La “freddezza” di un man on fire da mal di mare per gli stronzi
di Stefano Falotico
La società contemporanea… tutto ciò che ho sempre odiato, dalla nascita, s’è materializzato.
Gente “Facebook”, che trascorre le ore a “farsi i pompini a vicenda”, in una Pulp Fiction di morti viventi senza più passione, arte, né core m’ancora si scambiano i “bacini”.
Non molti lo sanno, e ve lo dico io, che Robert De Niro doveva essere il protagonista del Man on Fire di Tony Scott.
Da “Variety”, nel lontano 2002, appresi la notizia. Bob aveva appena terminato di girare quell’opera meravigliosa e “capitale” che è il sottovalutato City by the Sea di Michael Caton-Jones, prima che James Franco diventasse star internazionale.
Un film marino, “edipico”, di rapporti irrisolti però padre-figlio, d’una stantia mai avvenuta “eredità” sanguigna su DNA colpevole d’omicidio. Infatti, il titolo originale era qualcosa come mark of a murderer. Il “segno”, metaforicamente “seme”, dell’assassin(i)o.
Un morbo trasmesso dal nonno al nipote, con intermezzo del pater, appunto, “tutor” legale a complicare l’albero genealogico da “criminale”.
Mark dello sperma di Vincent LaMarca, un De Niro coriaceo, dai capelli scarmigliati, argentati in una recitazione in sordina trattenuta in gola roca e sigarette amare vicino all’oceano d’un abissale errore giudiziario terrificante, da mar moto terremotante emozionalmente i tuoi equilibri psichici. Da scombussolarti e ammazzarti nel respiro tuo “placido”. Il figlio è stato infatti accusato di reato penalissimo, d’aver ucciso un uomo, di essere un mostro che, fuggitivo, scappa dal fatto (non) commesso. Il padre, come in un film di Paul Schrader, si metterà coraggiosamente a indagare, entrando nel sottobosco di Asbury Park ove Bruce Springsteen lo(r)dò i suoi figli più innocenti, amati e “amareggiati” dai duri colpi (in)giusti d’una vita storta ché non avrai ragione a giustificarti ma, mio bello, se ti ribellerai, da “bulletto” ti sbullonerà sol più, senza Sole ma nella nerissima notte (af)fonda(to), di torture brutte assai. A sangue nell’anima scarnificata, deturpata da una “criminal justice” orrenda, di te che, errante, “solfeggerai” con la tua chitarra elettrica ai bordi d’un nubifragio da “sepolto” e sommerso di (ver)gogna!
I am the nothing man…
Ma il ruolo di Tony Scott, che nell’originale fu di Scott Glenn, passò a Denzel Washington.
Man on Fire, film pirotecnico, post-moderno del cazzo, l’ultimo “colpo” di Scott da “boyscout”. Gli stronzi la cagaron storta, la fecero grossa di quasi pedofilia, che merde, che feci, che schifo, e Denzel partò in quinta di mitragliatrice. Tragedia!
Rimane eccessivo, volgare, indifendibile, forse un grande…
Come me, che mi vendicai nel modo più orso e cattivo (im)possibile!
Il lavoro del doppiatore non è male, sì, farò “quello” in base alla mia voce fuori dal cor(p)o
di Stefano Falotico
Da anni “imponderabili”, sono condannato a una maledizione di “estrema unzione”.
Cioè, la gente pensa che io menta. Di mio, posso dirvi di possedere una discreta mente, non mento, eppur me lo reggo. Sì, quando son annoiato, quando ho quasi sonno, metto la mano sotto la parte della faccia, da culo, vicino al labbro inferiore. Semmai, stringendo fra le labbra una sigaretta. Ecco, le sigarette hanno avuto un effetto calmante sul mio diaframma, sia arrostendolo e sia enfiando questa mia voce da “de profundis” che, da un po’, rocamente “fan(t)a(s)tica”, molti sostengono sia ottima, perfino d’intonata, e mai fuori sincrono, dizione quasi perfetta, tranne talvolta alcune (in)curabili inflessioni ch’evocano le mie origini meridionali.
Sì, mai dimenticarsi delle proprie origini. Non sono molto orgoglioso della mia gente di laggiù… alcuni, indubbiamente, sono stimabili, lavoratori (inde)fessi come pochi che, piegandosi ai padroni del Mezzogiorno, son precipitati nella notte appunto più profonda, alleviata soltanto dall’allevar la prole col “mandolino” in mano morta alla moglie affamata. Sì, partorirono cinquemila figli all’“unisono” di lei straziata in un cesareo a causa di dieci gemelli alla volta su marito intanto nella “cappella” non spermatica bensì “ringraziante” ché tutti “uscissero” sani e salvi(ette). Bastava il profilattico, comunque. Quanti pian(t)i (non) regolatori dei conti, una vita non da principi, eppur respirano. Non so ancora per quanto perché il padre non può mantenerli, il piatto proprio piange e ci sarà da rivolgersi agli strozzini. Meglio che in Romagna, ove pullulano gli agriturismi di “strozzapreti”. Quelli son terribili, son pastosi, rimangon sullo stomaco con le lor abbuffanti retoriche domenicali. Indossano il saio e si salvi chi può dal non affogar in quei moralismi, da Forlì a Ravenna, tendenti al mar di mare su stomaco sbudellato da tante omelie ammorbanti che spuntan come funghi velenosi.
