Batman vs Villain

Batman

Come Batman lacerò il silenzio di chi lo “segregò” per altri sei anni di “castigo” e punì violentemente il cattivo, distruggendolo solo nella penombra del terrore…

Serata bollente, d’una vulcanicità da squamare la mia pelle, grintosa s’è adirata di nuovo in vol(t)o d’una maschera “grottesca”, ché sorvolai la nebbia di tal spoglia città, amputando il mio serpente, scuoiandolo in famelico proprio iroso vento delle palpebre mortali, quindi vivifiche al tepore che sigillato cosparse la mia mente di sedazione durata scagionati, imperdonabili anni. Mi scaglierò!

Fermo, immobile, pressoché spossato da tanto dolore ingiusto, perpetratomi da un malsano “iettatore” a cui capitò però il sortilegio della mia maledizione non vinta. Giammai sconfitto in mia adorata e più adornata vita, torturato di massacro “giocoso” a opprimermi ché di “viltà” fui accusato, deriso e scartato come una rotta “scartoffia”, acciufferò presto il colpevole del misfatto “bianco”. Già è iniziato l’inseguimento, stia sul chi va là a scrutare la sua ombra, “civettuolo” sei maligno anche ora che i giochi son fatto o iniziati di rinnovata, implacabile battaglia? Avanti, schivami e altre calunnie racconta. L’avevi studiata d’acume davvero “ingegnoso”, mio bifolco della peggior feccia. Ma, mi “(s)piace” deluderti, il “morto” cammina, osso duro ti sta sgranocchiando. Promettimi di non inventarne altre, crudo sei mangiato e lo sai.

Sotto te la fai, e non ti servirà l’estrema unzione per infrangere altro mio ardore. Dal seppellito “cadavere”, un odore acre s’è “vanitosamente” impossessato del tuo corpo adesso spa(u)rito. Ancora offendi o arretrerai ché, già tremato in urla tue atterrite di ghiaccio, ti sei “impresso” lo stesso suicidio che hai, invano, (at)tentato? Sì, attento stai, t’avvisai e sono qui sempre ad avvistarti. Sei tormentato d’avvisaglie “buone” come le tue ferali carezze, non arrenderti sulla difensiva. Scalda l’ambiente della tua anima, demente.

Perché ora capirai la parola sofferenza. Qui, prega per te, Dio s’eleverà a giudice inappellabile e spellerà ogni lembo sudato del tuo maiale. Posso osare d’altrettanto, parimenti osé, mia oscenità incarnata?

T’avvertii di non scuotermi ma, di percosse perfino… e per “segno” fisiche, tu insistetti perché me la bevessi. Per poi recarti a brindare, tutto altezzoso e “brillante”, con le tue troiette anali. Oh, come a fette fai e disfi a “piacimento”. Che pastrocchio! Ti posso cavare gli occhi, animale?

Così, l’escogitasti “bellissima”, da dedicarti un monumento in piazza con tanto farti… impazzire. La tua testa appesa strapazzerò, si chiama trapezio isoscele, oh mio pezzente, oppure spezzarti l’ultima golosità in maniera (r)affinata e cotto tuo al dente? Non ardire a fermarmi. La storia la conosci, d’altre umiliazioni la riverberasti e, quando la mia rabbia si placò, più crudele la combinasti. Provando anche, di tua combriccola plagiata, a ledere di maggiore invidia come l’unione facciamolo… di “forza”. Che branco. Gnam gnam.

Prima (s)colpisti sulla mia “verginità” con allusioni ché, d’illuso, potessi bloccare lo spirito risorto in amor proprio. Poi, non “soddisfatto” da tanta tua vigliacca pusillanimità, aspettasti che (re)agissi per “gradire” la tua malferma, brutt’azione. Per sporcare le altrui reputazioni, la mia soprattutto e “sottomessa”, continuare nello spuntino con le tue pute, affilando il punteruolo nella piaga in modo che non potessi più spuntarla e puntarti. Preso di mira d’invertito… reato.

Stasera ho ripreso a “tambureggiare” con la mia macchina. Il tuo amicone ha intravisto qualcosa da dietro il velo della sua finestra “vetrata”. Appena m’ha scorto, scommettiamo che s’è sentito dentro scorticare? Non ho mosso un dito. Sono uscito dall’autovettura, parcheggiando perfettamente di allineamento, ho “sganciato” la mia sigaretta in bocca gustosa. “Fumandomi” il gusto “rancido” della vendetta.

Non puoi più nulla. E io non ti toccherò. Non graffio, non mangio. Sai che non dormo mai, vero?

Ecco, quando la Luna è piena, le tue lenzuola sei sicuro che riempirai col sangue d’una tua donna o s’intrideranno, “gravide” e stridentissime, di dissanguamento solo ai tuoi “personali”.

Sì, sono sporchi affari. Non interessano a nessuno. Tranne a me. Di solito, dopo il me ci sta il te… o volevi una tazza di amaro caffè?

Ciao. La paura non fa sempre novanta, ricordatelo. A volte, appena svolti, puoi incrociare un frontale d’uno che va ai 200 all’ora. Udirai appena un urto. Non morirai subito. Centrerò le tue gambe.

Poi, verrò trovarti in ospedale, oliando la sedia a rotelle della tua carrozz(in)a. Sai, tua madre sarà già morta quando succederà. Le infermiere non possono neanche farti un massaggino, il fegato è col(leg)ato agli arti recisi, quindi neanche un pompino.

Oh mio bravo “bambino”. Dopo l’olio, vuoi il ciuccio? Ah, scusa. Sei un “topo” da pub(e). Ti ficco la cannuccia.

E ora succhia.

 
Firmato Stefano Falotico

 

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