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Nuove promesse attoriali: il grande Édgar Ramírez, sì, è già grande, lo diventerà di più

di Stefano Falotico

Edgar Ramirez

C’è un giovane attore, “spuntato dal nulla”, che mi sta appassionando parecchio.

All’anagrafe, il suo nome completo di battesimo è Édgar Filiberto Ramírez Arellano.

Reso semplicemente in Édgar Ramírez, con la E accentata così e la i del cognome sempre di stesso accento.

Ma, per comodità, nei credits appare spesso soltanto come Edgar Ramirez, senza accenti.

Venezuelano puro, nato infatti nella cittadina San Cristóbal.

E un po’ il viso da Cristo sudamericano ce l’ha. Il suo bellissimo viso, e badate bene, non sono omosessuale ma devo ammettere che è figo, è uno stupendo incrocio tra la forza fisiognomica latina e la cornice, sudata di passione, non solo recitativa, proprio imprimente a noi carisma immediato, che pare esser stata cesellata da un pittore amante dei bei (ri)tratti. Occhi ipnotici, profondi, scurissimi, enigmatici, languidi come le brezze sul mar terso dell’abissale romanticismo infuocato, la versione più fine, nei lineamenti, di Benicio Del Toro. Non a caso, incontra il mitico Benny nella “particina” che Steven Soderbergh gli dà nei due Che ove, come tutti sanno, Del Toro fu uno strepitoso Guevara, scandalosamente ignorato dagli Oscar, che disgraziatamente lo estromessero dalla competizione senza neppur nominarlo, e facendo così infuriare il suo amico Sean Penn, il quale sostenne che non avrebbe guardato la cerimonia perché non solo sarebbe stata, secondo lui, sacrosanta la nomination, ma avrebbe ritenuto scandaloso immaginar solo di non premiarlo, figurarsi dunque neppure candidarlo. Sì, spostiamo un attimo l’attenzione su Del Toro, capirete…, Del Toro, a sua volta di somiglianza impressionante a Guevara, da creder quasi che l’idolo rivoluzionario d’intere generazioni non fosse morto per il suo libertario ideale ma si fosse reincarnato appunto in Benicio.

Ma in alcune scene del film, ho avuto il dubbio che Che Guevara fosse anche l’altro, il nostro Ramirez, appunto. Perché proprio speculare di analoga potenza espressiva e similarità del volto, nonostante la sua parte fosse di minutaggio assai più ridotto, essendo lui il comprimario e Benicio l’assoluto protagonista pressoché onnipresente, in ogni scena monumentale. Mi parve quasi però che Benicio, in quelle poche scene, già gli facesse da padre putativo, attorialmente parlando, nel consegnargli una sorta di testimone come accade nelle staffette olimpioniche. Come sussurrargli: “Io sono già grande, tu non sei male, ti tengo d’occhio, sei bravo, coltivati e ti stringerò presto la mano quando, mi auguro, anche tu salirai un giorno sul palco del Kodak Theatre a ritirare la statuetta”.

Così, dopo alcuni ruoli “invisibili” nel suo paese, quasi da “telenovele”, Ramirez esordisce come amico di Keira Knightley e Mickey Rourke in Domino di Tony Scott. È il terzo cacciatore di taglie ma ancora in pochissimi lo notano, nonostante proprio nel poster campeggi(ava) assieme agli altri due famosissimi.

Domino Tony Scott

Un film che comunque veniva prima dei Che di Soderbergh.

Torniamo proprio dunque di nuovo a(l) Che. Non mi sbagliai. Due anni dopo, Olivier Assayas gli dà un ruolo “cheguevariano” da “guerriglia” al contrario, di parimenti però importanza “latina” e diciamo “ribelle”. Quello di Carlos lo sciacallo, terrorista marxista-leninista nel biopic “televisivo” Carlos, appunto. Un ruolo “inverso” a quello di Guevara ma che, per certi versi, può rappresentare l’altra faccia della medaglia di un “lottatore” costretto però a diventare “cattivo”, a sconfinare…

Ma ancora in pochi sanno chi è Ramirez.

Credo che il prossimo anno, finalmente, arriverà la sua consacrazione anche a livello di popolarità. Si presenterà infatti con altri due enormi personaggi.

Sbirciamoli…

E poi, ditemi, se da queste catturantissime immagini, non siamo di fronte a un futuro… luminoso.

Ramirez The Liberator

 

Ramirez  De Niro Roberto Duran

 

Il problema di mentalità “supereroica” della mia generazione “cinefila”, non sa discernere e ragiona di comics per omologate banalità solipsistiche da comici cosmici

di Stefano Falotico

Bale The Dark Knight Rises

Siamo arrivati a questo ed era inevitabile. Ah, la nostra era! Una generazione educata dalla spazzatura catodica. Cosa potevamo aspettarci? Che, guardando in tal mo(n)do i film(acci), arrivino ad ammirare soltanto quelli “bradi”, ove la cafoneria sa mescolarsi alla “sana” strafottenza ludica, film distorcenti, “arruffati” di rabbie riflesse, d’un venereo disagio videotrasmesso a recezioni percettive dell’essersi trasformati in robot, in macchine azionate unicamente da un desiderio compulsivo di fame “chimica”.

