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Chiamami Rupert Pupkin: per gli autografi, aspetta la mia vita che non ci sarà eppur da Festival di Venezia e Carnevale, ah ah!

Matthew McConaughey U-571

Gli attori che ho visto dal vivo, ad alcuni dei quali ho stretto la mano e di cui, da reporter caustico e senza peli sulla lingua, vi narro qui…, io me li inculai anche se tu continuerai a non cagarmi!

Sapete, col tempo ho imparato non solo ad apprezzare Robert De Niro ma a comprendere che son sempre stato il suo Rupert Pupkin, cacciatore di vite altrui per rifuggire da una società, annessa quella di Hollywood, forse la più peccaminosa di tutte, orrida e spettrale.

Al che, da king of comedy, ho vissuto sempre un’adolescenza “proiettata” al grande schermo dell’incarnarmi nei volti celebri altrui. Non però VIP da quattro soldi, a me dei personaggini da varietà italico è sempre poco importato, con buona pace di Pippo Baudo e Raffaelle Carrà di sorta.

Diciamo che ho sempre prediletto i miei attori prediletti, i favourite actors per dirla all’americana.

Ma, essendo io un uomo sofisticato che poco si accontenta, ho fra questi selezionato ancor più di scremarli.

Credo che da un ventennio circa abbondante, dilapido tutto (me stesso) a Venezia, sì, anziché spender soldi a Riccione, Rimini e riviere marine mediterranee varie, nonostante Marina Ripa di Meana (presenza fissa da puttanona), caraibiche o da Ibiza, ove le ragazzine ballano sul “Cuba Libre” dei marpioni ad “abbronzarglieli” da “manesche-amanuensi-molto cresciute-facendoli… crescere”, ho risparmiato i miei già “miseri” soldini nello spenderli qui, dunque da miserabile alla Victor Hugo gigantesco, a differenza di voi, nani senza neanche l’appeal romantico del gobbo di Notre-Dame, ché non sapete neanche idealizzare non solo i vostri smeraldi, la Costa Smeralda ed Esmeralda ma neppure la pornostar Esperanza Gomez, una da Ibiza comunque, e qui divento Pinocchio ché voglio si chini, parafrasando Elio e le storie tese, la mia Fata Turchina…, da cui quella Azzurra di Cannes. “Impalmerei” Esperanza con tanto di “champagne” spumeggiante!

Tali soldi “centellinati” spesi io, spendo come spenderò da vero mercenario, sì, sono un expendable che predilige la vita underground da indagatore dei cazzi tuoi, “buttandoli” al Festival di Venezia.

E, a Settembre, di consuetudine oramai annuale, anale forse a fottermi dell’adorar celebrità di s(ucc)essi, alcune son dei cessoni, lor goduti alla facciaccia mia che li “alza” ancor di più perché quelli maschi, arricchendoli, possan abbassare, forse anche “abusare”,  quelle delle colleghe lor mondane-“mondine” da “immondi” lucky bastard.

Ma a me non “sbatte” e continuo a tributar loro applausi a iosa, nonostante le mie spine e le poche ros(s)e femminili.

Eppur si “muove”…, affittando appartamenti al Lido e prenotando biglietti da Sala Grande o Palabiennale.

Ecco, di attori dunque ne ho visti tanti. Alcuni di razza, dunque cotanti, altri solo famosi di contanti…

Ma comunque, fra gli innumerevoli, ho perso il conto… Infatti, a forza di dilapidare il mio “patrimonio” in quel della kermesse, non ho più neanche un Euro per un caffè. Andiamo a farci un bagno, come suggeriva Noodles di C’era una volta in America, non ho i soldi, mia Deborah…, per raccontarti “balle” didietro… l’Hotel Excelsior. Al massimo, posso offrirti un “affogato” su mia risata al cioccolato. Poco “fondente” in mezzo alle tue gambe cremose ma pur sempre enorme, sì, ce l’ho grosso, da “fetente”. Vuoi (con)statarlo o preferisci George Clooney? Ah, capisco il tuo (ri)fiuto, vuoi la casa sul Lago di Como. Io posso darti solo un comodino e staresti peraltro, con me, scomoda.

Ma torniamo agli attori.

Non starò ad elencarveli tutti, altrimenti ci perderemo in mille e una notte…

Ma voglio qui stilare la classifica di quelli che a me son piaciuti di più, dei più fighi, come si suol dire, appunto, anche di soldi miei elargiti loro.

