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David Cronenberg contro Kubrick

Ciao, come va?

Ciao, come va?

Ah ah!

Ah ah!

 

David Cronenberg è impazzito? Attacca frontalmente Kubrick e Shining, non mento, siamo nella mente del regista canadese…


Credo di essere un regista molto più intimo e personale di Kubrick. Lui non ha mai capito veramente il genere horror ed ecco perché trovo che Shining non sia un grande film. Non credo che Kubrick avesse capito fino in fondo ciò che stava facendo. Il libro era pieno di immagini suggestive ma lui non credo che le abbia sentite veramente.

Le faide fra registi m’affascinano. Qui, David lo “screanzato” assomiglia a me. Sarà che sono cronenberghiano? Sì, un naked lunch vivente come il nostro che angoscia, “stupra” i nitrati d’argento, enuclea, “denuncia”, sbotta, s’incazza, spara su Nolan e su Batman come il miglior cattivo, fottendosene del “pipistrello”.

David ti adoro. Sei come me. Non ti risparmi, giochi al provocatore “joker” e, quando gli altri pen(s)ano d’averti (inc)castrato, incasellato, studiato e “lobotomizzato”, tu te ne salti con un’altra inchiappettata. Ficcante, che non molla gli osso… buch(erellant)i, misogino ti acclari con spudoratezza, piglierai Julianne Moore fra le gambe da “ginecologo” salvo conati di vomito dello spettatore medio, abituato ai “varietà” del cazzo!
Mappi le tue “star”. Superi tutte le tappe, le tope, depisti, rassodi i culetti, le sbatacchi, li meni, clinico tu “congeli”, saluti senza un cortese congedo, non offri a nessuno la cena e pisci “fuori dal vaso” con tanto di patta aperta, pochi patti, ma “cerniera” lunga.
Tu sei un volpone.

La scorsa settimana, secondo un (pres)unto studio scientifico, la scena in cui Jack “Torrance” Nicholson sfascia la porta del bagno dell’Overlook Hotel, s’affaccia con far da lupone e grida “Here’s Johnny!”, è la più spaventosa, scariest di tutti i tempi.

Ora, a ben vedere, ha ragione David. Se “focalizziamo” di fermissino-immagine sulla “dentiera” di Jack, notiamo infatti una micro carie sul canino. Ciò a dimostrare, nonostante il monster tratto da King, che Kubrick era un perfezionista ma non un dentista.
Ed è per questo che si “accanì” appunto sul “dottore” Cruise di Eyes Wide Shut.
“Slabbrandolo” di capriccio da chi (non) perde il vizio ma, nonostante i regalini da ricco “orefice”, l’orifizio della Kidman. Una da “ciambelle” al marinaio. Ah ah.

Diciamocela. David conosce il suo uccello. Kubrick era un misantropo e un impotente.
Fra l’altro, è morto e, da postumo, non può proprio niente.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Maps to the Stars (2013)
  2. Shining (1980)
  3. Il pasto nudo (1992)

 

 

“Il commissario Lo Gatto”, recensione

Sentimi bene, paraculetto

Sentimi bene, paraculetto

L’affare si complica, la pist(ol)a si allunga… ma Lo Gatto è una “belva Si ha uno strano senso della morale e una strana morale dei sensi… dunque dei seni, delle insinuazioni, degli intrighi, dei depistaggi, degli scenari inventati, del Vaticano e del Papa con l’alibi dei lanzichenecchi, di Andreotti più gobbo della solita Italietta di mafiette, Favignana, isola di bagnini a(ni)matori con il “sangue alla testa”, un Craxi nel finale caricaturale su Thatcher di ferro ad “aspirapolvere” come canna… format televisivo d’attentato. Un’avventura tragicomica come la valigia piena di rabbia per dirla alla Natale/Lino, all’anagrafe Pasquale, sempre infelice, ruspante e verace di meridionalità “al dente”, raffinato come un Micheli sciancato fra equivoci e un piede equino, Vito Ragusa trapiantato da Trapani d’accento torinese su eco… terrone in “rose”. Il film si basa sul carisma pugnace e pugliese del duttile Lino, commediante che massaggia la sua capa con ire da noce di capocollo celeberrima. Qui, la vittima (non) morta ammazzata è Wilma Cerulli, la Russinova Isabella proprio tinta di rosso versione Milva. Sgamba di cosce su figa intravista nel bazooka dell’armatore, mentre Banfi è “incasinamento” fra scimuniti rimbambiti con violini Stradivari, un alberghetto “bruciante” fiamme peccaminose di tre donne da Mario Puzo, forse puzzolenti ma “tanto” affettuose, di “zucchero” calienti e un Ferrini nella parte di Gridelli, “Watson” d’un elementare Dino Risi efficace. Le musichette leggere e “rinfrescanti” da hit anni 80… ecco che “allietano” l’operetta, scaldano la prevedibilità ambient del Sud brullo, con carotide della Madonna per ingrediente one man show in Banfi “manesco” eppure deduttivo quanto un idiota. Dino Risi dirige e sceneggia le scenette con Enrico Vanzina di “penna”. Poteva essere un grande film, le cessioni alla grana grossa si salvano grazie alla “classe” comunque unica d’un Banfi appunto strepitoso, che sorregge la baracca rocambolesca, la puttanata fra vacconi con la sua verve mimica, si catapulta in una storiella più piccola e grande di lui, regge la pancia degli spettatori da istrione abbronzante con stronzate memorabili. Un film che, nonostante il suo “nulla”, “indriga” per dirla alla Micheli. Vado ora a sciacquarmi le (s)palle. Anzi, la pelle. Eh eh, sono banfianesco! (Stefano Falotico)    