Così, impazzano i cine-fumetti. Di ogni gusto per ogni sal(sa) in zucca di tal demenza collettiva che, non so come faccia, adora gli uomini mascherati, bardati di “doppie personalità” a renderli “fighi”. Si arrenderanno, presto, fidatevi! Freak volanti, catorci antropomorfi elevati al rango di eroi. Pipistrelli nolaniani osannati dall’appiattente imbarbarimento del cinefilo medio-piccolo che vede nella saga del cavaliere oscuro la panacea d’ogni suo male interiore. Sì, Batman è un uomo “traumatizzato” per cui scatta, nello spettatore decerebrato con molte inculate alle (s)palle, l’empatia “emozionale” del sentirsi, in simbiosi con lui, “vivamente” coinvolto per combattere la feccia. In poche parole, questi sono i classici, “moderni” nerd frustratissimi in cerca del loro idolo “invincibile”, dall’armatura “pompata”, dal pettorale in fuori che fa imbattibile forza militaresca, un “uomo nero” che starebbe antipatico a tutti ma, nell’ottica del nerd, assurge a suo modello da cui apprendere per i poster(i). E, così facendo(selo), ancor più nel posteriore lo prenderà, non capendo nulla né del Cinema né dei suoi conflitti psicologici che tanto dolgon la sua anima patetica, accentuando sol il suo incurabile, indelebile turbamento da ragazzino che poco dialoga con gli altri ma si sega da solo. Sì, e guai a toccargli Chris Nolan. S’infuria, corre furiosamente in bagno, si rade la barba, si sciacqua il viso e, davanti allo specchio, sì, motteggia “orgoglioso” un autoreferenziale: “Ora, basta che indossi la maschera e sono uguale al bel Christian Bale, un tipo-topo tosto”. Dunque, apre l’armadietto e sceglie il costumino che fa al caso triste-umano nostro.

Tale nerd, emaciato, magrissimo, “nottambulo” a causa dell’insomnia latente da asociale moscerino che sempre se la fa sotto, sbottando tra un neurolettico e un’aspirina da ragazzino arido e aspro, imbottendo spesso il suo tubo digerente di “lassativi” formato peggior YouTube, si denuda, il suo “scheletro” (tras)muta, da un concentrato di tic e manie nevrotiche, a vero “reattivo”. Sì, dunque indossa il ruolo del suo eroe di turno, io direi di totale tonto e, così (s)coperto, si crede un guerriero toro pronto a far lotta ai nemici.

Li vede dappertutto, chiamasi paranoia da idiota.

C’è solo un anemico ed è lui, infatti, un ragazzo dal colorito pallido e i denti ancor da latte, già esangue nell’anima in quanto prosciugato dall’incarnare precoce lo spurgo alla vita reale, da lui invece cagata in “voli” appunto pindarici e virtuali, veramente un virtuoso, ah ah, di trucco nel pittato volto da schiaffi, a “elevazione” che “sorvola” sulle sue problematiche gravissime dalle proporzioni internazionalmente anti-relazionali di “matrix” gastrica sfegatante e fetentissima,  gridando che non si farà imbrogliare dalle briglie sociali ma è anticonvenzionale “arma letale”, “temibile” solo al suo (rit)ratto. Così, a sciolta briglia, io credo solo diarrea da lerdoso a farsela nelle mutande, emula Batman, (e)virandosi in altra ma(ta)ssa di suoi coetanei (in)castrati dalle identiche dinamiche incassanti dei coglioni loro sesquipedali.

Vai, spingi sull’acceleratore e la notte prevedo io per te, mio nerd, nerissima!

In poche parole, abbiamo il futuro Pinguino.

E Batman deve stare attento a uno scemo di tal fogna.

Speriamo non partorisca raggelanti suoi simili. Ma questa generazione invece è già mostruosa.
La fine della nostra umanità è già avvenuta.

Pinguino Batman

 

 

In attesa degli Emmy, il grande Rust Cohle di True Detective, analisi alla Celentano con reminiscenze spirituali-ancestrali

di Stefano Falotico

Rust Cohle

Ebbene, come non si può premiare il grande Rust? Un monumento io scolpirei all’intaglio sopraffino della perfezione acuta, linda come un’aquila al plenilunio nei giorni di Dracula nudo a Londra con Mina prostrata in capezzoli strizzati, a suo sangue gozzovigliante e iper-godente di venerazione su(p)ina d’amplessi formato iperbole, gemerei gracchiante senza le vostre bili, miei bidoni, splendidamente arcuato a notturna estasi d’una castellante rinomanza, immolato a perpetuo inchino dinanzi alla magniloquenza potente d’un intrepido del genere, roba che Johnny Depp di The Brave viene schienato e non si alza più da terra, per come costui abbia superato ogni confine incredibile della virtuosa grandezza (dis)umana. Sfidando egli stesso in un’impresa che scavalca non solo la recitazione magnetica ma svenendo nel personaggio incarnato a Cristo diabolico in tal miserrima terra, (a)sceso nella sua infernale discesa. Senti come le parole scalpitano, ed è tastarle di tastiera di gran giovamento, come ogni dubbio s’appiana e d’onda d’urto vigorosamente nell’anima plana.

