TUTTI I SOLDI DEL MONDO, recensione

soldi del mondo charlie plummer

Ebbene, oggi recensiamo (sì, abbondiamo di plurale maiestatico, moltiplichiamoci nella pluralità, ah ah) Tutti i soldi del mondo (All the Money in the World) di monsieur Ridley Scott.

In concomitanza con le riprese, attualmente in corso in quel del lago di Como, della sua nuova opus, ovvero House of Gucci con la regina più trasgressiva e irresistibilmente sexy del panorama musicale del mondo, mrs. Lady Gaga, qui nei panni della dark lady Patrizia Reggiani e, nella vita reale, oramai regale per via dei soldi da lei accumulati, matrona invincibile della femminilità più fascinosamente perversa e ancestrale. Lei, l’incontrastata trentaquattrenne signora del gossip per eccellenza, vale a dire la splendida, torbida e voluminosamente misteriosa donna voluttuosa che mi fa impazzire più di tutte le altre poiché, talvolta, pare l’incarnazione della Gioconda, cioè è il ritratto vivente d’un eterno capolavoro di Leonardo esemplificato nella sua immane carica erotica seduttiva profondamente ambigua. Lady Gaga, androgina e al contempo emblema totale del sex appeal più bestiale e muliebre. In quanto sa essere porca soltanto ammiccando inavvertitamente ed è contemporaneamente, straordinariamente elegante anche quando, anziché indossare tailleur e pantaloni maschili, lascia intravedere con classe le sue magnifiche caviglie sinuosamente allineate, intarsiate perfettamente e sensualmente intonate alle sue feline e iper-sensuali movenze da superbo lato b perennemente basculante e per noi uomini decisamente arrapante.

Scusate, non perdiamoci in seghe non mentali.

Questo Tutti i soldi del mondo non vale una pugnetta ma è comunque piacente. Certamente godibile ma non amabile sconfinatamente e passionalmente come Lady Gaga. Una donna cougar per cui sborserei i pochi soldi da me depositati alla Carisbo, sì, la Cassa di Risparmio, pur di pagarla profumatamente se anche solo privatamente mi donasse una notte d’amore selvaggio alla Kendra Lust che fu.

Lady Gaga, prototipo della lussuria personificata. Ce la vogliamo dire senza peli sulla lingua, anzi, speriamo coi suoi dopo un rapporto con lei non solo orale? È una gnocca esagerata!

Io non sono però uno da quattro soldi, ah ah, né uno che vuole mandare tutto a puttane. Neanche son un magnaccia. Lady Gaga vuole il denaro (s)porco dai veri magnati. Mannaggia!

Eh sì, miei mangioni, è una donna imperiale che, durante le pause dei ciak a Roma di House of Gucci, al sopraggiungere della caliente, stuzzicante night dopo una giornata spossante di lavoro duro e stressante, ospita nella sua suite d’albergo lussuriosa, no, lussuosa che affaccia sui Fori Imperiali, un uomo che le sia a letto gladiatorio al Massimo… Decimo Meridio. Con tanto di doppietta del doppiatore Luca Ward, romanaccio di origine controllata più d’un piatto di fettuccine all’amatriciana. Lady Gaga è gioconda e giocosa. Sì, di giochi d’adulti gioca sporcamente eppur rimane intonsa. La sua caratura, non a mille carati di qualche dente rifatto, è immacolata. No, dorata. Lei, interprete di A Star Is Born, è una stella già immortale e non una friabile cometa che non cadrà mai nella notte di San Lorenzo. Mica una meteora, uomini panzoni che soffrite di meteorismo e che vi siete ridotti solamente a leggere le previsioni meteorologiche.

Lei è una tigre divoratrice d’ogni volpone e veste anche pellicce leopardate. È una d’alto bordo, mica una lupa qualsiasi che batte vicino ai Castelli Romani. Eh sì, miei poltroni e pelandroni. Lady Gaga adora farlo pure su ogni poltrona, mie tardone.

Qui parliamo d’una signora, come detto, della notte scura. Eh sì, miei figli di tr… ia. D’altronde, per entrare in Lady Gaga, no, in uno di quei forni crematori, no, nei fori degli imperatori, bisogna passare per Colonna Troiana e imboccare poi quello di Cesare. Date alla Gaga ogni gigolò, cioè quel che è di Cesare ma anche di Mario, di Giuseppe e forse di qualche riccone bello. Uno che non va mica a Riccione, miei ricchioni. È una donna dal culo sfondato.