 

“King of New York”, recensione

No Redemption

No Redemption

Vampiro e licantropo regale che implora pietas in spettrali danze funerarie

Frank White, un cognome “impressionato” a cerea maschera walkeniana, vulcanica d’ire inespresse e “incenerite”, espressivo solo se “acciglia” la fronte a inaridito temprarla nei rimpianti. A detonare, incantato e taciturno su eloquenza enigmatica, immensa dello Sguardo. Attore che “stordisce” il suo stesso immortalarsi in congenito essere.
Christopher Walken appunto, emblema vivente d’ogni “verginità” ambigua dell’anima, “angosciata” in un viso angelico ma dalle iridi diaboliche se, scalfito nell’anima, ringhia in profondità d’un Cuore tormentato, “morde” le sue bianche, “efebiche” labbra imprigionandole da maledetto dentro iridi cangevoli, sintonia tensiva dei chiaroscuri “cimiteriali” da serpente Nosferatu.
Chris è la carne pulsante, traspirante palpebre raffinate, affinata nelle “penombre” sanguinarie del profetico Diavolo in lui “represso” e poi, con repentini “singhiozzi”, esplosivo in velocità “ballerina” su gestualità irrequieta, movenza felina del corpus attoriale che ogni prestigioso cineasta può “modellare” dalla già radice sacrale d’un ardently succhiarlo a pelle. Con quegli occhi, un regista può sbizzarrirsi di zoom dentro fantastici frame che possono durare un intero film, (dis)integrarlo alle mille fratture del suo e loro improvviso mutare e viverlo d’un plasmarlo “intoccabilmente”, senza violarlo, per fiammeggiare incognite incisive dalle impalpabili intensità. Un corvo, un falco, un cacciatore, un non morto, un cherubino col lungo strascico da Principe Vlad, una dead zone spudoratamente magnetica. Chris Walken, il fascino della Notte più nera, dunque lucente come i migliori incubi.
Un volto elettrizzante, stupendo, né Uomo né Donna, forse Dio.
Forse il Cristo che avrebbe voluto Pasolini, forse quello de L’ultima tentazione… di Scorsese.  Martin Scorsese, infatti, aveva designato lui per incarnare proprio Cristo ma trascorsero dieci anni circa prima che la Temptation fosse “concretizzata”, e optò per Willem Dafoe. Harvey Keitel fu Giuda, poi cattivo tenente e ossessione-pupillo di Abel Ferrara, e non è un caso che i tre attori preferiti del nostro “Abele” siano proprio Keitel, Dafoe e appunto Walken.
Oggi, veniamo ad apprendere che Ferrara vuole girare un biopic sui generis incentrato sulla figura controversa, “peccante” di Pasolini, con Dafoe nella parte del “Messia” Pier Paolo.
Se Walken fosse stato più giovane, avrebbe scelto lui. Ne sono certo.
Chi meglio di Frank White? In questo capolavoro stupefacente, scritto da un illuminato Nicholas St. John, v’è in nuce sviscerante tutta la “filosofia cristologica”, tragica di entrambe le carriere. La summa, la vetta, l’apice spaventoso che (non) rinasce!
Un fantasma ritorna a “vivere”, è di nuovo in “libertà”. Un ex boss della droga nella ferrariana Carlito’s Way. Se De Palma fu romantico nel Pacino da point of no return, Abel non ama le retorica, quindi possibilmente lo è ancora di più.
Frank è cambiato (?), appare di schiena, si volta e si mostra ancora bellissimo. Quasi più invisibile e ringiovanito. Come il Dracula, appunto, di Francis Ford Coppola.
Non gli è bastata la dura lezione di vita ed essere finito in prigione. Vuole rimettersi a far soldi, però onestamente. Se Carlito aprì un locale per gente “dabbene”, bevendosi un sogno impossibile, Frank vuole strafare, proprio “santificarsi”. Perdonarsi, allontanarsi deagli errori d’un Passato, che non cancellerà mai e lo sa soffrendo come un cane, ma desidera “fermare” a innalzarsi, utopia cosciente, in monumento esistenziale da lui incorporato sulla beatitudine stronza. Con i proventi degli sporchi affari, ha intenzione di aprire un ospedale per i “lebbrosi”. Proprio Lucifero a cristologico divinizzare un destino bastardo, le sue origini sfortunate da figlio “cattivo” del Bronx, che vuole compiere un “miracolo” per fors’ascendere nel Paradiso di un’anima condannata dalla nascita.
Il film non ha “trama”, tutto è un pretesto di sottintesi, inganni, sottotesti dialogici memorabili, tutto è angosciante.
Tutto è silenzi. Morte in ogni vicolo cieco, in ogni sparo.
Non c’è scampo.
La vita di un “martire” è illusione. Come quella del padrone dell’Inferno.
Può inventarle tutte per smacchiarsi la reputazione e chiedere scusa al Creatore.
Ma nessuno gli crede…

(Stefano Falotico)

 

Corridoi bui

Corridoi bui

 

 

Il tassista di night

Bang bang, succhiate!

Bang bang, succhiate!

Eclissi con occhiali da Sole, fosforescenti al blu in macchina senza Ray-Ban

Vivo la vita all’insegna, anche al neon, d’un turbinante jeans sfrenato, lacero in sgommate sfrenate e pimpanti, sgommo di Luna tiepida e incastro la mente nell’arco a 360 del volante, svoltando d’imprevedibilità disarmante. A molti sto antipatico, fa parte della mia carrozzeria la gelosia che sortisce maggior carburare forza. Più tormentano e più li scaravento, arroventandomi in clandestinità voraci della mia machine sensuale, su iridi sfamate di nuovi e più turgidi asfalti. Sfido le nebbie dei vostri peccati, amputo i dolori di questa generazione balorda, schizzo d’angosce lieve nell’incrociar malandrino cosce svenevoli, entro cui vengo con stile “violento” e faccia smargiassa d’avvenenza come il culo. “Tagliato con l’accetta”, strappo il vestito della (con)senziente e gravitiamo planetari nell’amabile onta ondulatoria delle accelerate intermezzate fra un orgasmo imbarazzante e altro spingere di più foga.

