L’età dell’innocenza (The Age of Innocence), recensione

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Uno dei film più emozionanti di sempre, uno dei finali più tristi e al contempo più romantici di sempre. Un capolavoro senza tempo. Scorsese, un genio immenso, Daniel Day-Lewis, impareggiabile, Michelle Pfeiffer oltre il concetto umano di bellezza paradisiaca. Siamo di fronte a un film gigantesco. Titanico!

Ebbene, oggi recensiamo uno dei grandi capolavori di Martin Scorsese, ahinoi, ancora oggi da più parti sottovalutato, ovvero il magnifico, romanticissimo, struggente e perfino avvincente L’età dell’innocenza (The Age of Innocence).

L’età dell’innocenza è un melodramma dalla beltà insuperabile della consistente, giammai annoiante durata, in crescendo emotivo incalzante e per l’appunto toccante, di due ore e venti minuti circa, uscito nelle sale nei primi anni novanta, con più esattezza nel ‘93. Aggiudicandosi giustamente molte nominations alle ambite statuette, cosiddette Oscar, ma vincendo soltanto un Academy Award, cioè Migliori Costumi (Gabriella Pescucci).

L’età dell’innocenza, film all’epoca, ribadiamo, al di là delle candidature agli Oscar, peraltro andate, come detto, praticamente tutte a vuoto, perdonateci il voluto e divertito gioco sapido di parole similari eppur pregne di sottili significanti intrinsechi, è una pellicola inoltre d’epoca accuratissima in ogni pregiatissimo suo superlativo dettaglio mirabile, cioè è insindacabilmente magistrale nella forma e nei colori mirabolanti, a partire dai soavi, turgidi, cangianti e iper-cromatici titoli di testa di Elaine & Saul Bass, impeccabile per l’appunto nell’uso finissimo del decor e altamente pregiato nel suo intarsio molto più che decoroso, in quanto è un capolavoro grandioso inestimabile. Fra l’altro, emozionalmente intriso di pathos strappalacrime mai ricattatorio e furbescamente sdolcinato, bensì passionalmente viscerale in modo apoteotico e trascinante.

Scritto da Jay Cocks (Strange Days), abituale collaboratore per Scorsese, suoi infatti gli script di Silence e Gangs of New York, che per l’occasione traspose in sceneggiatura-adattamento l’omonimo, celebre romanzo di Edith Wharton, con la supervisione e collaborazione di Scorsese stesso, da quest’ultimo addirittura sofisticamente reinventato attraverso volutamente anacronistiche licenze poetiche originali e visivamente prodigiose, L’età dell’innocenza, sotto la scorza e la fatua, perfino implicitamente capziosa, in senso buono del termine, parvenza di pellicola in costume ambientata nella New York ottocentesca a prima vista demodé in senso metaforico, cioè di primo acchito lontana dal nostro stile di vita sol illusoriamente, modernamente contemporaneo e dunque falsamente emancipato, così come perfettamente osservato dal critico Paolo Mereghetti nel suo famoso Dizionario dei film, il quale gli assegna la votazione massima, cioè quattro stellette, di cui vi estrapoleremo la sua disamina nelle righe seguenti, altri non è che l’ennesima, superba riflessione scorsesiana sulla società e i relativi, alterati, anzi adulterati rapporti interpersonali che, a seconda delle convenzioni da essa estemporaneamente adottate e anche subdolamente imposte in base alle usanze del tempo suo contingente, ne scaturiscono perfino in modo violentemente subliminale, psicologicamente parlando.