Ma chi è Rust? Non crede in Dio ma ha nella sua stanza “penosa” un crocefisso che lo protegge dal male, combatte il male ma anche lui non sta tanto bene, ha finito di credere alle chimere quando gli tolsero il ciuccio al reparto dei cuori sognanti, in tal mondaccio appunto sbattendolo, e da allora, con strenuità implacabile, tremar il cattivo farà, con un’ostinazione da far spavento. Roba che se lo licenziano, torna sul luogo dell’impunito e stavolta lo macella, eviscerandogli accoltellante un dolore che alle sue vittime inflisse con moltiplicata crudezza.

Spietatamente senza freni, più animale di quello che da sempre combatte.

E lo scova nel covo di Carcosa.

Ma True Detective spero l’abbiate visto tutti. Inutile che mi dilunghi ma il brodo allunghiamo, basta che non sia di tua moglie, una gallina comunque da spennare e usar come dado per i miei baci dardeggianti nei tempi di magra. Amo il magro, sì. Asciutto. Immaginiamo ché l’immaginazione non ha confini né limiti, è sconfinata, appunto. Spero anche appuntita se proprio acuti non vorrete (dis)illudervi né nei falsi buonismi a riccio chiudervi. Le ansie dei frustrati creano mostri e i mostri van lottati nello stesso campo di battaglia. Non accampate scuse, vi conosco. State sempre sul chi va là, proprio nei vostri accampamenti, anzi scomodissimi appartamenti. Ma che vi appartate? Non pensate che, così facendo, alla bontà v’apparenterete. Vi conosco, è solo sfrontata, doppiogiochista apparenza laida e viscida. Take off your mask di ribaltamento sorprendente! Ah, patetismo dei vostri (in)dotti catechismi da indottrinati che domandate lamentosi alla divin provvidenza che vi faccia la grazia per portarvi a letto delle graziose. Guardatela in faccia e, senza pudori, fottetevela!

Non inibitevi, moralistoni da pistolotti, secondo me solo dei pistoloni, meglio la pistola di grilletto, che son queste castrazioni che credete “ludiche?”. Ma quale chimica! È la biologia dei corpi che m’interessa. Il resto è solo un sofismo peggiore di quel coglione di Freud, uno a cui la madre deve aver dato non pochi problemi, “ciucciandoselo” in un Edipo mai visto e co(s)mico! Il pianeta dei giocattol(a)i è (s)finito da un pezzo sol che di merda, il primo che v’ha ferito e voi accusaste il “rospo” dei suoi colpi, ammutolendovi nel silenzio del reggergli il “gioco”, e non ci son “castelli di rabbia” alla Baricco che possan tenere dirimpetto alla veritas. Tutti ammennicoli e gingilli per sfuggire dalle vostre paure, dalla vostra profondità, dal naked lunch ché così dev’essere! E non ci sono ragioni! E questo è! Così l’ho scritto e sia fatto. Sfacciato! Ma che volete farmi? Il piacere fatemi! E fatevi la fata per una buona volta. State sempre appresso a delle streghe da cipressi. Ah, camminando con la zoppa nel cervello, poca “acqua” porterà al vostro mulinello, è una matta che vi annegherà per condurvi al cimitero. Datemi retta. Una botta e lasciatela crepare! Non siate asini ma dateci con le mule! Non muratevi con quella laureata in lettere, una mezza frigida che trova consolazioni nell’insalata per non ingrassare e si sta solo abbuffando di libri da filosofici voltastomaco. Che schifezza di donna! Ma levatela dalle palle! Che vuol filosofeggiare? Ma che scopi come Dio comanda! E poi a lavar i piatti! Una povera piatt(ol)a, senza fantasia.

Sì, “sudatevela”. Tutta dentro. Senza remore. Tu, che fai al timone? Vuoi trombare? E allora beccati la trombetta. In bocca riceverai solo questo, il mare per te si fa abissale! Chiudi il becco e affoga! Io invece me ne freg(i)o. Son solare, suadente, decadentistico, col mantello dell’anima che sventola imprendibile nel vento, ferocia di volto raggrumato in rivoli di virilità, anche di cattiveria “buona”.

Ecco, un mio amico è rimasto stupefatto dal mio “Il cavaliere di Alcatraz”, ha acquistato questo libro del sottoscritto e n’è rimasto impressionato. È la storia di un personaggio che vagamente assomiglia a Clint Eastwood. Praticamente, me stesso. Finito nel carcere più duro del mondo per motivi che capirete solo leggendolo. Ma qualcosa di profetico e messianico si scuote dai remoti antri della sua anima, dai rigidi anfratti delle istituzioni (ba)lorde, e si scatena un apocalittico terremoto. La salvazione di chiunque, la libertà! Il distruggimento di tutti i reggimenti, delle mentalità ottuse e belligeranti anche sol di vetusta ideologia immondamente esecrabile. Da condannare. E, come Cristo, perdona tutti, anzi dona loro un regalo immenso! Li fa evadere, senza “giustificazioni” imprigionanti che tengano! Si fottano!

E sto ora, sollecitato dal suo “solletico”, scrivendo il seguito.