Mica una moralista bigotta che crede nel Papa. Questa qui tutti le pappa e in un sol boccone se li magna.

Ebbene, tale House of Gucci sarà una puttanata storica.

Parimenti a Tutti i soldi della Gaga, no, ad All Money in the World, la Germanotta tutti se li gira, no, questo film sovreccitato, no, succitato, nella capitale italiana stanno girando. ‘Sti cazzi!

Basta ora con l’essere prosaici e con le popolane. Che sono tutte queste ville, no, villan(i)e?

Paolo Mereghetti, nel suo Dizionario, stroncò Tutti i soldi del mondo. Altrettanto fece impietosamente sull’editoriale del Corriere della Sera.

Leggiamo testualmente e integralmente la sua recensione edita, a mo’ di editto plebiscitario, no, pubblicata in data 3 Gennaio 2018.

È la seguente, miei amici condottieri. Orsù, seguitemi. Non perdete il filo di Arianna, quello di Charlize Theron della celeberrima pubblicità del Martini e lo spacco delle minigonne della Gaga, miei gagà e lacchè, eh eh.

Mereghetti è il nostro Cesarone alla Claudio Amendola, no, il nostro Cicerone. Eh sì, miei guaglioni e mariuoli-marpioni. Non fate i furboni! Ecco la trascrizione:

Ma che film è mai questo Tutti i soldi del mondo? Non è opera di finzione, come spiegano le didascalie all’inizio e alla fine che ribadiscono il legame con la Storia e l’intenzione di collocare la trama all’interno di quel nodo di vipere che fu la famiglia Getty. Ma non è neanche opera di ricostruzione o interpretazione perché le «libertà» che si prendono lo sceneggiatore David Scarpa e il regista Ridley Scott sono tali e tante da rendere inattendibile quel che si vede, a cominciare dal luogo del rapimento, che non avvenne lungo viali frequentati da prostitute (perfettamente bilingui!) ma nella ben più centrale piazza Farnese. L’idea di Ridley Scott per il suo venticinquesimo film era quella di abbandonare i terreni a lui più familiari della fantascienza e dell’action per raccontare il rapimento di Paul Getty III (Charlie Plummer, nessun rapporto con l’attore Christopher), prelevato il 10 luglio 1973 a Roma e liberato in Basilicata il 17 dicembre dello stesso anno dopo che nel novembre gli era stato tagliato un orecchio per sollecitare il pagamento del riscatto: all’inizio diciassette milioni di dollari poi scesi a circa quattro, cioè un miliardo e seicento milioni di lire.

Ma alla sceneggiatura (così come ai sequestratori, legati alle ‘ndrine calabresi) interessa soprattutto la reazione del nonno del rapito, il magnate del petrolio Paul Getty I (Christopher Plummer), l’uomo più ricco del mondo ci fa sapere il film, che dichiarò subito l’intenzione di non pagare alcuna cifra per evitare ulteriori rapimenti dei suoi numerosi nipoti. Accentuando così il suo scontro con Abigail Harris (Michelle Williams), moglie divorziata di Paul Getty II (Andrew Buchan) e madre del rapito e di altri tre figli. Il «mostro cattivo» (e ricchissimo) contro la «mamma buona» (e povera). E in mezzo il «freddo calcolatore», l’ex agente Cia Fletcher Chase (Mark Wahlberg) che il magnate mette a fianco dell’ex nuora per aiutarla nella trattativa. Poteva essere lo spunto per un confronto teso e appassionante che però il film spreca con una serie di cadute che a volte rasentano la comicità involontaria (l’incontro di Chase con le Brigate rosse, che all’inizio sembravano coinvolte: per far capire chi sono, tengono uno stendardo con il loro nome ben in vista nel loro appartamento), a volte scivolano nei luoghi comuni più scontati (la corruzione o l’incapacità delle Forze dell’ordine italiane), a volte penalizzano attori altrove eccellenti (come Romain Duris nei panni del sequestratore Cinquanta, costretto a smorfie sovrumane, si immagina per via della sua origine calabra).

