziale micidiale che alla fine, per come è stato scritto, è risultato soltanto innocuo e alquanto superfluo.

Ben Barnes è stato eccelso. La sua è stata veramente una prova notevolissima. Sì. Peccato però che (e qui spoilero di brutto), da anfitrione carismatico della sua anima spezzata e della sua spregevole maschera luciferina, deturpata e perciò assai ricca di possibili sfumature psicologicamente potentissime, sia morto ingloriosamente come un povero fesso. Chi s’aspettava un nuovo, straordinario confronto simil Face/Off, resterà sconcertato. Nessun duello titanico…

Amber Rose Revah, nei panni di Madani, impeccabilmente ha svolto il suo ottimo lavoro. Ed è sempre stata avvenente, sensuale col suo impressionante strabismo di Venere e molto fotogenica. Questo lo sapevamo già. Ma (e questa era una pecca, comunque, anche della prima stagione) Madani è un character davvero antipacitissimo e nonostante, dopo mille resistenze, si convinca che il nostro Frank Castle sia un uomo dai metodi alla Sylvester Stallone/Cobra assai discutibili ma un puro e un giusto, malgrado poi sfrenatamente parteggi per lui, non suscita affatto empatia.

 Jason R. Moore, nei panni di Curtis, ha qui uno spazio decisamente maggiore. Tant’è che verso la fine di questo The Punisher 2 diviene quasi il co-protagonista della storia. Ma, scusate, sì, gli è stata messa a posto la gamba e tolta, forse, la protesi, ma il chirurgo dev’essere stato un genio da premio Nobel per avergli impiantato dei muscoli, oserei dire, bionici. Perché lotta e combatte come Bruce Lee. Abbastanza assurdo.

Su Giorgia Whigham/Amy Bendix, lascerei perdere. Stendiamo un velo pietoso. Ma, soprattutto, che fine ha fatto la barista “molto Pearl Jam” Beth Quinn, interpretata da Alexa Davalos?

L’amour fou col Punitore era sulla carta uno snodo narrativo molto intrigante.

Infine, la bellissima Deborah Ann Woll/Karen Page è comparsa, fugacemente, nel più maldestro episodio inutile della serie. Patteggiando con un medico dal cuore tenero ma tonto, regalandogli come premio delle calzature femminili da feticista paragonabile al Brudos di Mindhunter. Che scena scult.

Detto ciò. The Punisher 2 può aver, a dispetto di quanto affermato, vantato l’avvicendamento dietro la macchina da presa anche di Stephen Kay, il regista de La vendetta di Carter, per l’episodio 12, Collision Course, il più adrenalinico dell’intera stagione con una magistrale, vibrante car chase scene da applausi.

Troppo poco.

Non lo bocciamo perché il Punitore è un dio. Ma i difetti son stati tantissimi.

di Stefano Falotico

 

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