Lei piange di piacere, io spengo la sigaretta focosa nel suo “braciere”, poi smaltisco la cenere dello sperma in rilassato posacenere scacciapensieri. Lei, non ancor’appagata, nonostante il mio indubbio “lucidarla”, chiede allora un amplesso al diesel, grida al settimo cielo, aspira la mia pompa e l’innaffio di benzina. Si sa, se getti acqua la spegni, se “cali” la miccia, esplode.

Quindi, accendo la luce e la lascio masturbarsi, credo fosse una ninfomane. Di mio, ora m’aspetta un caffè laconico al motel dal nome “Fuck You”, famosa locanda ove troverò la mia vera amata. Cioè la multa per eccesso di velocità. Già, sterzai “tortuoso” nelle sue curve pericolose, mi segnalò alla stradale ma mi scopai la colonnella di buona gonna e “distintivo”.

Scusate, ho esagerato. Se v’è parsa una stronzata, no, non lo è. Sono state conclamate scopate. Di quelle che un giorno vi ricorderete. Vi conosco, brutti stronzi.

Nell’ambiente mi chiamano Prince, vesto giubbotto da meccanico con aquila a forma di tatuaggio ficcata nei tuoi occhi.

 
Firmato il Genius, Stefano Falotico

 

 

“Voglia di ricominciare”, recensione

Voglia di spaccarti la faccia

Voglia di spaccarti la faccia

Voglia saltami addosso, proverbiale f(r)ase esistenziale di transizioni, risse “funamboliche “con tuo padre, tagli cicatriziali, catartiche (re)visioni della tua boy’s life

Da quando scrivo coll’elegante carattere Garamond, son meno collerico, la tastiera ha assunto un’espressione radiosa e la mia opalescenza, con tendenze all’avvilimento, schizza parole serafiche eppure rasoianti, come pervaso da un senso di pace onirica, che “scolora” imbrunito in saccenti superbie e poi si rinnova placida a cheti fresche nei ritmi di un film che “tramontò”, scordato dal mio Tempo dissipato, qui rivisto a occhi meno gelidi, d’atipia mentale in giocoso umore che ballonzol’ancora intristito spesso, deluso ma, anche cogitabondo in tanti pensieri tetri, si cristallizza euforico a danza dell’anima.

Perché lo sottovalutai alla sua uscita? Forse per prese di posizioni annesse a dizionari che lo liquidarono. Ho imparato che la vita, come i film, sono un’esperienza soggettiva.
Oggi sei un DiCaprio capriccioso a ciuffo “brillantina”, ieri fosti un foschissimo De Niro manesco, quasi LaMotta autodistruttivo nel mai arrestato ardore di farti male e farlo, schivando, picchiando i sentimenti più cari per oscurarti i sibili veri del sangue vivifico.

Un film nostalgico, immerso in atmosfere sonnolente, lento e poi “arrabbiato” nelle lotte discriminanti fra un patrigno violento e l’adolescenza turbolenta, acerba, “dispettosa” d’un adottivo figlio, quasi stronzetto, forse incompreso.

L’amore materno, carne d’una Ellen Barkin trasgressiva, volgare, poi levità di gesti affettuosi da regalarle un sogno lungo una vita, sassofoni “stonati”, strimpellate fra la natura montagnosa, i ricordi che montano nervosi, l’appetito vien mangiando e Leo, il lupo, che De Niro conosce… (nonperde il vizio ma guadagna la borsa di studio.

Film sottostimato, un De Niro attaccato per troppi ghigni “storti” di bocca malferma, invece ottimo, “travolgente” di cattivo-buono oscillante fra un sorriso sincero e la solita buffoneria da (stra)pazzo. Una Barkin, dicevo, commovente ma un’opera autentica, “rustica”, quasi fuori da ogni cronologia, dominata dal carisma giovanissimo, sempre già verde del grande DiCaprio.

Da odiare per la bravura quanto De Niro, entrambi da venire “alle mani”.

Il finale contagia, strozza di libertà, vive in cascate del Cuore.

 
(Stefano Falotico)

 

La famiglia!

La famiglia!

 

“Zodiac”, recensione

 

Luci e ombre

Luci e ombre

Cos’è l’angoscia? L’angoscia è la paura inconscia che l’uomo nero possa intralciare la tua serenità, ferendo mortalmente crudo e strategico, poi sparendo, eclissando(ci)