Ma più dei luoghi comuni su un’Italia che sembra uscita dalle barzellette, quello che sembra interessare davvero Ridley Scott (e soprattutto la casa di produzione Sony) era mettere il film al riparo dai boicottaggi del pubblico americano, dopo che Kevin Spacey, scelto all’origine per il ruolo del miliardario, era diventato uno dei «nemici» da abbattere nella guerra ai molestatori sessuali. E così, a sei settimane dall’uscita americana, il budget del film è passato da quaranta a cinquanta milioni di dollari per chiedere a Christopher Plummer di rigirare le ventidue scene in cui appariva il reprobo Spacey, al ritmo di diciotto ore al giorno di lavoro (un tour de force non indifferente per l’ottantasettenne attore canadese). Sarebbe bello poter confrontare le due interpretazioni (quella di Spacey si era intravista in alcuni trailer), ma la prova di Plummer è comunque una delle due cose buone del film, insieme a quella di Michelle Williams. Sono loro, con l’intransigenza dell’uno e la testardaggine dell’altra, a dare al film qualche momento di interesse, quelli in cui Ridley Scott si ricorda di essere ancora un buon regista, capace di giocare sui contrasti dei caratteri e tener desta l’attenzione dello spettatore. Per il resto, la pellicola scivola nel previsto e nel prevedibile, quando non decide di stravolgere decisamente i fatti, ricostruendo a capocchia la liberazione del giovane Getty e castigando con una morte prematura (in realtà se ne andò due anni dopo) il super-cattivo del film, specie di ritratto esageratamente sopra le righe tra Barbablù (che qui se la prende coi figli e non con le mogli) e zio Paperone.

Qui invece la mia lapidaria, infantile regressione, no, superba recensione.

Copio-incollo anche la sorca, no, la trama e la sorta di prefazione da Wikipedia:

Il 10 luglio 1973, a Roma, alcuni membri della ‘ndrangheta rapiscono il sedicenne John Paul Getty III. Il loro obiettivo è ottenere un lauto riscatto da parte del nonno del ragazzo, il noto magnate dell’industria petrolifera nonché uomo più ricco del mondo J. Paul Getty. Il miliardario lascia tuttavia la stampa ed i rapitori stupefatti quando si rifiuta categoricamente di pagare la somma pattuita, anche se questo potrebbe significare la morte del nipote. Per Gail Harris, madre del ragazzo ed ex nuora di Getty, inizia così una lotta contro il tempo per salvare il figlio da morte certa.

wahlberg all the money in the world
Partiamo, miei prodi contro i porci e i prodi.

Evviva Roma, Ulisse e Troia, Itaca e l’Italia ove il pettegolezzo abbonda. Ah, quanti vigliacchi, ne sa qualcosa Don Abbondio. Abbondiamo!

Il re è morto, invece Fabrizio Corona?

Charlie Plummer è davvero il nipote di Getty/Plummer o trattasi di casuale omonimia?

Come disse Corrado Guzzanti, la seconda che hai detto.

Charlie Plummer rimarrà un attore piuttosto anonimo? Quando morirà più ricco di Getty, la gente lo ricorderà, sarà cioè tramandato ai poster(i), oppure le persone si domanderanno, se mai se lo chiederanno, come si chiamava, pure? Non ricordo…

Ah, Quelo lì, ove quello viene detto alla romana…

Io scrivo liberamente qui libero da vincoli editoriali senza le marchette di Scott che chiama Jared Leto. Uno che veste anche Armani, fra l’altro. E non paga i vestiti firmati. Firma solo i contratti per ricevere tutti i soldi del mondo affinché indossi, senza interessi, pure Ermenegildo Zegna, semmai…

Getty, Gucci e soprattutto, miei ciucci, Balthazar Getty è davvero il nipote di suo bisnonno Christopher Plummer/John Paul o dello stesso personaggio interpretato da Kevin Spacey in Tutti i soldi del mondo?

Eh già, certa gente nasce con un culo della madonna. Chi, la Ciccone o la Gaga? Certa gente ha bisogno di lavorare e farselo.  È già baciata dalla fortuna dalla nascita. Tant’è che David Lynch, dopo aver inserito l’orecchio mozzato di Getty/Charlie Plummer in Velluto blu, ah no, scusate, volevo dire… mi sono perso. Vado ritrovato dall’agente Cooper.

Esatto, in Strade perdute, Lynch regalò a Balthazar la possibilità gratuita di poter toccare persino il fondoschiena ignudo di Patricia Arquette.

Capisciste?

Come dice Marco Leonardi in Tutti i soldi del mondo.

Leonardi, non Leonardo. Nato a Melbourne eppur dall’accento spiccatamente siculo. Nuovo Cinema Paradiso docet.

Leonardi, attore di Viva San Isidro! Con in locanda da osteria, no, in locandina lui avvinghiato dalle gambe avviluppanti di Lumi Cavazos. Quella di Come l’acqua per il cioccolato!