Sono un inventore di parole senza prole, Dio me ne scampi dall’aver figli. Come Rust, desidero il sesso rustico senza anelli di fidanzamento. Sarò l’anello mancante fra la scimmia e l’uomo? Chi se ne frega? Basta che stia in mezzo senza esserle della vecchiaia il “bastone”. Mi faccio cucinare un uovo, la strapazzo un po(r)chetto e poi mangio il sughino. Finito che ha di succhiarmelo, la mando a cagare.
Sono uno stronzo!

Se mi fate incazzare, divento un bestione. E non mi basta mai!

Sì, sono il lucky bastard.

E voglio, per allietarvi, dolcemente cullarvi con una stronzata di gran levità. Basta evirarvi!

A briglia sciolta da sregolati vi voglio!

 

Situazioni kafkiane

Non so se avete mai letto “Il processo” del nostro Franz. Miscelato genialmente nella trasposizione “stroboscopica” del maestro Welles, specializzato nel guardar alle piccinerie della vita da una prospettiva ingigantente per sminuire l’enorme tragedia del grottesco, minuscolo cotidie vivere.

Ecco, il nostro “pyschoPerkins, nell’omonima pellicola dell’enorme Orson, vien accusato da dei “guardoni” di un crimine da lui mai commesso. Povero “messo” impiegatizio indagato dallo stesso apparato burocratico per cui lavora. Vai a far i conti da “ragioniere” e t’incriminano ché a lor “direttori”, non tanto dritti, non torna qualcosa sul suo conto. Mah, anche se non tornasse, io spero sempre nel ritorno di Dracula, il Conte. Uno che se ne frega delle banche ma, dissanguato, diventa sempre in volto più bianco. Da cui la mia filastrocca azzannante di “freddura”:

il Conte ama i corvi nella notte lunga

e coi lupi,

succhiando i virginali colli femminei,

“lunghissimo” s’avvoltola da creatura col suo creaturale cantico.

Che culo! E pure ulula con lei là! Trallallero!

Mica la vostra vita di tran tran.

Dorme nella bara,

non tanto al calduccio

perché in Transilvania si gela

e impallidisce ogni giorno di più

delle donne che allupa,

golosamente leccando le lor gole

prima di tornar nel suo antro silenzioso

e anti-sonorizzato ove,

anche se si sgola,

nessun lo ode

nemmai lo udiranno

neppur quando lo decolleranno!

 

Nonostante tutto,

a suo modo se le gode.

È tutto (fa) sangue che cola,

poco grasso, cari smargiassi.

Eppur il Conte tutte magna!

Dracula però dimagrisce a vista d’occhio!

Cazzo!

Sempre più magro e sexy come la cera,

tanto magro che una volta c’era

ma ora non lo vedo,

sarà un fantasma?

Attenti però al lupo,

non è facile ammazzarlo.

Devi ficcarglielo nel cuore!

Stai accorto al paletto di avorio

se non vuoi che i canini…

t’impallinino

più del suo pallore,

caro gonfiato pallone

d’un Van Helsing

sbranato!

Il Conte,

insomma,

si fa i suoi,

tu pensa agli affari tuoi

e buonanotte

a prescindere

dal coprifuoco!

 

Tale filastrocca, da me inventata di “sana” zucca e pianta, fa schifo? Io direi che è impresentabile ma l’importante è suonarsela, da cui il Conte che se la canta e lei, tutta ignuda, ci sta a novanta!? Mica tanto.

 

Ecco, la situazione kafkiana è questa.

Uno telefona alla polizia per sapere come stan procedendo le indagini, dopo che sporse denuncia per esser stato preso d’assalto da uno stalker “anonimo”, il quale, a quanto pare è d’obbligo in tal “caso”, vorrebbe ucciderlo.

La poliziotta gli risponde che non esistono denunce a nome del telefonante.

Colui che sta telefonando, allora, tira fuori la denuncia per farle il fax a dimostrazione che la denuncia c’è, eccome, nonostante risulti assente-presente da non morto vivente.

Desidera che all’anonimo facciano il culo.

La poliziotta acconsente, non gliela dà, e pazientemente attende il fax del già fu denunciante e credo presto di aldilà spia(nte) preterintenzionale.

– Ah, sì, ecco il suo nome. Ma questo è il nome di chi ha fatto la denuncia, lei mi aveva detto che voleva sapere a che punto eran le indagini a suo nome. Mi spiace deluderla, non esiste nessun mio collega che ha il suo nome. Quindi, per me finisce qui.

Si rivolga allo specchio.

La saprà consigliare meglio di me, visto che io non l’ho mai vista, invece il suo specchio conosce il suo doppio.

Arrivederci, buona serata.

Comunque, le consiglio una camomilla in caso di altri attacchi.

 

Al che, Rust, dopo aver ammazzato il cattivone, mette su Celentano e canta “Pregherò!”.

Perché è nato così.

E ricordate: Rust ne sa una più del diavolo, ha le corna in testa ed è libero come un cervo.

Ah, voi invece avete delle brutte cere. Una volta c’eravate, adesso state piegati a dar la cera.

Ma, per lasciarvi in bellezza, miei bruttoni e voi, racchie da prender a racchette, voglio raccontarvi questa.

L’altra sera, si avvicina una bella donna.

– Piacere, sono un’architetta. Tu?

