DRACULA DI BRAM STOKER, recensione

Dracula Stoker Coppola Poster

Ebbene, prima o poi dovevamo arrivare al Dracula di Bram Stoker firmato dal grande Francis Ford Coppola (Rusty il selvaggio).

Opera titanica ed epocale, Dracula di Bram Stoker uscì sui nostri schermi nel gennaio del ‘93 e dura due ore e otto minuti. Potremmo riduttivamente, semplicisticamente e in forma generalista categorizzarlo come horror ma, così facendo schematicamente, lo appiattiremmo in una monodimensionale visione che trascurerebbe la complessità delle sue molteplici tematiche molto più profonde, sfaccettate e non ascrivibili ad alcuna classificazione possibile.

È una versione piuttosto fedele al celeberrimo romanzo sempiterno di Bram Stoker. Sebbene, così come soventemente accade per le trasposizioni cinematografiche, differente in alcune parti (trovate tutto su Wikipedia), tagliate e rielaborate, reinventate e romanzate dallo stesso Coppola, autore della sceneggiatura assieme all’arguto James V. Hart.

Coppola ne fu anche produttore e lo straordinario, inaspettato successo del film risollevò pienamente le sorti, all’epoca profondamente in discesa, della sua Zoetrope che stava infatti rischiando la bancarotta.

Dracula di Bram Stoker rinverdì i gloriosi fasti della Monster Universe, rigenerando non mostruosamente, bensì in maniera mirabolante e sensazionalmente avanguardistica, l’intramontabile e immarcescibile mito del Nosferatu, divenendo al contempo il capostipite dei reboot sui generis concepiti e finanziati dalla TriStar Pictures a inizio degli anni novanta. Fra i quali figurarono, immediatamente dopo, il Frankenstein di Mary Shelley per la regia di Kenneth Branagh con Robert De Niro (opera effigiatasi, patrocinata e fregiatasi dell’egida di Coppola produttore), Wolf – La belva è fuori di Mike Nichols con Jack Nicholson e Michelle Pfeiffer, e Mary Reilly di Stephen Frears con John Malkovich e Julia Roberts.

I tre film appena succitati però si rivelarono, a differenza del Dracula di Bram Stoker coppoliano, un sonoro fallimento (forse ingiusto?) in termini di Critica e pubblico, cioè furono dei flop clamorosi soprattutto al botteghino, a prescindere dai loro eventuali, sottovalutati meriti artistici e dai loro possibili pregi qualitativi.

Trama:

corre l’oscuro anno 1462 e la cristianità è in pericolo in quanto i barbarici turchi, dopo la feroce conquista di Costantinopoli, stanno egemonizzando l’Europa dell’Est. Seminando morte e distruzione con impietosa furia atroce, detronizzando i fedeli adepti alla Chiesa di Dio nostro Signore.

Però, dall’arcana e plumbea, misteriosa ed esoterica Transilvania, uno stoico cavaliere rumeno impavido dal roboante nome di Conte Vlad, detto altresì Draculea (Gary Oldman), appartenente al Sacro Ordine del Dragone, un principe valoroso ribattezzato l’Impalatore, corazzato di un’armatura rosso cremisi lucidamente lustrata metaforicamente nella speculare finezza fascinosa del suo cuore elegantemente romantico e ricolmo d’acceso amore passionalmente focoso per la sua giovane, avvenente sposa di nome Elisabeta (Winona Ryder), battaglierà con intrepida prodezza al fine di sconfiggere ogni turco maledetto. Dopo un’ardua e interminabile guerra sanguinosa, ne uscirà trionfalmente vittorioso. Immantinente speranzoso di poter quanto prima ritornare a casa, celebrato per la sua epica impresa eroica, per riabbracciare Elisabeta e armoniosamente festeggiare con lei, amata prediletta, il suo nobilissimo e monumentale, eterno amore infinito.

Nel frattempo i turchi, per vendicarsi dello smacco subito a causa della loro débâcle (chiamatela se preferite disfatta o imbarazzante, imprevista sconfitta), hanno inviato una falsa missiva al castello di Draculea, destinando l’epistola ad Elisabeta. Raccontandole la bieca e perfida menzogna secondo la quale il suo amante, pur avendo vintoli col suo esercito, è tragicamente perito durante il combattimento.