Cosa mi hanno lasciato in cambio? Ciò che il Cinema deve lasciare, cioè emozioni. Ché della vita lasciva da affaccendati quotidiani in vostre lotte vane(sie) da piccolo borghesi, lasciai, anche di scia di “peti”, perdere quando m’innamorai di Robert De Niro di Taxi Driver. Sono un animale strano…

E, unendolo al Pupkin, abbiam fatto il mio re per tutta la notte, fra note, autografi e qualche donna a cui donai la foto, da me scattata di Brad Pitt, e lei mi rispose “Grazie, preferisco il tuo…, basta che la gente non sappia che sei un fall(it)o, voglio un amore dal significato uguale al tuo cognome, Falotico, che appunto, da vocabolario della lingua italiana (anche se è meglio il bacio alla francese), significa bizzarro”.

Ecco comunque la hit:

1) Matthew McConaughey: visto, come da foto “insospettabile”, durante la proiezione di U-571. All’epoca, recitava come il culo, oggi è Rust Cohle di True Detective e premio Oscar. Vedi la vita?

Insomma prima il “sommergibile” di una carriera mai davvero emersa, oggi sommerso di riconoscimenti.

2) Nicolas Cage: visto sia per Matchstick Men sia per Bad Lieutenant di Herzog. Checché se ne dica, cari detrattori, uno dei più disponibili e simpatici. Sarà che, essendo così criticato, i fan deve “sostenere” se vuol reggersi la parte… Nic(chia) fa orecchio da mercantone alla Shylock, come Pacino presto sotto, ah ah!

3) Robert De Niro: visto per Shark Tale, uno stronzo mondiale, si è limitato a un “Ciao” con la manina e poi si è eclissato, passeggiando via portandosi appresso un panzone all’epoca dovuto alla sua cura, simil Cortisone, per via del Cancro vicino ai “coglioni”, cioè alla prostrata. Ma “durò” da duro e ingravidò di nuovo sua moglie, una nera, una di quelle che attizza… anche se servì l’artificiale inseminazione. Da cui oggi, dopo tal girini, i suoi film del cazzo.

4) Al Pacino: visto per Il mercante di Venezia e per Wilde Salomè. Un “salame” di grande charme.
Ma il migliore, fuori da ogni categoria di cul(at)oni vari, fu Clint Eastwood di Space Cowboys.
Ora, guardate attentamente, costui nella foto. Sono io e avevo circa 20 an(n)i. Matt Dillon mi faceva un baffo.

Infatti, oggi ne ho 34 e lui una cinquantina. Ho più peli di barba io rispetto a Matt.

Il che contraddice il luogo comune che chi è famoso è pure macho. Da cui In & Out.

Ciao

Ciao

 

 

 

In attesa di Sin City 2, breve monografia in 7 film iconici sul grande Marv, cioè il mitico Mickey Rourke…

Eccolo qui fra le suore. Un pugno in un occhio. Dacci una botta.

Eccolo qui fra le suore.
Un pugno in un occhio.
Dacci una botta.

Da me ribattezzato “La maledizione grida pugilistica sfasciandosi in fasciante, masochistica pelle di serpente viva”… come il rosso, abrasivo nitore dei suoi occhi languidi, tendenti all’infuocato se osi toccarlo ove è, per nascita ansiogena e inquieta(nte), toccatissimo, fra il matto, il merlo maschio, il sexy travolgente, il rifatto “penzolante”, lo sbraitato pagliaccio da guitto d’avanspettacolo, mai damerino e soprattutto sempre incattivito perché in fondo autentico.

Sì, Mickey. Come stai? Quante cuciture liftate sul tuo viso spappolato, e ancor però furente digrigni i denti fervidi, “infermi” e colpisci il Cinema stupendoci. Almeno, io m’incanto sempre, così sarà anche nell’aldilà, quando godo della tua magnifica visione in  ruoli tuoi epocali, quasi biografici, perché alcuni li hai “adattati” tu (a te) stesso, da sceneggiatore “balordo” al tatuartene proprio a viso aperto, nel tuo sempre ribellistico, bellissimo fuck the world netto, che non batte ciglio ma a cui basta alzar le tue crespe, ondulate sopracciglia per far innamorare, anche adesso, sì, che sei rotto, “inguardabile”, migliaia di donne sbrodolanti ormoni caldi come le tue guance d’angelo stronzo, con quel naso (di)strutto a piagnucolar miseria e invero, lo sai, batti ancora un po’ da gigolò cafone e forse da intellettuale incompreso. Rannicchiato a tua monumentalità, Mickey, ti domando come va? Di merda, vero? Lo so, lo intuisco da come recit(av)i da Dio eppur sciorini stronzate con la faccia tosta di uno a cui succhiartelo subito, perché piaci anche agli etero con qualche dubbio se ti ammiran così in geniali tuoi capolavori inarrivabili. Ricordalo a questi figli di puttana, vieni dall’Actor’s Studio e Cimino non era un fesso a chiamarti “pupillo”. Già, con quelle pupille, che te ne fai di passar alla Storia come attor di “palle”, allor ti butti via. E a me sta bene così. Andiamo a ubriacarci, la notte è scura ma non vogliamo il giorno degli spenti e dei dannati.