– Io non sono nulla ma mi piaccion le tue tette. Come (lo) facciamo se alla mia casa manca un tetto?

– Hai un letto?

– No.

– Niente, scusa.

– Non trovar delle scuse. Costruisci una casuccia e fammi una cosa carina, ok?

La lasciai con un palmo di naso ma comunque la “spalmai” da sfollato in lei messo in folle.

Al che, un mio amico mi chiede che tipo crede che io credo lui sia.

– Non ho credenze ma ho il pane nella credenza.

Tu come stai messo a “pene?”.

Bene o male? Non fare il cazzone.

– Sei omosessuale, vuoi scoparmi?

– Vai a dar via il culo!

 

Discussione Facebook su Qualcosa è cambiato, poveri faccioni da fessi e poche femmine

di Stefano Falotico

Uno degli Oscar più discussi “avvenne” nel 1997. Ce l’ho stampato nella memoria indelebilmente. Molto criticata fu infatti all’epoca la scelta dell’Academy di premiare Jack Nicholson per As Good as It Gets. Jack che, dopo il meraviglioso Voglia di tenerezza, sempre di Brooks, riceve il suo terzo Oscar, entrando nella Storia…, vincendo appunto stavolta ancora come “Protagonista”, come successe nel ’75 per quel capolavoro immortale che è Qualcuno volò sul nido del cuculo.

Caso ancor più raro e “speciale” perché tutte e tre le volte ha vinto per aver interpretato un “pazzo”. Un pazzo per la gente superficiale.

E ora mi scannerete perché (non) “bestemmio”. Il personaggio di Melvin Udall è psicologicamente superiore al seppur mitico McMurphy della pellicola di Forman.

Melvin, una contraddizione vivente, infatti. Un ruolo che solo Jack Nicholson poteva sostenere. Perché, nel suo viso, nelle sue movenze, nelle sue sopracciglia da “morbido” lupo/etto, è incastonata la vita. Il grande, enorme Jack che imparò dunque la lezione di recitazione che il suo amico Marlon Brando gli confidò durante una pausa della lavorazione di Missouri. Lo prese in disparte e gli disse cautamente che un attore vero non ha bisogno, in realtà, di belle parole da pronunciare. O, meglio, se la sceneggiatura è strepitosa e le battute, che dovrà recitare, son state scritte da un’ottima penna, semmai dirette da un regista coi fiocchi, ecco, naturalmente l’interpretazione ne giova sensibilmente. Ma il punto è che un grande recita con gli occhi, con le espressioni del viso, deve trasfondere l’anima della vita nello sguardo e “proiettarlo” d’empatia agli spettatori. Sì, Marlon disse questo a Jack. Che era davvero bravo ma doveva migliorare. Doveva imparare a parlare con gli occhi, non solo con le smorfie e con la bocca. E se lo diceva Marlon, uno che recitava dondolando solo il capo o aggrottando in svariati modi la fronte nel sedurci tutti a sua nobiliare, irraggiungibile altezza, Jack non gli poteva che dar ragione da vendere… e anche noi!

Così, pian piano, (im)percettibilmente, Jack si perfezionò. Un cambiamento (in)visibile, discreto, “in sordina”. Era già uno dei miei migliori ma forse Marlon gli “tolse la parola di bocca”… di troppo, Jack dunque divenne più sottile, più sofisticato, ancor più fascinoso, ermetico, e gli bastò soltanto muovere con delicatezza le labbra, coniugandole al suo celeberrimo sorriso ambiguo, gli bastò “solo” ammiccare per elevarsi incommensurabilmente, immerso a nostro “scioglimento”.

In Qualcosa è cambiato, questo stile (r)affinatissimo, toccò appunto la vetta. Sbraita, sì, si dimena scompostamente ma poi sta zitto per interminabili, sensazionali secondi in cui, mutando addirittura nel colore dei suoi occhi, smalta di traslucido l’anima di un personaggio “piccolo piccolo”, pieno di complessi, di paure, un misantropo “stronzissimo”, un “pirla” di proporzioni mondiali, incredibile per come “ci è o ci fa (?)” con strafottenza da lasciar rabbrividiti, un personaggio sbagliato, “cattivo”, (in)sopportabile, in “poche parole”… gigantesco.

Stamattina, su Facebook, s’è scatenata appunto una faida tra cinefili. L’altra notte, infatti, un mio contatto, a quanto pare, ha rivisto proprio Qualcosa è cambiato e, avendolo rivisto, conferma il suo primo “visto”, cioè ribadisce che, secondo lui, è un film magnifico.

E, per tale sfrontata affermazione da “folle”, sotto il suo post… piovono commenti formato pietre a “linciarlo”.

Ah, bello mio, dovresti rivedere Billy Wilder per capire cos’è un filmone. Non questa “roba”, melassa furba e cinismo all’acqua di rose.

Etc, eccetera… e via dicendo a dargli giù!

Altri “insulti” (s)velati, con tanto di nomi “senza vergogna”.

Al che, intervengo io, e li blocco subito, dando ampiamente ragione al mio amico.

“Afferro” una clip da YouTube e la piazzo lì, la clip del più bel complimento della vita.

Nicholson ed Helen Hunt, seduti al ristorante, forse han fatto pace? Ri-vediamo la (s)cena al “ralenti” delle emozioni.

