NOMADLAND, recensione

Ebbene, oggi recensiamo l’acclamato Nomadland.

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Film della durata di un’ora e quarantotto minuti circa, vincitore del Leone d’oro alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, cioè la scorsa. Purtroppo funestata, ahinoi, dal tremendo Covid-19 che afflisse anche tale celebre, rinomata kermesse, impedendone appieno il suo normale svolgimento. Malgrado ciò, Nomadland, firmato dalla sensibile regista Chloé Zhao, nella suddetta manifestazione svettò e giustamente trionfò.

Nomadland sarà indubbiamente uno dei più agguerriti concorrenti della prossima edizione degli Oscar. Tant’è che gli esperti di previsioni, i cosiddetti allibratori in merito alle predictions inerenti le pellicole più papabili per aggiudicarsi il premio più ambito e importantissimo messo in palio, per l’appunto, dagli Academy Awards, ovvero la statuetta come Best Motion Picture dell’anno, non hanno alcun dubbio. Nomadland è attualmente, infatti, il film favorito per la vittoria finale. E anche la sua protagonista, la già due volte premio Oscar per Fargo e Tre manifesti a Ebbing, Missouri, cioè la sempre strepitosa e trascinante Frances McDormand, pare davvero in dirittura d’arrivo per aggiudicarsi addirittura, ancora una volta, l’agognata e prestigiosa nomination nella categoria best actress.

Sempre stando a ciò che fortemente si sostiene nell’ambiente di chi è specializzato ad azzardare ipotesi riguardo i probabili vincitori degli Oscar, sembra inoltre che soltanto l’altrettanto bravissima Vanessa Kirby di Pieces of a Woman, la quale s’aggiudicò la Coppa Volpi nella stessa edizione del festival di Venezia in cui sconfisse la “rivale” McDormand, sia l’unica al momento in grado poterne contendere lo scettro di miglior attrice.

Normadland, trama: tratto dall’omonimo libro inchiesta della giornalista Jessica Bruder, sceneggiato, co-prodotto e montato dalla stessa Zhao, Nomadland è la cronistoria, drammatica ed emozionalmente avvincente, della sessantenne Fern (McDormand). Che, dopo aver perso il suo lavoro, decide di tutto punto di viaggiare attraverso la parte occidentale degli States, venendo straordinariamente in contatto con una stravagante galleria di uomini e donne che, vivendo da nomadi, optando volontariamente e non per la scelta radicale di vivere al di fuori delle convenzionali regole sociali, hanno sviluppato una loro visione della vita remota dagli annichilenti, oppressivi ingranaggi del mondo capitalistico. Un film amaro e al contempo solare. Pieno di pathos e pregno di tenera sofferenza malinconicamente soave superbamente raffigurata dall’eccellente McDormand, espressiva come non mai a trasmetterci, anzi, ad emanarci sentitamente viscerali, pulsanti emozioni struggenti. Musicato bellissimamente da Ludovico Einaudi e illuminato dalla crepuscolare e assai suggestiva fotografia ipnotica di Joshua James Richards, Nomadland, all’interno dell’arido, odierno panorama asfaltato dal Covid, risplende come un miracolistico, illuminante fulmine a ciel sereno, non solo in ambito prettamente cinematografico, capace di donarci, con sobrie levità armoniche, vive speranze di vita e d’amore fulgide e quasi celestiali. Accarezzandoci l’anima con delicati cieli notturni e crepuscolari, addolcendoci nella sconfinata beltà di rosati tramonti ardenti che ci straziano piacevolmente con incanto magico e squisitamente sognante.

Un grande film con una McDormand grandissima.

Nel cast, David Strathairn (Good Night, and Good Luck).

di Stefano Falotico

 

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