Esiste la politica d’attore oltre a quella conclamata d’autore? Nicolas Cage docet

chris walken

ZANDALEE, Nicolas Cage, Erika Anderson, 1991

ZANDALEE, Nicolas Cage, Erika Anderson, 1991

cage stress da vampiro cage the rock

Be’, ovviamente, un cinefilo, colto in materia, vi confuterà a priori l’affermazione secca e arrogante secondo la quale possa minimamente esistere la politica d’attore, oltre a quella autoriale, cineastica, diciamo.

Perché è verissimo che un regista possieda insindacabilmente il suo consolidato sguardo ed è capace, se non limitato fortemente dalle scelte imposte dalla produzione infame, di plasmare una pellicola a immagine e somiglianza della sua visione del mondo lapidaria.

Cosicché, ah, ma mi scoccia ribadire l’ovvio ma lo rimarco perché molti di voi son tardi di comprendonio, è naturale che Fellini, ad esempio, avesse sublimato le sue esperienze provinciali nella sua celluloide poeticamente sognante, malinconicamente euforica. Due termini in contrapposizione fra loro, perciò ossimorici ma combacianti di similitudine alquanto rilevante.

Lars von Trier? Come si suol dire, non lo cambia neppure Cristo. È misogino, misantropo e scarica, canalizza e quasi eiacula le sue virili frustrazioni, le sue esistenziali fustigazioni, a briglia sciolta nel suo Cinema esageratamente provocatorio. Talmente parossistico nelle sue sbandierate provocazioni a buon mercato spesso superficiali da diventare, a mio avviso, come già da me scritto più volte, innocuo, totale aria fritta, un Cinema sterile, autoreferenziale, programmaticamente scontato laddove invece vorrebbe a tutti i costi stupire con gli effetti speciali della sua disturbante peculiarità autarchica. Anche autocratica!

Scorsese? Lo adoro tuttora ma le sue ultime pellicole non poco m’hanno lasciato a desiderare. Si avverte che il suo Cinema si sia asciugato e impigrito per piegarsi alle logiche standardizzate degli incassi e abbia inevitabilmente perso, peraltro un po’ incartapecoritosi in una senile recrudescenza delle solite, trite e ritrite tematiche, come l’ossessione sua pallosa e dubbiosa della fede angosciosa, la sua visione appunto fin troppo antiretorica dell’esistenza, spogliato di quell’esuberante verve magnetica e trascinante che lo rendevano unico, si sente che quel magmatico furore dei tempi oramai andati si sia leggermente affievolito.

Spero vivamente, altresì, che possa smentirmi con The Irishman, ritrovando invece, prego iddio che sarà così, quel suo Cinema scoppiettante, fenomenale che in film annacquati come The Aviator ha sinceramente smarrito. Raffreddandosi in una sin troppo perfezione formale alquanto insulsa e poco emotiva, anche poco empatica col sé stesso, e non solo nei nostri riguardi, più viscerale e vivida.

Carpenter? Ah, è dal 2010 che non gira più un film e, The Ward, a dirla sinceramente, non è che sia stato un granché. Lo dico anche nel mio saggio, John Carpenter – Prince of Darkness.

E Cronenberg? Ah, che sta facendo? Vuole realizzare una serie Netflix? E che aspetta? Che arrivi di nuovo Pasqua?

Detto ciò, complimentandomi invece con Eastwood, il quale raramente ha tradito la sua ferma, radicale poetica senza mai svendersi, anche perché con la sua Malpaso Productions fa quello che vuole, riprendiamo il discorso interrotto alle prime righe:

esistono, cioè, attori capaci di fare un film da soli?

Quando si dice, in gergo, ah, quell’attore s’è caricato tutto il peso di un film mediocre sulle spalle. E il film, malgrado non sia oggettivamente un capolavoro, fa la sua porca figura grazie alla presenza appunto di quest’attore che, col suo impressionante carisma, la sua bravura sconfinata e la sua impareggiabile mimica, ha salvato un film che obiettivamente, senza di lui, avrebbe fatto acqua da tutte le parti.

Esistono. Esiste lo star power… anche se in tal caso quest’espressione ha connotazioni ben più sfumate.

Esistono o esistettero quegli attori chiamati a recitare in un film già bellissimo in partenza poiché, grazie alla loro riconoscibilissima faccia, avrebbero sol che migliorato un film, appunto, già notevole di suo.

Pensiamo a Christopher Walken. Non è un attore, bensì un autore.

Almeno fino a vent’anni fa. Quando il suo volto era quasi sempre associato a pellicole di estremo valore, maledette e il suo nome compariva, semmai anche soltanto da comparsa, come in Pulp Fiction, in pellicole cult.

Anche il grande Mickey Rourke era così. Inutile che ridiate. Sino ai primi anni novanta lo fu, lo è stato, sì, esatto.

Ecco, scorrete la sua filmografia e ditemi, forse a eccezione fatta di 9 settimane e ½, ciofeca mercantilistica per il più bieco erotismo di massa, se riuscite a rintracciarmi un film da lui interpretato davvero brutto e inutile.

Perfino in Homeboy, peraltro scritto da lui stesso, sebbene sia un film poco riuscito, si sente la sua forza interpretativa. Perché Mickey era indubbiamente dotato di uno sguardo spaventosamente affascinante, di una forza contagiosa da lasciar di stucco chiunque. Le donne poi perdevano il fiato e anche qualcos’altro.

Nicolas Cage era un autore fino all’inizio degli anni duemila. Perché sì. Mi pare ovvio che sia così.

Pure in pellicole atroci come Zandalee, la sua faccia valeva il prezzo del biglietto forse più delle forme geometricamente arrapanti di Erika Anderson. Oh, a ben pensarci, non credo. Eh eh.

Sì, mitico Nic. Quest’attore pazzesco in Stress da vampiro e qui super zotico, inetto ed eretto all’ennesima potenza da uomo giammai impotente, col parruccone da metallaro lercio, un personaggio da Rob Zombie che, appunto, vuole emulare e addirittura scimmiottare Mickey Rourke, il bello par excellence.

E ci offre una delle scene di sesso “normali” più oscene della storia. Una volgarità assoluta nello stesso anno del romanticismo enorme di Cuore selvaggio.

Più attore-autore di così si muore.

Sì, Nicolas Cage è uno dei peggiori attori del mondo, per questo rimane uno dei migliori.

Non sai mai quel che potrà fare o disfare, un cesso d’attore capace di nobilitare il trash più agghiacciante col suo improponibile overacting da sberle in faccia.

Un attore che, a parte cinque film probabilmente, ed è già troppo, dal punto di vista attoriale rimane invariabilmente un deficiente.

Ma dell’istrionismo mal temperato Nic è docente, un performer stupefacente. In ogni senso.

di Stefano Falotico

 

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