David Fincher ama le “ambientazioni” claustrofobiche, assurge a paladino dei soffocamenti al “nylon” dell’inquadratura, plana panic room dentro le anime dei suoi personaggi, deflora l’Eros in Thanatos marcescente, forgia di lucentezza i suoi eroi solitari nel diaframma polmonare di un’apnea respirativa da raggelar il sangue.
Dai corridoi neri di Alien³ ai combattimenti clandestini di Fight Club, dagli hide and seek d’un fin troppo studiato The Game, gioco psicologico appunto dalla mirabile, impeccabile, “pruriginosa” confezione però finalizzata solo a un’insopportabile “finezza” concentrica, fintamente ludica e piena zeppa, quindi zoppa, nei troppi buchi esangui d’un Cinema acerbo, dal “torturante” Seven, apice di sobrietà puramente thriller nella suspense diabolica in progress acuirsi, acutizzarti…, come un Purgatorio infernale senza catarsi idilliaca ma discesa sol che più profonda e lapidaria, quasi alla Friedkin “saturo” di contemporaneità alla fin fine poco “malvagia”, meno perturbante nel suo programmatico (non) essere prevedibile, dalla meticolosità entomologica dei social network pretestuosi ma calibrati per l’Oscar della “consacrazione”, è in questo capolavoro che aggiusta il tiro in “maniera”, e non manierismo, secchissimo, (s)tremante, da inalarci sospiri di “sollievo” stuprati dall’amputazione della requie. Un mozzafiato, perenne, insistito, “esagerato” inseguimento strozzato, sterilizzato in mis(t)ura perfetta.
Il film è già la locandina originale che mette i brividi, nebbiosa, languidamente tatuata nel marchio d’un serial killer “trasparente” ma impercettibile “a occhio nudo”. Amara, a martoriarci.
Lo capti, aguzzi le iridi ma t’acceca in silente abbacinarti di sangue “teso”, raschiato nella tua anima per sempre. Non si cancella il Male, è l’apoteosi estremizzata delle teorie di Nietzsche, la forza segregata, nelle cripte dell’omertà, che si ridesta come un lupo cattivo e strangola, da mostro “antropomorfo”, dai labili contorni “identikit”, le “fragole” dei boschi “mansueti”. Ove le coppie appartate si sbaciucchiano, forse illuse o dimentiche che il Mondo non è regnato, in to(s)to d’angeli amorevoli.

No, purtroppo, ci sono i mostri. Solo la gente in gamba n’è consapevole. E per questo ha paura… ha paura che il vicino di casa, che ti offre lo “zucchero”, possa stuprare tuo figlio minorenne quando gli chiederai d’accudirlo perché sei impegnato col tuo lavoro. Il mostro lo terrà a “bada”, uccidendolo nel mystic river d’una ferita traumatica inguaribile da “incubatrice”, allucinante proprio incubo “fragile” che s’affievolirà dietro taumaturgiche “pozioni” di felicità a sortire solo l’effetto de­leterio dell’urlo da mutato tuo licantropo, morso che detonerà dinanzi a una Luna troppo “lucida” per luccicare nel Cuore divorato dal cannibale. Forse, è morto, il dolore hai sigillato, l’hai celato nelle fratture ricucite d’una paciosa maschera ma “addenta” d’altra lagrima opaca a vitr(e)o tuo umano che fu inghiottito prima di “nascerlo”.
Ti “partorì” nel suo graffio, trasmise il seme del Diavolo, baciandoti “carezzevolmente” sulle rubine guance.

Così è Zodiac. In questo vertice paradigmatico che trasgredisce la “logica” della “soluzione… di continuità”, poggia la sua grandezza.
Il “solito” maniaco, mica tanto. Uno dei più famosi della criminologia.
A tutt’oggi, la sua identità è stata sì dedotta dagli “esperti”, ma non è cert(ezz)a.
Fincher passa quasi tre ore a raccontarci la cattura (im)possibile, svia fin dall’inizio.
C’aspettiamo il già visto. Il mostro infatti, come da copione, colpisce senza volto, coperto nella penombra d’una fotografia da cardiopalma nightmare.
Trascorre un po’ di Tempo, anche la clessidra del minutaggio della pellicola, e… tic tac, bussa alla luce del (tras)colorito Sole, in un picnic dolce e scacciapensieri, di nuovo l’uomo nero, in senso figurato e proprio d’abito per come (non) ci appare.
Partono le indagini. Interminabili, da sfiancarci, Fincher si “disinteressa” del cattivo improvvisamente, centra la mira sulle dinamiche fra i personaggi. Chi molla, chi va a vivere lontano perché stanco, non solo dell’orrore del caso, distrutto dai suoi casini, chi ambizioso e giovane persevera “ingenuo” con scaltrezza da regalargli il premio come coglione dell’anno.
Perché, anche dovesse beccarlo, è già diventato William Petersen di Manhunter. Troppo bravo. Che stupido. Che cosa si aspetta?
Il mostro l’ha contaminato, è quasi appunto un Cruising.
Il resto angoscia, non visualizziamo nessun altro omicidio o arresto. O forse sì, chi lo sa? Potrebbe essere quel tizio tozzo nel magazzino, potrebbe anche non essere lui. Ed è qui che il Mondo fa paura.
Potrebbe essere chiunque…

 

(Stefano Falotico)

 

 

“Batman Begins”, recensione

Io vi fotto e vi tolgo la maschera!

Io vi fotto e vi tolgo la maschera!