Di mio, non ho di questi problemi. Non mangio. Sto dimagrendo. Quindi, non ho bisogno né di soldi né di pastine. Mi troveranno presto pestatissimo da dei ragazzi tamarri bolognesi che, all’urlo mio di “Madonna impestata!”, mi pesteranno appunto, a (s)puntino, in mezzo a tempeste di pugni. Sì, si mantengono topi di fog(n)a e di forma(ggio), alcuni sono dei genovesi emigrati in zona “centro” su Asinelli. Se li cagano questi stronzi o son stitici?
Signora, a quanto viene il pesto? Ah, è sugo che costa. Meglio una semplice pastasciutta ma attenti ai carboidrati. Troppa pastasciutta rende l’uomo grasso come quello di “mortadella” e non “crudo” di fis(i)co (all’) asciutto.
Mah, di mio so che la carbonara fa un po’ ingrassare ma si digerisce più dei carbonari.
Sì, nel 2014, esistono ancora questi musoni massonici le cui ideologie son peggiori di Mussolini. Almeno, quello era un evidente fascista da evirare, questi son da evitare, si fasciano in congreghe “nere” da carbon(ar)i “ardenti” ma io preferisco la mia Befana, con tanto di cioccolatino e torrone del terrone di razz(i)a che sa la racchia tua. Una mezza calzetta, diciamocela.
Ho un naso lungo, proporzionato al “benemerito” uccello. Per le donne, è un “beniamino”, per gli uomini gelosi, è da “accorciare” perché vorrebbero fosse “dritto” come il mio, grande e grosso. E, non potendolo “prendere”, nonostante “lì” lo piglino, desiderano (s)fottermelo.
A parte le battute, miei da battone, (non) mangiando e (de)crescendo, la voce mia rimane immutabile e inimitabile.
Molti l’han paragonata a quella di Giannini, con il punto a mio favore che son più giovane, quindi sembra da “vecchio”.
Ma, miei vecchi, io so che piace ai giovani e agli anziani, e soprattutto entra “dentro” alle donne, carezzante di “urletto” se, da misurato, vado allegro vivo di “grilletto” con bri(vid)o in lei che attizza e scalda il petto florido, urlante, se mi fate incazzare di brut(t)o. Con del burro, vellutatamente va che è un piacere.
Voce che cambia registro, mutevole di (dis)sonanze.
Passa di qua e di LA, con tanto di “DO” alle donne in SOL LE(i) MI FA goder’ talvolta spomp(in)ante tra un Ferruccio Amendola e un Massimo Corvo in quanto gracchiante tra una pausa e un caffè bollente su orgasmo al dente di capezzoli prominenti.
Voce da tenore su contralto di “basso” quando emulo i gerghi romaneschi delle periferie (ba)lorde, squillante di tromba se me le inculo, sfottente di ritmo saltellante su accento un po’ del cazzo ma ci sta. Per niente.
È una bella voce, va detta.
Il resto mio fa schifo?
Farai schifo tu e beccati questo ca(ta)rro!
Ah, più che doppiare, era meglio doparmi. Eh sì, il doping.
Sì, è più fatica leggere un testo da doppiatore che correre nella fi(ac)ca da trombone.
Hi, I am The Wolf of Wall Street!
di Stefano Falotico
Il frenetico, falotico attimo spaventoso e lupesco di travolgente lucidità “agghiacciante”
Ivi, in uno spazio-tempo altrove, celebriamo, fratelli della congrega, uno dei capolavori sorprendenti dell’anno.
Perché io amo Scorsese e lo servo, riverisco con sfacciata adempienza alla mia superbia “umile” di servitù grande quanto lui, se non superiore, essendo (pre)destinato a glorie potenti quanto Martin, nel farmi gioir esultante d’intuizioni esorbitanti, strabiliante mi condusse in tal Paese dei Balocchi, ove scorsi donne “teutoniche” dalla biondezza immane come il luppolo più prelibato della birra sborrante in Margor Robbie, “rifatta” dalla “tetta” ai piedi, eppur lo stesso, a lei (s)teso, la leccherei “(dis)onorandoglielo” di lupus in “fragolina” e ciliegia di me, lupone-volponissimo, che tutta la sua torta si mangia!
Che donna di “fabula”, e io l’affabulerei d’affamato, scodinzolando nella sua cagnolina per poi ulular orgasmico di vitale vulcanicità senza freni inibitori, “espandendolo” e spendendo con altre troie, affinché il mio wolf perda il pelo ma non il vizio d’esser stronzissimo! Altre milf!