Prima però della recensione mereghettiana, spenderemo qui noi due parole, sintetiche ma argute ed esaustive, sulla trama. Delineandovela nei suoi tratti più salienti. Sebbene infatti segua un andamento piuttosto lineare, è comunque ramificata e complessa, non tanto nell’intreccio quanto nel suo substrato non soltanto filmico/diegetico: siamo, come poc’anzi accennatovi, nella New York della seconda metà dell’Ottocento. Più precisamente, la vicenda, egregiamente da Scorsese narrataci e da lui espostaci in immagini estasianti da mozzare il fiato, inizia nel 1870. Newland Archer (Daniel Day-Lewis), affascinante uomo di grandi speranze e gentleman avvocato di risma della buona società aristocratica però molto ipocrita e superficiale, è fidanzato e promesso sposo dell’avvenente, civettuola e forse un po’ sempliciotta eppur pura e di buon cuore, May Welland (Winona Ryder). Al che, presto arriva in città la ricca cugina di quest’ultima, la conturbante e misteriosa contessa Ellen Olenska. La quale, dopo un matrimonio fallimentare, è tornata nella Grande Mela per tentare di placare la forte inquietudine angosciante derivatale dalla separazione dal suo ex marito polacco. Che, vergognandosi dello scandalo del divorzio, l’ha seppellita viva nella solitudine più terrificante, rovinandole da infame vile la reputazione e mortificandola tristissimamente. Archer incontra Olenska a teatro, assistendo a un’opera lirica. Fra Archer e Olenska scoccherà immediatamente il classico colpo di fulmine improvviso e fatale.

Ora, ecco la bella opinione del Mereghetti a cui seguiranno le nostre precise considerazioni…

«… La prima opera in costume di Scorsese è solo in apparenza spuria rispetto alla sua filmografia: anche il bel mondo newyorchese del secolo scorso si regge su un’organizzazione tribale spietata come quello dei Goodfellas, anche qui c’è un individuo animato da un impulso libertario che cerca di sottrarsi all’oppressione sociale e, se questa volta non deflagra la violenza metropolitana, esplode però – più sottile e perfida -. Con uno stile più impressionista che viscontiano, il regista scompone la luce ingannevole di un mondo che ha perduto la sua innocenza nell’accumulo di status symbol, e naturalmente dichiara a ogni inquadratura la sua simpatia senza riserve per la contessa Olenska, vittima di un American Dream che sembra non essere mai nemmeno cominciato…».

L’età dell’innocenza non è solamente eccelso tecnicamente, sontuoso nel suo apparato prettamente formale (scenografie di Dante Ferretti, musiche di Elmer Bernstein, fotografia inarrivabile di Michael Ballhaus) ed eccezionalmente interpretato da un terzetto d’attori in forma smagliante, tutti e tre peraltro fotogenicamente impressionanti, soprattutto una Michelle Pfeiffer allo zenit della sua venustà magneticamente accecante, bensì è una spettacolare opus imbattibile e incredibilmente commovente che sa coniugare all’aspetto e al suo scenario, per l’appunto, elegantemente maestosi, una maestria cineastica davvero encomiabile nella sua concezione più assoluta.

Scorsese, qui, incanta e ammalia, ci stordisce a livello figurativo ma, al contempo, filma e firma un inaspettato, forse sorprendente, film intimista e umanista dei più bellamente strazianti.

Regalandoci uno dei finali più devastanti di tutti i tempi. Mastodontico e malinconicamente immane.

Nello strabiliante cast, fra gli altri, Geraldine Chaplin, Jonathan Pryce, Mary Beth Hurt, Robert Sean Leonard, Norman Lloyd, Michael Gough, Miriam Margoyles, Alec McCowen, Stuart Wilson e Richard E. Grant.

L’età dell’innocenza non è sol un capolavoro inoppugnabile e uno dei migliori film di Scorsese di sempre.

Non esageriamo se lo definiamo, rivisto col senno di poi, uno dei film più belli della storia del Cinema?

Sì, lo è. Perlomeno, per chi ha scritto quanto avete letto.

Dialoghi meravigliosi, scritti e recitati divinamente.

Quanto alla follia con madame Olenska, Archer s’abituò a pensarvi come all’ultimo dei suoi esperimenti. Ella rimaneva nei suoi ricordi semplicemente come il più malinconico e intenso d’una schiera di fantasmi.

– Deve essere bella, lo era?

– Bella? Non lo so, era diversa.winona ryder age innocence scorsesefoto

 

di Stefano Falotico

 

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