Occhi neri, imbrunenti… nello squagliarsi verecondi in meraviglia infiammata

Chi è Batman? Ognuno ne “apportò” la sua versione cinematografica. Burton, col suo carico d’ambiguità plasmata nella cenere mascherante d’un Michael Keaton fuori ruolo eppur aderente in simbiosi carismatica d’uno spiritello gaglioffo, ironico con picchi feroci melodrammatici al viso “scagliato”, irridente su beffard’agonia cangiante di labbra sfumate, contro la vetusta Gotham City, città di pur’invenzione peccaminosa impressa nel magma creativo da cineasta notturno affiliato alle ombre laconiche dentro i pianti dei “diversi”, Joel Schumacher, che trovò in tale creatura fantastica la valvola di sfogo dell’ennesima variazione collegata al reazionario inguaribile del suo fascismo cronico, pittando innanzitutto Val Kilmer nel peggior “pipistrello” (mai) visto e poi Clooney nell’odioso belloccio che disprezzai prima che s’evolvesse e volasse appunto più alto in regie “imp(r)egnate”, prima che la sua carriera impennasse sull’acuito, insospettato raffinare le sue guanciotte da bello “amabile”. Dannato non è, si dona da dietro la macchina da presa nei “colpetti” d’annata.
Poi, fu la volta dell’ipercelebrato Nolan, che trasformò il camaleonte Bale in psycho irresistibile, travolgendo stroboscopicamente di nerezza le strade ferine su Gordon/Oldman “caliente” in “triste” disillusione marlowiana, e partorì dal cilindro il Ledger “postumo” nella defunta gloria dell’interpretazione storica. Parossistica di “linguetta” serpentesca, diabolico matterello borderline a metà fra dargli un bacio in fronte o spaccargli il grugno assieme al trucco (s)col(l)ante d’uno sbavato odio misto all’adorarlo ché, in trono, cazzeggi di “terrorismo” a man bassa e armata. Dio, da scopare tutta la vita una “merda” di questo faccino, fascinoso al sangue e cicatrici coperte di “bianco”.
Villain cattivissimo, stronzo per eccellenza, vale da sé il prezzo del biglietto e di questo 2 Novembre da carro dei morti. Ove le vecchiette si recano al cimitero dei loro persi amati, fra un ospizio della “felice” libera uscita in “licenza” di “festeggiare” con accompagnatore infermieristico, madri “decedute” dopo la scomparsa del figlio o di quel porco del marito, a cui chiesero il divorzio, previo tradimenti (non) perdonati ma reiterati del suo malandrino “tirarselo” boccaccesco tra un lavoro per campare e una campagnola sui viali ad an(nu)ale, poco “anulare” ma vicino alle complanari, al di fuori del lecito, “rango” sociale… ah ah. C’è poco da (com)piangere. Oggi muori tu, domani è vita mea.
Anche se, per resistere, hai bisogno d’una scorta infinita di Tachipirina e aspirine in cas(c)o d’emicrania. Una vita “analgesica”, dove devi calcolare l’algebra “radicale” delle re(l)azioni interpersonali, delle ragazze che vogliono di “tutta punta” leccarti l’uccellone ma a cui devi offrire dei ceffoni e molte pedate nel popò, un direttore masturbatore sulle chiappe della segretaria “tuttofare” nei pressi del “termosifone” e stampante “tastante-ergonomica”, forse “reclinabile” di ultime cartucce pastrocchianti nello “scarabocchiarla” dietro lauta, lardosa tredicesima e pochi “centimetri” dell’inculata pur a doppio taglio “benefico” in figa (cor)rotta, delle regole da tutti trasgredite nell’intimità domestica ma poi su(p)ine, come dico io, dinanzi alla falsa morale dell’ipocrisia buonista. Non addomesticatevi! Si sa, deovete sostenervi e mantenere la temperatura “ambiente” per non crollare nella demenza. Andate a cagare!

Ma di Batman mai nessuno ha dato una versione falotica, aggettivo femminile in mio maschio invincibile di stravaganza, fantasticheria, stramba e fottuta spudoratezza.
Il vero Batman abita nella cittadina con le due Torri, una pendente e “tremante” quasi “macerante” quando cadrà sullo sfigato di turno, quindi di urna (e qui torniamo alla Certosa), l’altra svettante come le cosce di “finezza” inguainate della professoressa ai “cazzi suoi”. Quella sa come bacchettare i suoi studenti, facendoli sudare nei compiti onanistici da “virtuosi”.

Batman è uno psicopatico, è conclamato, attestato da molte “diagnosi” arrestanti, acclaratissime con tanto di trattamenti sanitari obbligatori, annesse le psichiatre che ne han goduto la “saliva”… fra una conversazione curativa e un culo a mandarle “a monta” da melanconico senza “fronte”.

Batman vive infatti, dalla nascita, in uno status tutto suo, senza statuti istituzionali, perché non scende a patti con nessuno. Solo con Catwoman fa calare la patta e, quatto quatto, le fa la gatta… ah ah. Ad Anne Hathaway, preferisce di gran “lungo” il culo di Michelle Pfeiffer. Sì, con Michelle è più “ferreo”, meno “infermo” nonostante lo scalmani.
Lei si scalda, raggiunge l’orgasmo in vestitino da “Crazy Horse” su grattar la doppia “corazza” di Wayne perché “viene” solo dietro stimolazione sadomaso.
Batman è uno stronzo, il Joker mangia in un sol boccone e poi gli versa dei bicchieri d’acqua rovente se ancora il clown vuole vessarlo con intimidazioni e minacce.
La mina vagante è Batman, deve ricordarselo, non ci sono altri uccelli che possano tenere, da cui la nomea ineludibile “L’Uomo pipistrello”, appunt(it)o. Colui che ti piglia le palline e le fa roteare come il tuo pagliaccio.

Ora, qui stiamo parlando de Il cavaliere oscuro. Avrei dovuto parlare della “genesi?”.
Basta con la cronologia. Io sono diegetica a modo mio, fuori tema, in nessun posto, forse nel tuo…

(Stefano Falotico)

 

Stefano Falotico

(Stefano Falotico)

 

“L’esorcista”, recensione

Attento Max!

Attento Max!