Al che Elisabeta, assalita dallo sconforto e immensamente costernata per il madornale evento narratole, vittima del dolore più lancinante e colta all’istante da un’incommensurabile disperazione straziante, si suicida terribilmente e in modo fatale.

Quindi al suo ritorno che si preannunciava vittoriosamente, felicemente sfarzoso, Dracula, anziché poter solennizzare e perpetuare il suo immane amore appassionatamente romantico, sentendosi inspiegabilmente tradito dal suo dio per il quale con superbo onore si batté e sacrificò con dedizione assoluta, avendogli prestato mirabile giuramento credente, sconvolto per la morte devastante della sua Elisabeta, rinnega dio e lui stesso, consacrandosi a Satana al fine di poter risuscitare, forse illusoriamente, la morte irreversibile del suo nerissimo lutto incolmabile e angosciante.

Inoltre, essendo considerato il suicidio un peccato capitale meritevole di dannazione infernale, Dracula non potrà mai rivedere lassù in cielo paradisiaco, alla fine dei suoi duri giorni oramai per sempre traumatizzati dal cupissimo evento nefasto e indelebile, la sua dolce e innocente Elisabeta.

Elisabeta è morta e non tornerà più, Dracula è oramai perduto e distrutto. Lui stesso s’è trasformato in un’anima immortale, funerea e tetramente inconsolabile che vagherà fantasmatica nella sua malaugurata esistenza indissolubilmente tristissima e mortifera.

Poi, nel 1897 a Londra, l’ambizioso Jonathan Harker (Keanu Reeves) viene assoldato dal suo capo per risolvere un irrisolto caso immobiliare concernente l’acquisto lasciato in sospeso di molte case, situate in punti strategici e nevralgici della capitale britannica, effettuato per conto di un tale conte abitante in Transilvania. Un caso per cui già prestò servizio il fido Thomas Renfield (Tom Waits). Il quale però da allora, sciaguratamente, impazzì e conseguentemente fu internato in manicomio.

Harker parte così in viaggio alla volta dell’annunciatagli destinazione, abbandonando momentaneamente la sua donna, Mina Murray (sempre Winona Ryder). Avventurandosi in uno spettrale luogo ove l’eccentricità più macabra e sovrannaturale non poco lo perturberà.

Mina chi è, in realtà? L’incarnazione di Elisabeta, avvenuta in maniera fenomenale quattro secoli dopo?

Il Conte, invece?

Il professore Abraham Van Helsing (Anthony Hopkins), colui che darà caccia spietata forse al redivivo Dracula esso stesso reincarnatosi e ringiovanito similarmente a mo’ del Tim Roth di una successiva, eccezionale opus di Coppola, cioè Un’altra giovinezza, incentrata sull’imprescindibile e principale, portante tema caro a Coppola stesso e spesso ricorrente nella sua filmografia di indiscutibile e geniale maestro, vale a dire la nostalgia e la rinascenza del tempo apparentemente perduto e ritrovato di proustiana ascendenza, derivazione e memoria, potrebbe essere in qualche modo il vegliardo sacerdote inquietante di nome Cesare che sacramentò a Dracula la maledizione diabolica di cui quest’ultimo sarebbe stato vittima e carnefice incosciente?

Fotografia strepitosa di Michael Ballhaus, ammalianti e ipnotiche musiche in colonna sonora di Wojciech Kilar con Annie Lennox nei titoli di coda, tre premi Oscar (Costumi, Scenografia, Montaggio sonoro), un cast eterogeneo di attori in forma smagliante in cui compare per qualche attimo anche Monica Bellucci e su cui ovviamente primeggia, da dominatore universale della scena, un Gary Oldman in stato di grazia esaltante.

Curiosità: il direttore del doppiaggio della nostra versione italiana è stato Manlio De Angelis che nel film dà la voce a Waits.

Anthony Hopkins doveva inizialmente e come di consueto essere doppiato dalla sua voce italiana ufficiale, cioè quella di Dario Penne. Poi, si optò per la scelta di affidare a Penne la voce di Oldman.

Cesare Barbetti dunque doppiò Hopkins come già accaduto però soltanto un paio di volte.

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di Stefano Falotico

 

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