Che DiCaprio magnifico/a in tal enorme figa(ta)! Ché da solo “sorregge” un film che talvolta sbanda, si dà lussu(ri)osamente in una fotografia vi(b)rante al giallo-oc(r)a d’un figlio di puttana storico, cioè il ritratto della mia “Gioconda”, della mia birbante “anaconda” e ora la mia vita, qui, in tutta gloria vi racconto.
Di come, educato, dal mio “tutor personale”, nel metter a frutt(et)o il mio (o)nanismo, pensai in “glande”, scopandomele tutte. Di come le “aspirai”…, dapprima rifiutato e quindi, da gran furbo e fiuto, drogandomene di “ano” in cannuccia succhiante il vero “midollo spinale” del sublime piacere più edonista.
Sì, da metafisico puro, a porco “schifoso” ché compresi quanto la vostra ipocrisia può allev(i)ar soltanto mostri a immagine e somiglianza d’un sistema falsamente conforme alle regole create (d)ai privilegi dei ricattatori ricchi.
(Ri)cotte, basta coi ricatti, bolliti, (s)bollitevi (dirim)petto in f(u)ori su mio “bollente!”.
Ardentemente, con ardimentoso fervore e ferocia tremenda, stringiamo i denti e non vi resterà niente!
Allor, levai le ancore e salpai, sì, da “esaltato” saltai, mi montai la testa e, di testicoli da toro, come quello sullo sfondo dell’incipit in “borse”… sotto agli occhi, “montante”, infilai colpi sp(r)ezzanti e infilzanti ogni vostra pecorina… fottendovi col vostro palmo di naso pinocchiesco come quel gran coglione, da du’ coglioni, dell’esattore delle tasse dell’FBI.
E me le spalmai sotto le palme di mie palle, patate e a voi palate!
“Abbronzandomelo” di (l)or(d)o!
Lo avvertii che (non) avrebbe potuto (in)castrarmi, ma non volle darmi retta e, nella sua vitarella, glielo piazzai bellamente nel retto. Sì, m’arrestò ma lui sa che, scontata che io ebbi la pena, ancor “giullare” me ne freg(h)erò di “pene” alla facciaccia sua da uomo “onesto” che, sull’autobus, rimpiangerà… d’avermi voluto sfidare, pigliandolo in culo ben lesto!
Che momenti, miei dementi!
Di quando credettero tutti che avessi mollato, fu una recita pazzesca!
Da “folle” qual sono nato clown della (s)cena. Gnam gnam!
Sì, già, tutti disperati con la lacrimuccia a darmi della femminuccia. Ammetto che ho un aspetto da effeminato ma questo mio uomo, ambiguo e (stra)fottente, è un beffardo efebico fetente che se la (ar)ride sotto i baffetti, nonostante la rasatura “impiegatizia” da piegato a novanta e invece frustante voi, frustati che mi reggete il “giogo”.
Siamo a Sodoma, somari, e McConaughey me lo sussurrò nell’orecchio, da “anoressico” (s)pompato.
Miei imbroglioni che, auto-ingannandovi, pen(s)ando che la ricchezza interiore possa salvarvi, spos(s)ati, dal “porcellino” che, nella vostra coscienza finta al “salvadanaio” e al “profilattico”, paraculi, vi preserverà dallo scannamento, siete soltanto, io vi dico, macell(a)i della fin(zion)e incarnata.
Siete alieni? No, siete (dis)umani e, come tali, non m’ingannate! Vi scanno.
Finitela con le canne! Siate sinceri ed eroi(na)!
Guardatevi allo specchio e scagliate la prima pietra.
A te (mis)credente, già (s)cremato, invero ateo, che ogni domenica vai a messa, preghi da “dimesso” e poi sbirci sotto la gonna del chierichetto, sognando di (o)metterglielo!
Non far l’ometto, sei un guardone pervertito pedofilo, almeno recita il rosario del tuo “Pater Noster!”.
Sii coerente col tuo libera nos a malo. Altrimenti, ti taglio la mano!
E non ti “masturberai” più!
Ecco, cretinetti, cosa succede a non dire la verità!
Succede che io vi/ti punisco!
E sbatto al freddo e in “cella!”.
Forza, mie (an)celle, datemi ancor più “botte”.
Che immane tortura!
Ma mi piace da morire!
Che (ver)gogna!?
Togliti la gonnella! E dondola!
Guarda questo grasso che (de)col(l)a!
Festival di Venezia 2014, parte lo stress
di Stefano Falotico
Da quando (non) mi amai, compresi la natura shakeasperiana del mio (non) essere amletico e, come Al Pacino, gridai in preda a estasi recitative del mio carisma “ipnotico”
Come già ribadito, sarà l’anno dominus del signor Pacino, assoluto dom(in)atore della scena di tal kermesse da settantunesima “mostra” ch’è già mi rende più nevrotico di lui.