Suoni gracchianti d’intrepida nebbia ad anima nera e blasfema

Friedkin, un nome ch’aleggia sinuoso in mio stordirmi nervoso, fremito scrosciante di ruvid’astrazioni da sonnambulo. Quando, fra i cuscini “stracciati” della mia dormienza apparente, mi ridesto su palpebre dal crepitio famelico, ossessionato a inseguire le ombre “malevole” delle notti “smargiasse”. Mi profumo d’incubi e schivo ancora la goliardia di questa città da me ripudiata, ché gorgheggia soltanto in goliardie vanesie, “innalzate” a calici volgari d’una irreligiosità dell’anima. Sono ateo e non m’aspetto nulla dalla vita, in quanto nichilista alato, evoluzione che ha sorvolato le inezie prodighe alla carnalità più bieca e truffaldina dell’esistenza vera. Odio i vostri “gusti” golosi, la mia leggiadria isso gloriosa e nessuno può smorzare l’onnipotenza febbrile di tal (im)permeabile scivolarmi nei lucidi “alberi” d’un aggrovigliato Cuore superbo, spaccatutto in disossarsi angoscioso, “lurido” in venerato avorio del mio Tempo ignoto e lustrato.
Luciferino, scheggio le nuvole dei plumbei tramonti, m’accascio a (di)letto e imbevo i miei sogni di nostalgia vivifica. Urtico le mie iridi ottenebrate in guaito a vegliare su di voi, i morti viventi sempre “svegli” quando invece mi parete fredde “pareti” già insanguinate dentro cimiteri ovattati da un becchino che succhia il seno flaccido d’una grassa, laida puttana “indiavolata”.
Ieri, avete festeggiato e ricordato l’anniversario della morte di Fellini. A costui sputo in faccia, ché morisse seppellito di più e coperto di fango. Il suo “cinema” era, semmai lo fu in quanto per me non lo è mai stato (e non voglio ridestarmi a rivalutarlo), provinciale, adattato all’allattamento delle sue (s)manie sessuali inappagate, circoscritto al prepuzio sudato, sudicio della sua ombelicale misoginia camuffata d’amore per le donn(acc)e.
Fellini è identico a questa zona “erogena” in cui son nato, e Dio mi salvi da tale sfortunata ubicazione originata nel Sant’Orsola, ospedale del reparto maternità ove venivan partoriti appunto i figli delle madri abitanti in odiata, schifosa Bologna. “Capoluogo” di merde che sbevacchiano sotto portici “morbosi”, remoti dalla mia decadenza sprofondante gioiosamente, sì, questa è vita, la maledizione perpetua.
A rinnovarsi ogni dì, per ardere e darvele!
Fellini e le sue “dolci” vite ad allen(t)are la sua noia, come dico io, il sen(s)o dei suoi complessi di Edipo (ir)risolti e irrisori. Lo derido apertamente e, anche ora ch’è defunto, in questo “Ognissanti”, lo sbeffeggio analmente.
Fellini e la sua Fontana di Trevi con Mastroianni patetico che chiede “venia” alla troiona Ekberg, che gli sussurra un “canzonatorio”, incitante… “come”… come here Marcello.
Che suona proprio come, fra cascate e frizzanti bollicine, tira fuori l’uccello…
Che schifo! Si vergogni, “ma(e)stro” del cazzo.
Poi, qui nella Romagna “emiliana”, quando d’accento strascicato pronunciano Fellini, sembra che “dicano” (espressione di cui abusano) Filini, sì, come il ragionierino Filini della saga fantozziana.

Fellini vs Friedkin. Udite e palpatene d’orecchie, per intendere, la differenza.
Captate “Fellini” e ficcatelo dinanzi al mille volte più melodico “Friedkin”.
Tutta un’altra storia. A me va a genio William. Si fotta Federico.
Fellini non ha inventato nulla, ha cazzeggiato di già letto e visto in “vitelloneggiare” sempre a rammemorarci la sua inutile “gioventù” vecchissima. Un panzone che “bomboloneneggiava” di ricordi che “scorno”. E lo sbatto… sottoterra con pinze e senza “pinzimoni”. Vaffanculo, flatulente essere immondo!

Friedkin t’incula!

Da ritrovamenti archeologici, anche delle leggende popolari, ecco il demone Pazuzu che viene “scoperchiato” come il vaso di Pandora.
Un’attrice,  Chris MacNeil (Ellen Burstyn) si trova là ove il Diavolo è stato “disturbato”… per le riprese di un film. Ha portato anche la figlia minorenne.
Ritorna(no) nella loro bella villa in quel di Georgetown. Da allora, succedono eventi orribili. La figlia mostra segni di “pazzia”, appare cambiata improvvisamente senza raziocinio psichiatrico che possa reggere. Quindi, non prende sonno, si dimena oscenamente e un pervasivo, strano sentore “cattivo” stritola la madre in un dubbio che, pian piano terrorizzandola, assumerà “certezza” assoluta.
La figlia pare essere posseduta. La madre è scettica, è una donna colta e non crede a queste “robe”. Ma sarà costretta a convincersene dinanzi al vero insostenibile.
Al che, come ultima “spiaggia”, chiama un esorcista. L’esorcista l’escogita tutte ma non ne cava un “ragno”, anzi il buco della figa la figlia trafigge col crocefisso, bestemmiando con voce virile contro Cristo!
Il decano Padre Lankaster Merrin, qui incarnato nel volto mortifero, da Settimo sigillo, del grande Max von Sydow, è impotente di fronte a questo.
La figlia è sempre più mostruosa, nonostante tutto.