Nicholson fissa Helen a suo modo, a suo Melvin… la sua amata-non amata-chissà se lo ama o è (in)decisa.

 

– Allora, adesso sto per farti un gran bel complimento. Ed è la verità.

– Ho tanta paura che dirai qualcosa di orribile.

– Non essere così pessimista, non è nel tuo stile. Ok… te lo dico… faccio sicuramente un errore. Diciamo che io ho… cos’è? Un disturbo? Il mio dottore, uno psicanalista dal quale andavo sempre, dice che nel 50/60 per cento dei casi, una pillola può aiutare molto. Io odio le pillole, roba molto pericolosa le pillole, odio…, bada bene, uso la parola odio apposta quando parlo di pillole. Odio! Il mio complimento è che quella sera… che sei venuta da me e mi hai detto che non avresti mai… be’…, insomma, tu c’eri quella sera e lo sai quello che hai detto… be’, il mio complimento per te è che… la mattina dopo, ho cominciato a prendere le pillole…

– Non capisco come possa essere un complimento per me?

– Mi fai venire voglia di essere un uomo migliore…

 
La risposta di Helen Hunt, commossa come noi, la sapete tutti.

 

Applauso! E lacrime a gogò.

Che classe! Che regia, che scelta appropriata della musica in sottofondo, che duetto d’attori impagabili. Che “lentezza” da pelle d’oca prima che arrivi la botta emozionantissima.

Nonostante ciò, un tizio, sempre su Facebook, non è stato persuaso che dovrebbe rivedere il film prima di stroncare “a bestia”.

– E con ciò, Stefano? Una scena furba, ribadisco.

– Ah sì? Tu come l’avresti girata? E, soprattutto, sei sicuro che saresti stato più bravo e convincente di Jack?

– Sì, è fintissimo in quella scena. Io avrei detto alla Hunt: “Basta girarci attorno, non sei una modella, sei anche troppo magra e sospettosa, ma sinceramente, dopo la cena a lume di candela, voglio accendertela…”.

– Davvero? Tu l’avresti “girata”, dicendole questo?

– Sì, certamente. Senza questi infingimenti da Cinema “leccaculo”.

– Mi faresti un “favore?”.

– Certo, con piacere, dimmi, Stefano.

– Devo farti il complimento più bello della tua vita.

– Ho paura che dirai qualcosa di orribile. Comunque, spara.

– A “random?”. Come viene-viene?

– Sì, sì, senza formalità.

– Allora, il mio complimento è… sei un bell’uomo. Sì, proprio bello bello.

– Tutto qui?

– Sì.

– Ah, grazie, Stefano.

– Prego.

– Sai che sei il primo a dirmi che sono un bell’uomo?

– Non avevo dubbi.

– Che vuoi dire?

– Che, ripeto, sei un bell’uomo. Sono stato il primo a dirtelo, sai?

– Ti stimo, Stefano.

– Non c’è di che.

– Ma davvero credi che io sia un bell’uomo?

– Sì, certo, vuoi che te lo ripeta ancora una volta? Soffri di mancanza di autostima?

– Grazie, sì.

– Sei un bell’uomo, un bell’uomo, un bellissimo uomo.

– Ancora una volta, ti supplico.

– Sei un bell’uomo. Basta però. Non ho capito, nessuna donna te l’ha mai detto e ora devo essere io a “tappare il buco?”. Oltre al bell’uomo, vuoi anche un tegamino in faccia con le uova?

– Come, scusa?

– Nessuna donna ti ha mai detto di essere un bell’uomo. Te l’ho detto io ma finiamola qui.

– Che vorresti dire? Che non piaccio alle donne? E che c’entran le uova?

– Hai frainteso. Sei un bell’uomo ma, se fossi una donna, ti manderei a fare in culo. Anche la più “gallina” ti strapazzerebbe.

– ! Stai esagerando, adesso! Ti spacco la faccia. Ti prendo a pa(de)ll(at)e!

– Vai a lavare i piatti, dai. E non raccontare stronzate. Neanche le stronze possono darti retta, coglione.
Ecco perché James L. Brooks è un grande.

Sa come girare con eleganza, senza questi cazzoni spara-cazzate che ce le fan solo girare.

E si giran i pollici fra una sega e l’altra.

Di loro, parlano e basta, fan prender aria alla bocca di balle e blablabla.

Non hanno mai scritto un libro, neanche una sceneggiatura per il teatrino parrocchiale, non hanno neppur girato un cortometraggio da prima comunione e, soprattutto, credo non abbian mai avuto una donna. Tranne quelle che pagano o quelle a cui leccano, appunto, il culo.

Questo è cinismo ma è anche buonismo.

 

Gli uomini senza ombra al Cinema, gli hollow men han sempre affascinato

di Stefano Falotico

Le avventure di un uomo invisibile


Quanti film abbiamo visto ove il protagonista, che sia eroe o meno, perde la sua ombra?