Io e un mio amico abbiamo prenotato un albergo gestito da preti, situato in zona “Zattere” in quel di Venezia. Di notte, salvo “coprifuoco” dei preti che potrebbero sbatterci le porte in faccia, in quando troppo “rincasanti” tardi eppur “incassa(n)ti” nella Laguna plumbea del cielo fra le stelle di Hollywood su piogge (s)battenti d’un clima “teso” e terrificante, ecco, io e il mio amico, come Snoopy, seduti su una panchina, nelle calli, a spulciar lui un callo e io a girarmi i pollici “su” dei migliori film del cazzo, scriveremo… era una notte buia e tempestosa. Con le risacche marine, e anche “scrotali” nostre da che du’ palle e “soprattutto” che “freddo”, a “scioglierci” emozionalmente febbricitanti, visto che c’ammaleremo non solo di Cinema ma anche di acquazzoni “(de)pur(ant)i”. Molte stronzate prevedo che al Lido vedremo, forse occorrerà anche uno spurgante per liberarci lo stomaco da troppe schifezze intollerabili, molto da “bile” e chi ce l’ha fatta fare… a “venire?”.
Ma questa sarà la stagione alta di Al. Altolà!
In Manglehorn, sarà un redivivo, vecchio leone spaventapasseri, in The Humbling, un attore come pochi per la (s)porca relazione “tardiva” con una affatto tardona, Greta Gerwig, donna dai capelli rossi come io e il mio amico che, “bolliti” dal clima rigidissimo, “rigidamente” ci “scalderemo” arrossiti, molto pallidi e impal(l)lati, semmai ricordando il suo seno (g)rosso e pimpante.
“Tirandoci” di m(or)ale.
Ah, quelle labbra umidamente sognanti nel “leccalecca”, platinato Barry Levinson, uno che è passato da Piramide di paura a Sesso & potere con (ig)nobile “leggerezza” e mano (in)ferma da regista che non si sa che vuol girare, se dei pamphlet per ogni età e per tutti i poppanti, pellicole d’impegno o solo pallose, oppure stronzate che lui crede intelligenti perché le ammanta d’un retrogusto “antico” come nel “caso giudiziario” di Sleepers, ché parte atmosfericamente alla Scorsese e finisce più amaro del bagnetto di quei bambini nell’Hudson. Già affogati e soffocati dalla nascita.
Con tanto di “predica” d’un De Niro “padre” che salva in corner gl’incornati suoi pupilli, ex bulli, giovanissimi (ri)belli da un’adolescenza tremenda di futura, irredenta, crudele inculata a sangue bruttissima e deturpante per sempre.
Il programma di quest’an(n)o fa indubbiamente schifo al “cazzo” più di quel Kevin Bacon di “merda”, una “classica” porcata.
Ma finché c’è Al, c’è speranza.
Speriamo non siano anche i “suoi” film delle cagate.
Intanto, hanno aperto la biglietteria online su boxol.it.
Film “doppi” da paghi uno e vedi quello a seguire, eh sì, è un “seguito”, c’è anche il terzo tempo più intervallo di 15 minutes di celebrità d’uno spettatore che, a luci accese e “rosse” di lui pa(on)azzo, sovreccitato da un ex (sotto)titolo “sublim(inal)e” alla sua lingua sciolta e alle sue inguini da maniaco dopo linguine allo scoglio mangiate in una bettola, griderà “La vita è una boiata pazzesca!”. “Spinto” dal clima “movimentato” di borghesi annoiati, tanto per dar una mossa di bri(vid)o.
Gettandosi addosso a quella in prima fila, figa per niente, infatti è “ribaltabile” solo di poltrona sua incarnata da racchia paraplegica con tanto di “posteriore” speciale per il matto scatenato su “cupio dissolvi” di due vite da (testa)coda desiderose… di bruciarsi in dissolvenza incrociata con interruzione dei pubi, entrati senza permesso in sala, sulla pubblicità dei pannolini Pampers.
E, in questo casino generale, applaudirò con le gambe accavallate, “sbattendo” le mani su quella accanto, d’affiancare molto in quanto di buoni fianchi e “ficcando” quello davanti a cui dar un calcio in culo nel buio “invisibile” ma senziente d’emozioni “forti”.
Sì, prepariamoci a questo Festival.
Se vi par una cazzata, lo è.
Molto meno di quello che avete appena letto.
Fidatevi.
Poi, non chiedetemi il rimborso dell’abbonamento!
Mica li ho scelti io i film. È stato il direttore!
Dai, “brindiamo” con del vino Barbera!
Domenica, 17 Agosto 2014, lo spirito dante(sco) dei mor(i)t(ur)i
di Stefano Falotico
Notte apatica, notte silente, notte riflessiva, notte non tanto ardente.