Nel frattempo delle urla, un altro esorcista, giovane e con alle spalle un caso simile di possessione, è entrato nel gioco… del demonio.
Ma entrambi, Cristo Santo, non riescono a debellare il Male. Fin a quando il Diavolo prende davvero il sopravvento e ammazza d’infarto il “vecchio”.
Sconvolto, ucciso dalla paura, il giovane esorcista si scaglia contro la ragazza e implora Satana affinché entri nel suo corpo. Satana, gran figlio di puttana, lo soddisfa seduta (spiritica) stante. Appena l’esorcista s’accorge che la sua anima è stata violata, per non ferire la ragazza, si suicida, gettandosi dalla finestra.
Passano le stagioni… la madre e la figlia, Regan, vanno a vivere a Los Angeles, patria dei “sogni” e di Hollywood… per provare a scagionare l’incubo.
Ma qualcosa, nei loro occhi, è impresso di orrido “amarcord”.

Ecco, poi ditemi se Friedkin non ne sa una più del Diavolo rispetto a quel borghesuccio del Fellini.

(Stefano Falotico)

L'esorcistaL'esorcista 2

 

 

 

“Il mistero di Sleepy Hollow”, recensione

Night is Burton!

Night is Burton!

 

Ogni mister(y) è un Illuminato e va svelato, attento al cavaliere senza testa che svelto (de)capita

Poesia di mio zuccone:

la zucca non è una fata Turchina,
è una strega maledetta d’arpionare in quant’arpia,
ella saccheggia di (c)alza a pennello e di carbone va annerita,
sfilandole i calzoni e mostrandoglielo “mostruoso”,
infil(z)ante di “caramello” e,
nel bruciarla…,
rintuzzar quel che,
rizzante,
la sua prosapia da zietta zittisce,
poi,
(de)fluendola in spada fosforescente,
arrugginendo ruggente
di acquaragia nel gracchio non radioso,
lo estrae ancor ardendosi
ché,
la vecchiaccia non attizza
il tuo strizzato giovincello tizzone volenteroso

Stizzendoti,
intirizzita non ti svezzò,
strisciò ma non la sradicasti
dal suo marcio guscio
e,
pentendoti di generoso dat(tter)o penetrante
ma non permeandola,
ti smarrisci per altre  impervie selve oscure,
come blair witch project,
spaventato dall’orrida asprezza
della sua avvelenante mela
a tua quercia disboscata da tal olezzo,
imboccando la via mesta fra un dartela a gambe
per salvarti la pellaccia
fra erbe,
forse droganti,
meglio comunque dell’acida senza canestro,
meglio,
sì,
la fragola campestre,
forse sarà un fungo ancor più deludente
ma questa puzza
e
ti ammoscia il pelo
per impianto tricologico
ai limiti del vomito

Tale componimento falotico è da tutti i bambini recitato a memoria al grido ululante di questa Notte di Halloween nell’ormai famosissimo motto dell’“Ammazza… quanto sei brutta… la vecchia col flit”.
Non flirtare con una scassapalle oramai andata a “puttanona” ché ti taglierà solo i maroni, perché fa bollire le caldarroste, dunque (o)mette le castagne al fuoco… spento e neppur ti g(l)a(s)sa come del morbido, fondente marron glacé.
Dinanzi a questo “dessert” al “tuo” desertico e assiderato, salvati col Cinema di Tim Burton,oasi favolistica anche se sempre “onanistico” dentro storie “rustiche” di freak,
comunque un bel (mi)raggio, seppure al lunar crepuscolo,
in confronto, e in fronte, ai “terroristi”.
Sì, il Cinema di Kathryn Bigelow era vampiristico nei suoi strange days migliori, poi si prese troppo sul serio, vinse bei Oscar grazie al suo “sedere”, eh già…
a sessanta an(n)i è ancora un bel vedere, ma preferivo Point Break alle “adrenaline” di Hurt Locker e compagn(i)a bella.
Beato lo sceneggiatore.

Altro che Zero Dark Thirty, qui abbiamo un Christopher Walken che decolla di fulcro narrativo “centrante” in miracolo del cameo inventato da un Burton davver geniale.
Il fascino di Chris sta nei suoi occhi “alla diaccio”, invece Tim gli arde il viso e lo rende visibile solo atterrente verso la fine di volto incandescente a impaurirci nel (sob)balzare davanti al “brutto” che (ci) piace.

Puro horror (s)mascherato da giallo in costume, in epoca senza Tempo, in leggend’arcana su canini sanguigni del Chris indiavolato, del Depp nostro più amato, una cera bianca e cerulea come la Luna, della Christina più Ricci(oluta) e ambigua, dei paesaggi evocativi in bitorzolute foreste animate, in spaventapasseri ed efebico Ichabod Crane, scienziato un po’ vagabondo, senza macchia dirimpetto al nero… cavaliere errante che a tutti recide il cranio per poi darsela in buio col cavallo…
Non è un racconto di Italo Calvino ma un colpo di “malocchio”, appunto, che fa il culo allo stregone, perché Depp è come me, se ne fotte delle superstizioni, se la fa un po’ sotto però poi ti spezza le ossa. Insomma, ti mostra per il mostro che volevi nascondere.

Questa recensione è galattica, ora andate a festeggiare.

Io, lo zio Fester, ve lo ordino.

Ah, comunque odio Halloween. Non è una nostra festa.
Che sono queste cere “cristiane” pagane?. Meglio, a questo punto, Cher. Oh, sapete la verità? L’ho vista l’altra sera in un programma statunitense.
Cazzo, quelle cosce non sono malvage. Eh no, anche se all’anagrafe è (ri)fatta. In breve “lasso”, il mio cazzo raggiunse un grande share.
Un Depp glielo darei. Tu no?
E allora per te il trucco, mio “tocco”, da Frankenstein.

Ricorda: lascia stare Dracula e anche Wolfman.

Insomma, sono un genio che mette i brividi? Copriti, fuori fa freddo, mi raccomando… “tienilo” al caldo e offrile dei “cantucci”. Quando la pelle “vien” accapponante, lo “zampone” è San Silvestro o nella gatta zuccherante di 31 Ottobre prima di “Ognissanti” e dei defunti…? Nel dubbio, fottitela, affonda. Ficca anche nella cripta, sii lindo nella sigillata.