Parimenti a Sansone che, perdendo i capelli, pensò di esser stato disintegrato della sua forza e invece, da quell’“evirazione”, acquisì una coscienza di sé più fiera e ancora più agguerrita, dunque anziché indebolirsi si rinnovò rigenerato di maggiore, energico rafforzamento, soprattutto nell’anima, facendo crollare tutti i filistei e le lor colonne “indistruttibili”, fondate van(itos)amente solo su labili, falsi “valori” disumani, come la Bibbia docet, ecco che ci son tante storie, nella Letteratura e soprattutto nel Cinema, ove il nostro man, per circostanze misteriose, assurde, stipulando strambi patti diabolici o a cagione di sortilegi dei più disparati appunto di sorta che lui pensa sciagurati da disperato, vien privato della sua ombra. Sì, all’inizio, quando perde la sua ombra, il nostro man è come se fosse stato sottratto dell’intimità del suo animo. Perché colui che non proietta la sua ombra… è un fantasma, un morto vivente. Un uomo appunto invisibile. Se non si vede la sua ombra, l’uomo, che la “indossa”, è come se non esistesse. O meglio, lui c’è, si percepisce vivo e vegeto come prima, né più né meno, ma la gente, che lo circonda, non vedendo la sua ombra, è come se proprio non vedesse nemmeno colui che appunto la “rivestiva”.

A tal proposito, ieri pomeriggio, sfiancato dal caldo essiccante, ove si rischia proprio di “evaporare”, da cui il detto dei molti gradi all’ombra, ho pensato bene d’andar a ripescare un mio vecchio libro d’antologia delle scuole superiori, rintracciando poi un estratto della “Storia straordinaria di Peter Schlemihl”. Romanzo pubblicato nel 1814 dal poeta tedesco Adalbert von Chamisso.

Una splendida storia che assomiglia al “Faust” di Goethe, anche lui tedesco. Oh, si vede che, in quel periodo, dati gli stenti economici, l’indigenza e la povertà nella quale riversava la Germania, questi germanici, eh eh, “buttavano al diavolo tutto”. Ah ah.

Eh sì, come Faust, il protagonista del libro di von Chamisso, giunge da povero in città.

E, non sapendo come tirare a campare, poiché nessuno gli dà da lavora’, ah ah, ecco che incontra uno strano “straniero”, uno di quella zona ché la/o conosce meglio delle sue (senza) tasche. Un “ricco” proprietario di quelle terre maledette dal demonio. Appunt(it)o! Eh sì, dietro gli abiti eleganti del buon samaritano, si nasconde in verità niente meno che il Devil in persona. Il nostro Schlemihl, allorché, (in)cosciente, pe’ fa’ du’ lire, dunque per guadagnare dei franchi…, “francamente” vien fregato dal figlio di put… a. Eh eh. Sì, in cambio di vile oro, il nostro diavolaccio gli chiede in cambio la sua ombra.

Da allora, Schlemihl vagherà per quelle lande desolate in modo inconsolabile. Nonostante la ricchezza, sarà più triste ed emarginato di prima. Varie peripezie lo consoleranno per un po’. Nel suo lungo ed estenuante peregrinare, incontrerà un benefattore, stavolta onesto, che lo ricoprirà di onori e gloria, ospitandolo a casa sua. In quel paese, s’innamorerà di Mina ma non potrà sposarla perché i genitori dell’ambita sposa scopriranno che il futuro genero è un “degenerato”, in quanto sprovvisto della sua ombra. Come dire:

“Un uomo senza ombra non è un buon partito, è già un uomo finito, cara mia, sposarsi uno così, significa aver già il piede in un fossa. Ah, dolce figlia, stacci a sentire, questo Schlemihl è solo un fesso. Lascialo perdere. Ha già perso tutto. Sì, uno senz’ombra che cazzo vive a fare?”.

Schlemihl insisterà in tutti modi per tentare di sposare Mina. Lei ci sta, non ci sta, l’ama e non l’ama. E, fra una margherita, un semi-bacio, un tira e molla, Mina alla fine lo manda a quell’altro paese. Ove Schlemihl troverà finalmente la felicità, dedicandosi appieno allo studio delle scienze naturali.

Che storia “allegra”, eh? Sì, biografica poiché von Chamisso impresse in prosa la sua solitudine esistenziale da intellettuale “rifiutato” dalla società dell’epoca. E, in quelle bellissime, incantevoli pagine magiche e poetiche, semplicemente, così come fanno spesso gli artisti, sublimò le sue precarietà…

Ora, citiamo, fra i mille, due casi a cas(acci)o di film, più o meno importanti, ove il nostro “eroe” perde l’ombra e getta nello scompiglio tutti, soprattutto sé stesso.

Hollow Man con Bacon-Shue e Le avventure di un uomo invisibile del grande John Carpenter.

Ah, nel film di Verhoeven, quel bocconcino di Bacon vuole la super donna Shue ma non riesce a “toccarla”, lei lo sente, lui le entra dentro…, coglie il suo respiro da “fiato sul collo” eppur non gode, non viene… “soddisfatta”. L’ombra è palpabile ma l’uomo è non è pappabile, la donna non vede la sua ombra, non lo vede per niente, come può dargliela? A chi la deve dare? Dove sta, come si fa a scopa’ se fisicamente non si può acchiappar’?

E l’ombra va, gironzolando di notte qua e là, tastando e annusando, furbescamente “fottuta”.