Brucio dentro e la vita sfila come una superstrada che assomiglia a una modella passerona in passerella, ma non è bella come una (s)volta, è “appassita”, appaion le prime rughe sul “selciato” della sua pelle, troppe “balle” l’han scalfita, è leggermente, non dico imbruttita, ma amareggiata. Così, ancheggia stancamente, mostrandosi un po’ “raggrinzita”. Scivola con indifferenza, mentre la foll(i)a degli astanti (s)f(i)an(cati) osserva ancor i suoi fianchi. Tutti “panchinari” a plaudirle la bellezza, ieri perfetta, impeccabile e con quel velo trasgressivo di lei ch’emanava quasi “ansia” per come, sfuggente, inafferrabile, così apparse a tutti stupenda, come se il suo viso provenisse da Marte e, di avvenenza d’un altro pianeta proveniente, a piacer ludico di bulbi oculari ammiranti, altrove, fugace, stordente orbitasse in zone non solo erogene ma profondamente (dis)umane. Lei, Venere (a)scesa in terra, ch’ebbe molti, troppi amanti per vi(t)a della sua vitalità esplosiva. Alcuni di essi s’ammalaron di mal(att)ìa venerea ma lei rimase (in)viola(ta). Indiavolata e oggi proprio però con qualche “colpo” alle (s)pall(in)e. Che angelo!
Ingobbita, anche se impercettibilmente, dentro un abito che non fa la mon(a)ca, baciante gli spettatori in brodo di giuggiole che l’osannano quando la gonna sventola, muovendo appena il bacino e corrodendo le virilità ormonali dei pagan(t)i maschi, i quali, nel (non) veder(glie)la, d’apnea calorosa, si bagnan… di lacrime in lor occhi morbidi da (s)fatti dinanzi a cotanta gloria dei sen(s)i. Ma la vita non ha senso anche se è bella… almeno, così par(v)e, miei sparvieri. Lei è adesso una moribonda, s’è “fatta” anche mora e invece nacque b(i)on(d)a…
Così come a lei la bellezza naturale scippaste, ai grandi “uccelli” il vol tarpaste e allora “acciuffi” il volante e gridi, guidi “contromano”. Fermandoti vicino all’Euro-Mercato in zona tua “fiera”. Spegni il motore, estrai dal cruscotto un’ultima (siga)retta e socchiudi le palpebre, aspirando la vita che segnato t’ha indelebilmente, sbandata qui ai bordi del “cemento armato” di te un tempo amatissimo e ora induritoti con le vitree iridi come un grattacielo (s)ve(n)trato sull’orlo del terremoto emotivo. Qui, precipitato dopo tanto combattimento contro i mulini a vento(sa), nella voragine d’una bandiera bianca sventolata. Occhi al “tergicristallo”, soffusi, da illanguidito d’una (r)esistenza (s)van(it)a. Ché dei suoi ricordi vaneggi e ancor, dolcemente innocente, l’umido asfalto carezzi del tortuoso tuo essere-non essere. Amletico, incarnazione sei d’una tragedia annunciata, del sospirarla di “filtro” tuo ottico che “tira”… il freno a mano. Shakespeare, tu che creasti Romeo e Giulietta e ambientasti un’altra melodrammatica fatalità tragica nel tuo “Otello” di Mor(t)o dentro.
Vienimi in Pronto Soccorso, così come Scorsese, dal romanzo omonimo in lingua originale di Joe Connelly, salvò i morti nel suo capolavoro, Bringing Out the Dead.
Qua, vi riscrivo l’incipit, miei prodi, ché son ora… e mai più… nell’al di là della vita per colpa dei porci…
Marco Tropea Editore, traduzione di Gioia Guerzoni…
A chi lavora nei meandri della notte…
… Era una mezzanotte d’aprile, e la luna piena illuminava la strada, neanche fosse stata la festa del santo patrono. Mentre mi dirigevo verso il muro di arenaria dipinto di azzurro, con le facce che guardavano dalle finestre, pensai ancora a quanto avrei avuto bisogno di stare a riposo quella notte, a come avevo percorso tutta la strada a piedi per andare al lavoro, con le mani tremanti, pregando per una notte tranquilla, e a come, per tutta risposta, ero stato inviato immediatamente, e senza caffè, a un arresto cardiaco…
Be’, il morto sono io, un dead man walking per un’altra notte in cui ho pensato di farla finita.
Al che, appunto, con le costole incrinate del mio “crepacuore”, infartuato da troppe (d)elusioni d’una mia bellezza opacizzatasi, accosto vicino a un(o) (s)p(i)azzo, ché son sempre io stes(s)o. Levigato di “buche” esistenziali ma nessuna “striscia bianca”. Sì, dopo pochi minuti, neanche il tempo di arrivar a metà della mia (siga)retta da “smarrito”, s’avvicina una gazzella dei carabinieri perché credo ch’avesse pensato che mi trovassi lì per spacci(at)o… No, non sono un drogato né un pusher, un tempo però fui un prodig(i)o “stupefacente…”. Effetti (da) stupefacenti! S(tupe)fatti! Sì, rendevo euforiche le persone di cui m’attorniavo. Io stavo bene con loro e loro con me. Invece, oggi, mi sento un figlio di nessuno, d’un Dio maledetto, sono anche “malato”, pallido, smagrito terribilmente. Di quella magrezza malsana, da (de)perito, pres(t)o nel c(imit)ero. C’ero… non sono ma non ho sonno, soffro pure d’insonnia, come se non bastasse già la stanchezza a indebolirmi, a demolirmi ora dopo ora, a logorarmi, a uccidermi… e ho perso pure la voglia di continuare il viaggio… depongo le armi, chi m’ha amato, per l’eternità m’amerà, chi m’ha odiato, non sarà pun(i)to, l’ho finita… anche con la vendetta. Finiamola, sì. Sono (s)finito…
– Buonasera, potrebbe favorire i documenti, per favore? – mi “risveglia” così il carabiniere, “spalancando” la torcia per “vederci” meglio… – Signore, mi sente? Sicuro che non sia un “demente?”. Allora, che fa?