 
Firmato Stefano Falotico

 

Johnny il bello

Enigmatico, intenso, fenomenale. Anche da baraccone. Sbaraglia tutti pur essendo nato sbagliato.

Angel Heart

Angelo mio, ove ti perdemmo? Qui sei il figliol prodigo nelle mani del demonio.

Homeboy

Eppur (non) ti (s)muovi. Farabutto bastardissimo, con quegli occhi ti è permesso di cazzeggiare a bordo ring e alla (s)finita tua vita riniziata. Again.

The Wrestler

Che vi devo dire? Sean Penn ti ha rubato la statuetta.

Sin City

Frank Miller non avrebbe mai immaginato che potesse esistere un Marv più grande del suo.

Orchidea selvaggia

Dirti che sei brutto e imbolsito in questo film, è solo la pura invidia di gente cattiva.
Tu chiamali, se vuoi, detrattori. Secondo me, son peggio dei ratti. Dai, Mickey, aziona il trattore e mettili sotto.
Poi, prendi Carré Otis e fottila anche di lato.
Dai, spogliati.

9 settimane e 1/2

Ecco, il film fa schifo. Trash da zoccole. Ma diciamocela! Non ci sono DiCaprio o Johnny Depp che tengano se ti tocchi il labbro col pollicino. E le donne si bagnano a decenni di distanza.

 

 

Homeboy, recensione

di Stefano Falotico

Getta la spugna nella giostra luminescente della vita, accendi il cuore di carne sanguigna…

Homeboy Rourke

Il ring(hiante) rabbioso… l’anima brada romanticissima di un loner man ai bordi della sua riva esistenziale.

Johnny Walker, freak d’una fantasmatica città, forse “immaginaria”, accasciata nel buio mistico degl’impietriti uomini in doppio petto. Lui fischietta l’amarezza “marcia” fra labbra anestetizzate dinanzi alle vite orripilanti e senescenti dei morti, quelli che “vincono” contrabbandando la dignità in cambio di fallace e caudina morbidezza danarosa futile.

Non si svende, Johnny, che invece sogna le carezze asciuganti i lividi della sua anima lacerata, morsa da una vita asfittica che, con le sue castiganti regole crudeli, graffianti impunemente e tristemente ammansenti il cavaliere che sei dentro, soggiogandoti al “rettilineo” delle “dritte” vi(t)e “giuste”, castra l’indole dei guerrieri puri. Dei lottatori sfrenati, soprattutto inneggianti vitalità immensa nel proprio sangue viv(id)o che un tempo bramava enormi sogni che or sembrano esser sfumati dall’opalescenza mortificante della condizione umana, cattiva e lapidaria come uno squartamento ferino al tuo cuor mai domo. Il cuore di un leone che dormicchia, si allena fra ire solitarie sputanti l’aroma affranto d’un grande amore però ancora più grande della stessa vita, la vita (dis)illusa, sbriciolata, macellata da chi “agguantò” i tuoi guantoni solo per sfruttar un po’ il tuo talento e poi lasciarti marcire nel rivolo languido del tuo melanconico barcamenarti arrancante, sterilizzato per troppe ammaccature alla tua anima, afflitta da un invisibile dolore “a pelle”, sdrucita nella tua coriacea, (in)distruttibile, testarda faccia di cuoio. Eppur sudi, sputi voglia di donna e fuga impossibile. Vivila, vola via!

Ma un’altra sanguisuga è lì a fiutar l’occasione per usarti come carne da macello, ti getta fumo negli occhi, Johnny, ti vuol far credere che puoi ancora vincere e buttar al tappeto innanzitutto la tua “codardia”. No, non sei un vigliacco, ma un coraggioso, uno che non vuole morire sul ring soltanto per quattro spiccioli corrotti.

E ti sei innamorato d’una donna che sta al parco giochi, entrambi fanciulli di un’era (e)stinta.

