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Interstellar personal Trailer

La notte che si perpetua, emozioni in fila indiana poi pronte a deflagrar turbinose, l’incandescenza solare d’un attimo già svanito, fuggevole l’acchiappi mentre via sfila, fra siderali spazi enormi di stelle e la poesia che brucia nell’anima, “sgattaiolando” già “intimidatoria”, nella suspense del precipizio onirico, stupefacente.

 

Un cielo stellato sull’Europa

Un cielo stellato sull’Europa

 

Recensione del sottoscritto, Stefano Falotico

 

Evanescenze sulfuree, atmosfera occulta che, al tenebroso, mesce la saggia levigatezza di una fotografia intensa, densa, plumbea e proveniente da una cerea era di sogni (in)alterati, tutto è un sogno, un complotto, una macchinazione ordita dalla mente, un criptico viaggio a esplorare la nostra intima coscienza variegata, imprigionata in tarocchi suggestivi che si screpolano col mar in burrasca, un gabbiano vola, gli scogli e le onde che si frangono schiumose, un comandante burbero e minaccioso, perfetta interpretazione di un ordine che (non) esiste, viaggiatori erranti del naufragio esistenziale, anime in cieli stellati di un continente vacillante, ed è una tenda che, lenta, si (s)chiude, lasciando aperta la vita al suo sospiro enigmatico.

 

American Sniper, recensione di Anton Giulio Onofri

American Sniper

 

AMERICAN SNIPER, di Clint Eastwood.

Al termine del film ci sono due silenzi: il primo è quello d’ordinanza, qui nella versione di Ennio Morricone, a commento di immagini di repertorio; il secondo, eloquentissimo, accompagna tutti i titoli di coda, agghiacciante, luttuoso, e polverizza e spazza via ogni incomprensibile accusa di patriottismo manicheo mossa da chi evidentemente ha scordato che al Cinema esistono, se non i buoni e i cattivi, almeno “i nemici”. Nemici che per un marine arruolato nell’esercito degli Stati Uniti d’America incarnano il Male Assoluto. Come per John Ford i cattivi erano gli indiani nativi americani – ampiamente riabilitati molto più tardi anche dal Cinema di una nazione comunque libera di cambiare idea e di assumersi la responsabilità del pentimento – per Eastwood, e per buona parte di un popolo che giusta o non giusta che sia, ha visto tornare in patria da una guerra che qualcuno doveva pur andare a combattere, bare su bare su bare, sono i terroristi di Al-Qaeda. Il bene e il male, il soldato, la famiglia, il nemico, la guerra, le armi, la morte, sono ancora, per Eastwood, gli archetipi biblici a fondamento di quel Cinema che si incaricò di creare e fomentare il mito americano prima, durante e dopo la II Guerra Mondiale, quando senza lasciare spazio a dubbi e ripensamenti si seppe affrontare e sgominare un nemico dal volto segnato da un paio di baffetti neri. Altri tempi, certo. Quell’ingenuità e quelle certezze si sgretolarono nel ’68 in Vietnam, e lungo e produttivo è stato il periodo in cui l’America ha saputo rivedere e ricostruire la propria identità, per arrivare, sullo scorcio del secolo scorso, a quella che qualcuno definì “la Fine della Storia”. Ma l’11 settembre del 2001 la Storia è ricominciata. Eccome, se è ricominciata. Ed è, con buona pace di buonisti, complottisti e allocchi vari, una gran brutta storiaccia, che un signore, anzi un SIGNOR REGISTA, di 84 anni, dotato di cuore forte, occhio lucido e mano calda e ferma, ha tutto il diritto di raccontare come lui desidera, ripristinando con un film potente e magnifico la funzione affabulatrice di un Cinema capace di fare spettacolo, di toccare il cuore e di rinfocolare in chi lo guarda la consapevolezza della dignità dell’essere umano orientato, per educazione o per scelta, al bene proprio e della sua comunità. Il resto è chiacchiericcio. Anzi: silenzio.

 

Gone Girl – L’amore bugiardo, recensione

Gone Girl

 

Visse due volte il rompicapo bugiardo

L’ultima opera di Fincher è il classico esempio di opus che manda in brodo di giuggiole i critici, pronti a “dissanguarlo” per discernere l’enigma the game al centro basilare della sua filmografia “criptica”.

Ancora una volta, una storia “a spirale”, con al centro il missing di una donna che, nel giorno del quinto anniversario col marito, scompare in circostanze sospette, lasciando poche tracce e una sola “macchiolina” di sangue indelebile, un graffio alla sua anima da incredibile Amy. Il primo squarcio che (s)vela l’apparenza intonsa, la “perfezione” di una vita programmata sin dalla nascita, proiettata a proiettar sullo sguardo dell’altro un’idea impeccabile di meraviglia. Una falda nell’ingranaggio “oliato” che hitchcockianamente scandisce il meccanismo a orologeria della follia che in lei regnava “soave”, sovrana d’un castello di sabbia, pronto a “deflagrare” al primo vento d’una “brezza” coniugale traditrice.

Un “bacio” nella tempesta che fa partire il “pretesto” e i sottotesti per una trama intricata, ove c’è un cadavere “occultato” dalla stessa orditrice del piano “omicida-suicida”.

Un marito che la sfiorò, conquistandola, sotto una nuvola di zucchero, che le piaceva molto, tutto ciò che lei non è/era/mai sarà, l’ingenuità peccaminosa “inquadrata” nell’ambiguo viso “(in)espressivo” d’un Ben Affleck con l’“aplomb” d’un sorrisetto indecifrabile, cinico e misogino.

Tutto calcolato in modo calibrato per intessere la tela da mantide mangiatrice, concupiscente un coniuge “incosciente”, ingenuo, pronto a crollare dinanzi alla misteriosa fuga nel vuoto del suo volerle “srotolare il cervello?”.

Una scala a chiocciola che c’aspira nel suo “saliscendi” emozionale, pieno di colpi di scena, ove il pathos è trattenuto da una suspense “al contagocce”, anche questa misurata con elegante opacizzazione fotografica, “immortalante” il buio plumbeo esistenziale di due vite in rotta di collisione con la durezza della realtà. Perché la realtà è tosta quando la si desidera “(ri)pulita” da “escoriazioni” e bruciature alla pelle della propria anima, e inesorabilmente s’infrangerà col destino in “agguato”. Con l’omicidio all’intima coscienza menzognera ché, per resistere agli urti della vita di coppia, “bisogna” necessariamente inventarsi un “piano di fuga”, un escamotage per rompere, divellere con furia, come un taglierino in una gola mozzata, la routine e trascinarci in un vortice di (ri)soluzioni “bastarde”.

Non c’è pace ai sensi quando ci s’innamora davvero e si cade prede d’un irreversibile, “fantasmatico” fato, di una “fata” con gli occhi “ficcanti” di Rosamund Pike che si scont(r)ano con la “plastica” da “videogioco” d’un Affleck scelto apposta, con puntiglio, come “manichino” dell’ordito “garbuglio”.

Al che, ci scappa il capolavoro, il Fincher più misurato mai visto, che cadenza la bellezza del film nel farlo rifulgere sotto una “pioggia” d’incognite “fraudolente” sia nella storia che nella nostra testa, persasi inevitabilmente nel delirio (im)preciso, pieno di “sbavature”, di cose e “case” che (non) tornano, d’un pareggiamento del dubbio, dei mille dubbi che ancora ci ronzano malignamente in “(rompi)capo” che ci ha raccontato almeno “una” bugia…

Sì, l’amore (è) bugiardo.

 

di Stefano Falotico

 
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