– Quanti anni hai…?
– Io ho vent’anni…
– Allora, mi spiace. Non hai fatto tredici. Non sono Renato Vallanzasca…
– Già… se lei è un criminale, io sono Charles Bronson. Invece, sono un povero calabrese trapiantato a Bologna e il turno di notte è una palla. Ma posso perquisire la macchina? Devo fare dei controlli.
– Va bene, prego.
Dopo 10 minuti.
– Signor Falotico, qui non c’è nulla.
– E che doveva esserci? Forse, non ci sono neppure io. Non più.
– Spiritoso…
– Spiritato, più che “alt(r)issimo”.
– Ma che fa qui a tarda notte? Mi può togliere questa curiosità? Lei non ha bevuto, patente e libretto sono a postissimo, stava seduto composto su quello anteriore, a motore spento e pure con le cinture. Al massimo, (non) potrei multarla perché l’è caduta la cenere sui pantaloni quando l’ho “rinvenuta” dal torpore.
– La verità?
– Certo, la verità.
– Poche ore fa, sa, fino a mezzanotte, era il 16 Agosto, il giorno dopo quello più “caldo” dell’an(n)o, ferragosto appunto, e la luna è un girarrosto. Adesso è il 17 ma è venerdì o sabato? Comunque, è il compleanno sia di Sean Penn che di Robert De Niro. Invero, è domenica, giorno “san(t)o” come un pesce… (a)scendente nei miei “gemelli” da Vergine poco Toro su (oro)scopo per un cazzo.
– Quindi?
– Torniamo a casa, amico. Guardiamoci Non siamo angeli. Non è un granché come film, ma la vita poteva anche andar peggio. Non ci sarà nessun remake, nonostante siamo ammaccati. Le sto ammiccando, amico.
Occhio(lino)!
Sì, (a)mici e ca(r)n(al)i, la vita è triste. I tuoi genitori invecchiano, tuo padre comincia ad avere acciacchi pesanti e tua madre non riesce più a (s)tirare la carretta, mie mezze calzette…
Qua, bisogna (s)cavarsela…
Ricordate… finché siamo vivi, non siamo vin(ci)t(or)i… di un cazzo, nessun carro, siam tutti nella stessa barca e merda.
Sta affondando? Sta(i) cagato?
Ieri notte, ero depresso.
Ma è ancor presto per farmi… fesso e farmi, eh eh, seppellire vicino ai c(ipr)essi!
Perché am(iam)o Clint Eastwood, “million” dollar babies? Perché siamo da “Lucky Town” alla Springsteen di “Oh, my baby!”
di Stefano Falotico
Stasera, voglio raccontarvi “questa”…
S’intitola…
La par(ab)ola del “buon” pastore
L’altra notte, non avendo un cazzo da fare, no, credo che non ci sia oramai “più un cazzo da fare”, che tu vada a “puttane”, sono anche affari miei, ecco, faccio un giro per la città.
Ecco, l’altra notte, scesi in “istrada” e la macchina accesi, mie “macchine”. Sì, vi siete tutti “macchinizzati”. Questo processo “robotico” è stato lento ma “progress(iv)o”. Sì, di quel progresso “ecceziunale veramente” di cui i pasoliniani van fieri. Evviva il magazziniere! Egli “immagazzina” e poi scarica i “pacchi”. Ché c’han du’ palle piene di pen(ar)e…
È stanco come Al Pacino di Carlito’s Way. Poi, se c’aggiungiamo la voce roca e melanconica di Giannini, la “lacrimuccia” va da sé. Che “sedere!”. State seduti!
Mi dispiace, ragazzi. Non basterebbero nemmeno tutti i punti del mondo per ricucirmi. È finita. Mi metteranno nel negozio di pompe funebri di Fernandez sulla 109esima Strada. Ho sempre saputo che prima o poi sarei finito lì, però molto più tardi di quanto pensava un sacco di gente. L’ultimo… dei Mohiricani. Be’, forse non proprio l’ultimo. Gail sarà una brava mamma, di un nuovo e migliore Carlito Brigante. Spero che li userà per andarsene, quei soldi: in questa città non c’è posto per una che ha il cuore grande come il suo. Mi dispiace, amore, ho fatto quello che potevo, davvero. Non ti posso portare con me in questo viaggio… Me ne sto andando, lo sento. Ultimo giro di bevute, il bar sta chiudendo. Il sole se ne va. Dove andiamo per colazione? Non troppo lontano. Che nottata… Sono stanco, amore. Stanco…
Giannini dice proprio “mohiricani”. Non mohicani, miei della tribù degli stronzi. Sì, esiste la tribù degli stronzi. Non so se abiti nell’America del Sud o in qualche “buco di culo”, ficcato chissà dove, ma c’è. Che poi Dio esista, non credo. Tu credi? E, credendo di (dis)illusione, va “lì”. Nel posto e “posteriore” di chi t’ha messo al mondo. A me sembra una puttana, sbaglio? Sì, tuo padre la pagò. Aveva soldi e con “quelli” ebbe “le palle”. Comunque, non (pre)“tendeva” molto come magnone, solo un piatto di “patate”. Ai figli dava palate ma li educava a coltivar la patata. Un “prete” che cacciava dei peti!