Anime che rivendicano la libertaria voglia di selvatica lindezza.

Stai lì, maschera addolorata e (rim)piangente, posseduto però d’aneliti portentosi della schizzante bellezza tua inimmaginabile e intimissima, seduto su una panchina, “ergastolano” nel rimuginare tutti i pugni dei suoi trascorsi “cialtroni” da rissaiolo, un po’ barfly-ubriacone e forse mai davvero guascone, d’indole malinconica dondolante di qua e di là per non immischiarti fino in fondo alla vita sociale che a te schifa proprio e t’appare solo un putridissimo, orrido manicomio di false e (de)nutrenti ambizioni logoranti quanto inutili e pian piano assassinanti l’anima.

È tutto un sogno, una ballata fra due innamorati invaghiti della magia delle stelle, del plenilunio ardente in lor cuori un(i)ti in abrasione dal furioso mordente, il bacio levigante della vita tonante all’unica virtù davvero importante, la tonalità della propria innata, turb(in)ante libertà (im)mortale.

E sfumerà…

Questa è poesia, questo è un grande film incompreso!Homeboy Mickey Rourke

 

Questa è la vita – La patente con Totò

La patente Totò

di Stefano Falotico

 

Questa mia recensione si “limiterà”, inimitabilmente, a “narrare” dell’episodio La patente, diretto da Luigi Zampa e interpretato, con sublime gagliofferia raffinatissima, dall’immenso Principe della risata, l’inconfondibile e tutt’ora imbattuto Totò, con buona pace dei nostri (tra)passati e odierni emuli che, in verità, non son altro se non delle brutte copie comicarole patetiche del nostro unicissimo e appunto invincibile.

Tutti gli episodi del film son tratti da omonime brevi novelle di Pirandello. Nel nostro caso, trattasi appunto della trasposizione “sintetica” della commedia in due atti “’A patenti”.

Ebbene, un episodio corto corto ma “lungo” come insegna il racconto (im)morale del Luigi nostro caro.

Rosario Chiarchiaro, da anni, vede affibbiarsi la patente, appunto, di iettatore. La gente del paese, appena lui passa per strada, fa gli scongiuri, si tocca e, superstiziosa a morte, lo evita in ogni modo. Ciò, ha un bel peso sulla sua reputazione così quanto influisce negativamente sulla sua vita privata. Declassato, anzi, licenziato in tronco soltanto per “paura del contagio”, “marc(h)iato a vista”, quasi sorvegliato speciale per i cittadini, il povero Rosario, accusato di tale ignominia da appestato, schivato da tutti come fosse un lebbroso, confinato a causa dell’ignoranza, vede così crollare le sue finanze e non ha quasi più nemmanco i soldi per mantenere la famiglia.

Al che, stizzito, si ribella nella maniera più geniale e inaspettata. Poiché la gente bigotta lo accusa, diciamo, di “stregoneria”, ecco allora che si reca dal notaio-“giudice”, sporgendo “querela” affinché ufficialmente, ah ah, gli venga “abbottonata” proprio la benedetta-maledetta patente tanto “vituperata”, quella proprio dello iettatore. Così, con tale nomea messa in “carta da bollo”, annotata, registrata agli atti giudiziari, ah ah, potrà sbarcare il lunario, cioè campar(vi)ci.

Zampa si limite a dirigere un Totò, ripeto, al solito sconfinato per nel ridotto minutaggio, applicando semplicemente la poetica di Pirandello. Un episodio-racconto imperniato attorno appunto ai temi cari al nostro. La società, minata alla base da pregiudizi spesso infondati e discriminanti, si basa sulle apparenze, sulle maschere e sul valore che attribuiamo alle persone che le “indossano”, così come la strepitosa “maschera” di Totò, e mai scelta fu più pertinente e azzeccata per il ruolo grottesco da “infame”, si presta di straordinaria mimica a cui basta un “cenno” della fronte accigliata, l’allungamento del collo oppure la consueta smorfia beffarda e celeberrima per sintetizzare al meglio, senza troppo aggiungervi troppo di parole, non necessarie, il significato che sottende l’opera.

Insomma, basta lui a far di tutta una (r)esistenza la pirandelliana “nefandezza” della vi(s)ta nostra così assurda e incredibile. Totò, solo lui, l’incarnazione vivente e parossistica della stranezza della nostra società, l’occhio che (non) si duole, che “marionetta” si muove come un burattino allo stesso tempo burattinaio.

 
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