RED DRAGON, recensione

Red Dragon Fiennes

Red Dragon di Brett Ratner (The Family Man).

Ebbene, dopo le nostre disamine dei precedenti racconti di Cinema riguardanti Il silenzio degli innocenti per la regia di Jonathan Demme e di Hannibal firmato da Ridley Scott, torniamo nuovamente a parlarvi dello psichiatra forense più famoso della settima Arte, ovvero il famigerato, tristemente leggendario Hannibal Lecter, cannibale killer dai denti affilati e dalla mente genialmente sopraffina. Un uomo che, grazie al suo fiuto da tartufo, sviscera il lato umanamente più oscuro, dunque inquietantemente disumano, dal cuore sia delle sue vittime sacrificali che dei pericolosi assassini seriali da lui smascherati e forse non solo, a livello metaforico, scarnificati attraverso la fame appetitosa della sua insaziabile malvagità mostruosa col suo infallibile intuito micidiale e freddissimo. Un uomo che si ciba, in maniera sanguinaria, degli altri ma al contempo, in virtù dei suoi psicanalitici, insuperabili ragionamenti altissimi, è l’unico che, malgrado la sua irrefrenabile follia e la sua tremenda psicopatia, addiviene a decisive e importantissime verità invisibili ai comuni mortali poco dotati intellettivamente e sprovvisti, essendo persone normalissime, del suo agghiacciante eppur super affascinante, innato dono dannato.

Hannibal Lecter, ovviamente, personificato da sir Anthony Hopkins. Maestro attoriale del trasformismo più camaleontico, specializzato nel più sofisticato fregolismo istrionico, maschera magnetica adatta, in modo impressionantemente versatile, a interpretare i ruoli più disparati. Accorpandoli al suo carisma e possedendoli con la sua forza recitativa senza pari.

Sceneggiato dallo stesso writer premio Oscar del poc’anzi citatovi e sopra menzionatovi Il silenzio degli innocenti, cioè Ted Dally, Red Dragon fu tratto e trasposto per il grande schermo, partendo dall’omonimo romanzo di Thomas Harris, da noi intitolato Il delitto della terza luna.

Già alla base del capostipite, potremmo dire antesignano film appartenente a questo particolare, involontario franchise incentrato su Hannibal Lecter, ovvero Manhunter – Frammenti di un omicidio di Michael Mann.

Anzi, per l’esattezza, Red Dragon è il prequel de Il silenzio degli innocenti e il reboot, più che remake, di Manhunter stesso. Ancora una volta fortemente voluto e prodotto da Dino De Laurentiis. Il quale detenne i diritti delle opere di Harris. Per ragioni logistiche cambiarono però gli attori principali e i coprotagonisti ma, naturalmente, Hannibal Lecter fu, come detto, ancora una volta impersonato da Anthony Hopkins. In effetti, avreste visto un altro al suo posto? Hopkins, nei panni di Lecter, fu e rimarrà invincibilmente, eternamente insostituibile.

Al posto di William Petersen, Edward Norton. Al posto di Tom Noonan, Ralph Fiennes. Infine, al posto di Joan Allen, Emily Watson.

La trama di Red Dragon, riservando molto più spazio ad Hannibal Lecter, è comunque pressoché la stessa di Manhunter;

Will Graham (Norton) chiede consulenza ad Hannibal Lecter (Hopkins) dopo che lui stesso lo catturò. Lecter è infatti, a conti fatti, l’unico in grado veramente di poter aiutare Graham ad acciuffare Francys Dolarhyde (Ralph Fiennes).

Il cast è delle grandi occasioni e, oltre ai già nominati Hopkins, Norton e Watson, abbiamo il compianto, grande Philip Seymour Hoffman, Mary-Louise Parker ed Harvey Keitel.

La fotografia è, neanche a farlo apposta, di un cinematographer italiano amatissimo da Michael Mann, cioè Dante Spinotti (Heat, L’ultimo dei Mohicani).

Musiche di Danny Elfman e scenografie di Kristi Zea.

Ma il regista Ratner scarseggia in quanto a stile, il film è moscissimo, montato maluccio, Norton non convince appieno nei panni di Graham e risulta quasi più scialbo dell’inconsueta, platinata capigliatura stinta.

Hopkins recita, come si suol dire, col pilota automatico, anche Emily Watson e Ralph Fiennes appaiono qui un po’ fuori ruolo e incolori.

Il film non emoziona e, anche nei momenti in cui dovrebbe scatenare maggiore tensione, risulta prevedibile e manieristico, mal servito da una regia, com’accennato, solamente di mestiere e priva dei benché minimi, autoriali tocchi personalmente cinematografici.

di Stefano Falotico

 

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