Sul resto del suo seme, non mi pronuncio, t’ho già sputato in faccia, scemo.
Tu sputi in “figa?”.
Ah sì? “Che “figo”.
Per questa “mia”, mi sbatteranno in manicomio, ma me ne sbatto…
Almeno, non ciuccerò più, miei “ciuchi”, tutte queste stronz(at)e.
A lavar la testa agli asini, si perde solo acqua e sapone. Alla(r)gate le vostre mule e ridete di me, compatitemi. Sono “patibolare”, tendente alla mascella slogata. E (s)legami.
Al mio mulo, non piace la gente che ride…
In questa freddura disarmante del Clint leoniano, c’è tutta l’opera omnia di Eastwood anche autore cineastico. Un “ginnasta” della vita (im)morale, uno che (de)moralizza di “tristezza” perché il mondo è triste e non bisogna mai scordarlo, è necessario combattere per migliorarlo, miei fighetti da ginnasio. Di mio, gioco ancora a Calcio e mi rinforzo col potassio. Tu respiri anidride carbonica, tossico, e domani mi farò… i capelli ossigenati, sì, devo rinforzare il “bulbo”, respirando nel vento fra i capelli.
Il biondo…
Invero, era castano, ma anch’io sono un “monco” di pelo rosso…
Ador(n)o Clint, un uomo che è appena uscito con Jersey Boys e a Natale con American Sniper. Immarcescibile, un pezzo che non va ma giù a quasi ottanta, miei suonati. Voi, invece, avete trent’anni e mi sembrate più rincoglioniti di mio nonno, che comunque è morto. Voi, a differenza di mio nonno, moriste però dalla nascita. Vecchi da vacche nell’anima per “pura” concezione di una natalità appunto puttanesca, che v’ingravidò di vitalità “allegra” quanto la lapide al cimitero. Che brutte cere…
Io abito sul colle dell’osservanza, essendo un “sorvegliato speciale”. Ed, essendo osservato, osservo. Scusate, volete pure togliermi l’at di osserv-AT-o? Non capisco. Ho già ricevuto molti paletti, miei uomini di panza, basta(rdo) con questo ALT! Non tagliate!
È una presa per il culo? Nooo… è una presa di cosc(i)e(nza)…
Con voi, ci vuol pazienza.
Ora, dunque, concentratevi. Riguardiamo assieme questa clip del Clint che vinse l’Oscar per Million Dollar Baby.
La storia di una “sfiga(ta)” incredibile, bigger than life.
A un certo punto (di sutura?), incontra Frankie Dunn che la incita a non mollare la “prugna”, la spugna… sì, è un “cesso” e pulisce pure i cessi, eppur ha l’anima dolce come una crostata di miele. In giro ci son troppi ma(ia)li… Il male!
E lui l’allena. Avvertendola, mettendola appunto in “guardia” che la vita è sempre dura, non è un’altalena, anche quando pensi di “farcela” in discesa, vero puttaniere? Puoi beccare un colpo “basso”.
Di quelli dettati dall’invidia più abominevole, che “spezza le gambe” e ti spacca le ossa proprio fisicamente.
Nella mia vita, amici, di gente così ne ho vista parecchia. Uomini che lavoravano come messi all’ANSA e, invidiando i giovani più in gamba, volevano “metterglielo”, storpiarli, “stropicciando” le lor bellezze come carta “stampata” del ridurli nella merda, “cestinandoli”.
E, se non bastava (s)troncarli, se provavano a reagire, li accusavano di essere socialmente pericolosi. Cosìcché, le “istituzioni igieniche” avrebbero provveduto a sedarli, in modo tanto (im)potente, da bruciar i lor cervelli, (ar)rendendoli come le “rotelle” di uno della UILDM. Insomma, tarparono i loro liberi “uccelli” in vol(t)o spacc(i)ato! Gli avvoltoi!
Sì, uomini “muscolosi” di cattiveria che invidiarono la forza della giovinezza, per sfiancarla nella “distrofia muscolare” della loro storpia mentalità “adult(er)a”.
Sì, ne ho conosciuti. Basta che a tali maiali tiri e che vadan a ritirar lo stipendio, e tutto “fila liscio”. Non reagite, vi urleranno “Vai a dar via il cul’!”.