Da non confondere con Come l’acqua per gli elefanti, eh sì, non sono Elephant Man.

David Scarpa è uno sceneggiatore che fa a tutti le scarpe? , ma allora è un ciabattino. Ah ah.

In questo film, abbiamo anche Romain Duris, attore francese che parla siciliano stretto meglio di Rosario Fiorello. Ex di Gian(n)ina Facio. Che oggi sta con Ridley Scott. Duris ha origini calabresi? E nel tugurio, in cui è segregato Getty, bisogna stare zitti e mosca. Però, in mezzo a tale sporcizia, volano i calabroni.

Per dirla alla Federico Frusciante, è tutto un troiaio! Frusciante però asserì, nella sua monografia su Scott, che Tutti i soldi del mondo sia più che soddisfacente. Adesso, la prima ora è girata molto bene. La tensione è palpabile più di Lady Gaga e Patricia Arquette e non so come abbia fatto Scott a sostituire Spacey all’ultimo minuto, rigirando tutto con Plummer. Da poco peraltro deceduto. Richiamando tutta la troupe e il direttore della fotografia Dariusz Wolski. Nella seconda ora, non è luogo comune dire a ragione, così come sostenuto da Mereghetti, che le inattendibilità e le inverosimiglianze siano davvero indigeste. Per l’appunto insostenibili. Assolutamente ridicole. Al che, il film diventa una fiction alla Giulio Base. Infatti, compare pure lui. Eh già, Giulio, cosa si farebbe pur di campare… Comunque, in famiglia state bene. Tua moglie è quella gnocca della Gaga, no, di Tiziana Rocca. E, nel film Poliziotti, ficcasti anche Nadia Farès. In senso lato, eh. Poiché, se Balthazar Getty ebbe culo in senso metaforico e quello dell’Arquette in seno, no, fisico senso, Claudio Amendola ebbe quello di Monica Bellucci e pure di Nadia Cassini?  No, forse chissà… lo ebbe il doppiatore Luca Ward, no, Luca ha quello di Giada Desideri. Luca ridoppiò James Woods in C’era una volta in America. Girato perlopiù a Roma. Mentre De Niro, nella versione storica originale, fu doppiato dalle fettuccine? No, da Ferruccio. Che casino! Che bordello. Evviva Pasolini! Sì, in effetti molti mi paragonano a Pier Paolo. Infatti, da tempo cercano di ammazzarmi? No, di ricattarmi e sequestrarmi, di farmi passare per pazzo affinché la mia famiglia, a mo’ di Ransom con Mel Gibson, paghi a delle merde mafiose il riscatto. La pagheranno!

Uno scandalo! Mi faranno prima o poi fuori alla maniera di Willem Dafoe del Pasolini di Ferrara o de L’ultima tentazione di Cristo? Anzi, sapete che vi dico? Finirò io di girare Porno-Teo-Kolossal.

Ora, a parte le esagerazioni e le provocazioni sboccate, no, alla Boccaccio… ecco, a parte Mamma Roma, a volte Scott è un accattone. Michelle Williams è bravissima ma non è, a differenza della Gaga, una milfona. In Shutter Island ammazzò i figli, qui si redime. Non piange quasi mai, anzi, nelle scene tragiche sembra che rida sotto i baffi come la Franzoni… Mark Wahlberg è spaesato e sembra scoglionato. Come se dicesse, per fortuna m’hanno pagato tutti i soldi del mondo per rifare tutte le scene con Christopher Plummer. Che du’ coglioni. Tutti i soldi del mondo non fa venir du’ palle, però è molto brutto in molte parti. Ripeto, se ave(s)te qualche soldo da parte, non vi basteranno per riscattare Lady Gaga e intascarvela.

Dunque, avete due possibilità per farvela. No, per farcela. Accettare di averlo preso in quel posto e fatevelo duramente. Perciò, certe idee di Frusciante sono pienamente condivisibili. Quando invece strumentalizza addirittura Scott, capitalista per eccellenza, dicendo che Scott con Tutti i soldi del mondo voleva lanciare un messaggio politico, fa ridere i polli… Pure, purissime farneticazioni populistiche e retoriche da se famo du’ spaghi e baccalà. Paghiamo (al)la romana o alla livornese?

Voto al film, per finire: 6 e mezzo, forse 8, facciamo 4 e tagliamo l’orecchio, no, la testa al toro. Anche al porco e alle lupe.

 

di Stefano Falotico

 

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