Elisabeth Shue Hollow Man

 

Coi Coen e con Hail Caesar, celebro la loro filmografia in modo “folle”, come piace a me, autarchico, elegantemente visionario

di Stefano Falotico

Joel Ethan Coen

 

Quanto mi attizza il nuovo film dei Coen, Hail Caesar con Josh Brolin e Clooney, evviva l’idiot trilogy dei Coen…

 Sì, i due fratellini hanno annunciato il loro nuovo film, che si prefigura come un evento devastante. S’intitola Hail Caesar, una sceneggiatura che loro hanno scritto una “miriade” di anni fa, sempre custodita gelosamente ma mai, alla fine, concretizzatasi in un film, come sovente accade, da lor stessi diretto. Perennemente procrastinato a favore di altri progetti, forse meno complessi, più immediati, più “di presa” per il pubblico. E allora ben venga Non è un paese per vecchi, ostracizzato, ostico, forse sopravvalutato, comunque oscarizzato con tanto di statuetta strameritata a uno Javier Bardem con la pettinatura più oscena della storia, l’uomo che non c’era versione McCarthy cinico eppur con un toupet spaventosamente “simpatico”, sì, A proposito di Davis ci può stare fra un gatto che batte tutti di sole fusa melanconiche da strapazzarlo e un giovane che sembra Al Pacino versione meno talentuosa e meno cazzuta, e in mezzo, anche dietro, un sacco di roba, che poi incenserò.

Ma arrivano, anzi arriviamo a questo Hail Caesar. Pochi dettagli sulla trama, si sa solo che Clooney torna a lavorare con Joel ed Ethan, appunto, dopo il “mezzo bluff” di Fratello, dove sei (sì, diciamocelo, un 6 stirato in pagella, dopo averlo rivisto, lo salvo solo per il pacioso sempre enorme Goodman e per un Turturro più strabico del solito) e quella cagata immonda di Prima ti sposo, poi ti rovino, un filmettino proprio piccolo sostenuto solo dai fan “senza fegato”, ah ah, dei fratellini, pronti a scommettere che fa gentleman ironico alla George- Cary Grant, appunto, con quel pezzo dell’uvona della Zeta-Jones, una che se metti in “pause” sui seni procaci della scena in ascensore, be’, non c’è bisogno che salga lentamente… arriva già a destinazione, e mi raccomando spingete “alt” per evitar il “contraccolpo” dell’esser venuti precipitevolissimevolmente, la parola più lunga dell’italiano media di “lingua”, che io batto di fantasia alla Mary Poppins, estraendo dalla mia “borsetta” sotto le occhiaie un super-fica…, ops, scusate, supercalifragilistichespiralidoso di basta un poco di zucchero e la pillola va giù. Non il Viagra, il Valium per contenere l’effetto “scoppiato” dell’ormone impazzito, ah, Catherine… allunga… che sedere poi, stia sedato!

A cuccia! Ma ci sarebbe da ciucciarla, cari ciuchi, sì, il caciucco, la cicuta. E la Paprika? Secondo me, è più bona Erica, senza k, non ci son cazzi. Sì, però è un po’ car(iat)a.

Sì, va “pene”, scusate, devo riprendermi dalla “botta(na)”, sì, volevo dire bene, volevo dire “Lei è un fallito!”, certamente, perché no, facciamo un viaggio alle (senza) “palle” da bowling formato trascurato Jeff grande Lebowski, il Bridges più cazzone che vedrete mai. Un genio assoluto per dei Coen ispirati da Dio. Oh, my Jesus, ancora due grandi John…

Ma che film è questo? Di un altro pianeta! Altro che oroscopi, mie donne frustrate da gastroscopie. Scopate! Vergine, in capricorno su ariete, potrebbe partorire dei gemelli o un toro in “congiunzione” abortista da piste, da ballisti, da freak, da pistolini come Steve Buscemi, “parto malato” della società tutta sballata, spaziale quanto Bridges che se le rompe con quella femminista artista dei “coglioni” della Moore, dunque gli parte l’embolo sideralmente congiunto a un’onirica visione di Saddam Hussein ed è un brutto trip(pone). Una squallida scopata in un pazzesco copione. Dunque, Ben Gazzara, uno da pornoattori, ex Bukowski qui con Lebowski, ordinaria follia, citazione (in)volontaria, e un finale dolceamaro da farci solo una gran risata.

Sì, questo mio post è da rimaner secchi, “senza parola”.

Ma la vita sta nel genio di quella battuta strepitosa…

Questo è il tuo compito, Larry? Questo è tuo, Larry? Questo è il tuo compito, Larry?

Che puoi dire?

Bravo!

Anzi, sono due. Bravi!

Tornando invece ad Hail Caesar. I Coen hanno dichiarato che questo sarà appunto il clooneyano terzo tassello mancante al loro succitato duetto, un terzetto sia filmografico sia di réunion da doppi registi consanguinei affratellati a Georgino. Loro l’hanno definita la trilogia dell’idiota…, ove Clooney, come nei due precedenti “casi”, interpreterà appunto il classico idiot savant. Uno che non sai se ci è o ci fa? Ma è bello, ha fascino. Sì, dello stronzo. Ed è giusto, se lo può permettere.

A cui Josh Brolin cercherà di parare il culo, in modo fixer…

 

 
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