Mesi fa, uscii con un mio romanzo, intitolato “Mister Atlantic City”. È la storia di un uomo, Nick Joad, forse il fratello di Tom Joad, sia di “Furore” che di Springsteen, al quale bruciano la vita. Ma lui combatterà per la sua “rivincita” nella città dei “polli” che lo stesso Boss Bruce (de)cantò nell’omonima canzone.
Un personaggio da me creato e plasmato a immagine e somiglianza del wrestler, sia nella vita che nella finzione, Mickey Rourke. Ma che può anche ricordare Maggie Fitzgerald/Hilary Swank del capolavoro di Eastwood. Una da “ultima” ruota del carro. Il carro “tira” i “buo(n)i”. Non sempre, “tira” spesso ai cattivi…, mie pecor(in)e. Oh oh (a) “cavallo!”. Uomini “duri” appena una “accavalla!”.
Un mio amico:
– Stefano, svelami il finale. Si vendicherà e vincerà?
– Guarda, ti mostro le penultime venti righe del mio libro.
– Cazzo, allora perde.
– Forse sì…
– Anche se che se ho detto “penultime”…
– Allora, vince.
– Guarda, questo è il prezzo del libro. “Morto di fame”, compralo e saprai come va a finire.
Torniamo alla clip, da clap clap.
No, no, un attimo. Ferma al secondo 1:09.
Avete visto bene? Già.
Questo è Clint Eastwood. Un duro “tenero”.
– E “Lucky Town” che c’entra?
– “Non c’entra” infatti, tu non hai niente come uomo. Non hai né cuore né culo.
E non riesce a “entrare” nulla in quella testa di cazzo che hai.
Il mio libro su De Niro, che parte da Ronin e, di “disgrafia”-licenza poetica, scrive apposta Mont-Martre e non Montmartre, Monte di Marte, Mission to Mars
From Treccani: Montmartre Quartiere di Parigi, il più alto della conurbazione, costruito sopra un rilievo (Butte de M., 110 m). Il nome deriva probabilmente da Mons Mercŭri «monte di Mercurio», più tardi interpretato cristianamente come Mons Marty̆rum.
di Stefano Falotico
Riprendo in mano il mio libro su De Niro, “Robert De Niro, l’intoccabile”, in cui mi son divertito a immaginarmi bibliotecario nel quartiere parigino degli artisti, Montmartre.
Ma, rileggendolo, a me e al mio editor, a pubblicazione già avvenuta in ogni formato, Kindle, cartaceo, eBook e “conversioni” varie, nonostante riletture “al setaccio” di più e più analisi approfondite e indagatorie ogni refuso possibile, al fine di depurar gli “orrori” delle involontarie sviste grammaticali, le distrazioni lessicali, le (im)perfezioni (in)visibili della forma più perfetta (in)immaginabile e della sintassi più corretta e (in)correggibile, ecco, a me e al mio stimatissimo, (in)appuntabile correttore di bozze e, alle volte perfin, per filo e per segno del (dist)ratto appunto “bernoccolo” sfasante qualche f(r)ase di testa mia a cui sfuggì qualche (im)precisione nel testo, ecco, cazzo, è “scappato” questo Mont-Martre scritto “staccato” con tanto di (t)rattino…
S(t)iamo attentissimi ai (re)fusi delle nostre teste e, (con)testualmente, siamo delle grandi, puntigliose, precisissime menti. Io, un’eminenza, lui un egregio letterato pari-menti, appunt(it)o, scrupoloso nel passar al vaglio ogni (dist)razione (im)possibile di me che, nonostante sia egualmente perfezionista, talvolta inevitabilmente (avverbio o “mente” evitabile dell’inevitabilità del re-fuso in-cancellabile “vivente”) s-ragiono e pecco da “asino” che “raglia” qualche sba(di)glio.
Così, oggi, testé pubblicato è Mont-Martre al posto di Montmartre. Qual è la dicitura corretta?
La seconda, ma io-noi ho-abbiamo (o)messo questa, mettendo il trattino e la maiuscola a tal nome compos(i)to. Ai posti delle “virgole” di (com)battimento della tastiera ché le teste geniali usan apposta, apposita-mente, delle licenze poetiche da fuori di “tasto”.
Siamo apposto con le teste?
No, voliamo a Marte, da cui “Montmartre” prende la (de)finizione (finizione=rifinitura), quindi non è errore ma (in)voluto volar alto d’invenzioni dei nomi da vision(ar)i alla Brian De Palma di Mission to Mars.
Fidatevi, scrivere è una missione impossible.(S)fugge sempre qualcosa.
Compresa la traduzione. Che sia lettera(tura) o “finzione”, l’importante è la Passione per il “barocco”, il “gotico” e le storie alla Ronin.
Da cui la Cattedrale di Notre-Dame che Victor Hugo, nel suo celeberrimo romanzo “sto(r)ico”, scrisse Notre Dame, senza trattino ma con lo “spazio”.
Evviva gli uomini scrittori e “spaziali”. A t-ratti sba(di)gliati.