Oh, mio Dio, sono un Signore gelante.
Ah ah. Molla la crema, è mia.

Come dico io, sembro una zucca vuota, invece ce n’è… di “sale”. E, salivando, anche in ascensore un po’ ubriaca fa più gonna di mio “strudel”.

Lo sleepy hollow sono qui a voi, mie damigelle. Vivo nella penombra, faccio quasi pena, il pene un po’ addormento adorabilmente adombrante, eppur (non) è né lombrosiano né dormiente.
Svegliandosi, va vagliando… e, maculante, non è proprio immacolato.

(Stefano Falotico)

Sleepy Hollow 2 Sleepy Hollow 3 Sleepy Hollow 4 Sleepy Hollow 5 Sleepy Hollow 6 Sleepy Hollow 7 Sleepy Hollow 8 Sleepy Hollow 9

 

“The Departed”, recensione

Ti credi migliore di me, stronzetto?

Ti credi migliore di me, stronzetto?

 

Bene o male? Un casinò

Salve, il mio nome è Henry Hill, non Enrico. Sebbene sia di origini italiane.
Di cognome faccio però Liotta. Suona bene Ray, come primo pseudonimo? Fa tipo Rat Pack, topo e batti le tappe, stappa i tappi e riempi i buchi dei ficcananaso, quali noi siamo, i bravi ragazzi.

Ne avrei da raccontarvene, ma partirei dal basso ove vivo adesso, cioè lo scantinato.
Qui, le bottiglie di vino invecchiano come gli anni migliori, devo solo preoccuparmi dell’allagamento quando piove. Sia mai che spunti qualche spia, detta da me la Piovra.
Non sono un padrinoCoppola romanzò Puzo ma noi, come già avrete annusato, non ambiamo a quella puzza… Non siamo capostipiti di nulla, un po’ clandestini. Ecco, questo sì.
Viviamo quando la Luna scopa le stelle e scivola adrenalinica dentro nostre carrozzerie su impellicciate donne che trattiamo coi “guanti”. Mia moglie, ad esempio, era bella. Ora, è sempre stata una poco di buono ma, da bona, adesso va rabbonita di sberle. Vuole che io mi penti, le implori scusa in ginocchio. Cazzo, era una Lorraine rubacuori e confesserò, per l’amore “tradito” che ci lega, una (in)fedele versione dei fatti.

Da che mi ricordi,
la mia vita era già condannata al patibolo. Sempre a prenderlo, a riceverle. Mi avete visto? Ho occhi fascinosi su carisma tenebroso, d’altezza sopra la media e una risatina beffarda da far tenerezza e quindi farsele tutte. Si sa, coniugo male i verbi ma nello “scioglilingua” poetizzo ogni sen(s)o vitale con “tagliente” romanticismo magnetico. Già, l’attrazione risiede nel sedere, secondo il gentil sesso? Di mio, ho un portamento sensuale, assomiglio a Richard Gere con uno gigolò mafioso nel DNA che scovan da lontano…
Nel cruscotto, c’è sempre la calibro rubata al poliziotto, nel baule qualche cadavere. Me la caverò da tutti gli impacci, ma nessuno può salvarmi dalle donne. Neanche Jack Nicholson.

Doveva andare così, nella merda e nelle polpette di sangue della madre di Pesci. Ma mi piace sguazzarci, era ciò che (non) volevo.

Guardatevi. Siete felici? No, guidate con la station wagon sempre all’erta di non sbandare appena il culo del cartellone pubblicitario, sopra il guardrail, in lingerie intima v’ammicca di stare all’erta se incrocerai il “sinistro” di una guardia forestale col fuoristrada e licenza di “Stop”. Ah, quello ha il fucile, sa come romperti le traveggole, poi ti multa per “rallentamento in prossimità della curva pericolosa”, perché hai rispettato troppo il “rosso” del darle precedenza con airbag dei tuoi coglioni esplosi in manovra azzardata di zigzag fra i pantaloni e cambio di “frizione” in folle… Ricorda: anche la figa più oliante, adora il traffico senza pause imbarazzanti. Altrimenti, inchiodi e si (s)gonfia, caro pallone di cazzo fritto.
Insomma, rispetta il cuscino salvavita e modera la barriera di contenimento.
Rispetta quelli che stanno dietro, non pensare col senno di poi a quel posteriore.
Era solo virtuale, la botta in testa invece è da traumatologico.
Frattura multipla su craniata non preterintenzionale in dritto tua su “dirittura” del frontale.

Ora, Henry Hill è il protagonista di Goodfellas e questa recensione dovrebbe riguardare The Departed.
Qui, Scorsese non ha centrato il “remake” e la polizia ha ammazzato tutti.
Vera Farmiga sa…

Non ho altro da dire.
Se non vi basta, arrestatemi. Credo sia sufficiente questa testimonianza.
Ah, chiedo al giudice solo un favore.
Leo DiCaprio mi sta simpatico, è molto bravo, se però Martin girasse The Irishman con De Niro, Joe e Pacino, rivalutereste in peggio questo The Departed.
Fa ribrezzo rispetto al resto. Stranamento gli avete dato tanti Oscar e pollici su. Ah, dimenticate le ebbrezze dei bei tempi.
Ok, vaffanculo. Per perdonarvi dai vostri errori da avvocati alla Cape Fear, basta questo premio alla penale colpa?
Era prima da glorificare Martin. Dai, dai.

Arrivederci.

(Stefano Falotico)

 
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