MEDIUM, recensione

MediumEbbene oggi recensiamo Mediumopus n. 2, in termini di lungometraggio, del promettente e/o volenteroso Massimo Paolucci, fattosi notare, perlomeno per gli aficionado degli horror molto sui generis nostrani, con la pellicola Photoshock del 2017. Dunque, sbagliano in tanti ad affermare che Medium è la sua opera prima.

Già produttore, peraltro, del Dracula di Dario Argento e di Hard Night Falling di Giorgio Bruno col mitico Dolph Lundgren. Quest’ultimo, inoltre, dovrebbe presto e quanto prima rincontrare il nostro Paolucci per il progetto top secret dal titolo Malevolence. In tal caso, le parti però s’invertiranno, diciamo, e Lundgren ne sarà regista, mentre Paolucci comparirà come producer.

Tornando invece al film da noi, in questa sede, preso in questione, ovvero Medium, trattasi di una pellicola della scorrevole e non molto lunga durata di un’ora e mezza, scritta da Lorenzo De Luca. Sceneggiatore, fra gli altri e fra l’altro, di Jonathan degli orsi di Enzo G. Castellari con Franco Nero e di Bastardi, sempre con Nero e, nel suo ricco cast, Giancarlo Giannini e addirittura Don Johnson. Prossimamente, per la regia dello stesso Franco Nero, De Luca firmerà, in veste di writer, anche l’attesissimo L’uomo che disegnò dio. Film che segnerà, per di più, il ritorno sul grande schermo di Kevin Spacey. Il quale, come sappiamo, è stato estromesso da Hollywood per motivi discutibili, ahinoi, scandalosamente noti. E non aggiungiamo altro in merito al puritanesimo bigotto e fuori tempo massimo d’una grande Mecca alquanto ipocrita e ingrata. Velatamente, sottintendendo la nostra chiara opinione in merito.

La trama di Medium è la seguente, riassunta brevemente per evitare inutili spoiler di sorta: due ragazzi mascherati, oltre che scapestrati e ladri un po’ improvvisati, Walter (Emilio Franchini) e Ivan (Pierfrancesco Ceccanei), compiono una rapina in un bar periferico. Ad aspettarli in macchina, un’avvenente girl

I due non tanto provetti malavitosi, fin da subito, nell’incipit di Medium, entrano in contatto con un personaggio misterioso, nei loro riguardi alquanto altezzoso e sprezzante, eppur magnanimo. Scopriremo che costui si chiama, anzi, s’auto-battezza Cagliostro (Tony Sperandeo). Nome decisamente roboante, echeggiante di fastose leggende ammantate di torbida malvagità nefasta.

Ebbene, Cagliostro, malgrado i due ragazzi succitati fossero per l’appunto celati dietro delle maschere, scopre presto la loro identità. Pura coincidenza, fatalità del destino dallo stesso Cagliostro forse profetizzato per ragioni divinatorie o d’altra natura sovrannaturale? Oppure per semplici coincidenze appartenenti alla stranezza della vita quotidiana nella sua rutilante carambola imprevedibile e al contempo angosciosa e perturbante?

Cagliostro ricatta la piccola banda dettavi, cioè questo terzetto formato dai due boys, forse criminali da strapazzo, più la ragazza sopra menzionatavi di nome Patrizia (Martina Marotta).

Quello di Cagliostro è un ricatto sin a un certo punto, in quanto pecuniariamente si palesa assai allettante. Cagliostro lascia infatti ai nostri cosiddetti ladri la piccola refurtiva a lui derubatagli, essendo Cagliostro il proprietario del bar svaligiato da tale trio elencatovi, dicendo al gruppetto dei ragazzi “mariuoli” di considerarla un acconto affinché possano presto invece compiere, su sua commissione, un ladrocinio ben più remunerativo, anzi, milionario. Cioè svaligiare la villa di un cinese, situata sui colli romani. Per meglio dire, sottrarre da quest’abitazione una preziosissima gemma dall’economico valore inestimabile.

Cagliostro ha scelto casualmente loro perché incensurati? Dunque, in caso di sfortunosi posti di blocco, non preventivati, attuati dall’eventuale polizia lungo il tragitto dalla loro casa a quella del ricco cinese, essendo per l’appunto costoro non ancora schedati, passerebbero inosservati, a differenza degli altri ben più preparati sgherri di Cagliostro, probabilmente molto più esperti di loro, per l’appunto, in materia dei grossi colpi rapinatori, ma già segnalati e di conseguenza tenuti d’occhio costantemente dalle forze dell’ordine che su di essi vigilano vita natural durante, molto attentamente.

A questo punto, ci fermiamo qua, cosa succederà?

I ragazzi cercano una giada luminosa, capace di donare poteri salvifici e forse miracolosi? Chi è Sofia (Martina Angelucci), figlia del proprietario della magione (Hal Yamanouchi/Hung)? Chi sono, rispettivamente, Asia (Dafne Barbieri), la sensuale ex di Walter, la conturbante Barbara (Barbara Bacci) e il silenzioso giardiniere Bruno (Bruno Bilotta)?

Medium, fotografato da Matteo de Angelis, non si può dire un film riuscito ma il suo inizio, in stile alla Stefano Calvagna, è abbastanza divertente e recitato ottimamente dal veterano Tony Sperandeo (Johnny StecchinoLa scortaMery per sempre) nei panni del mefistofelico Cagliostro. Poi il film diventa un cialtronesco concentrato, imbarazzante, di heist movie e giallo all’amatriciana con ridicole venature grottescamente orrifiche, gigantescamente risapute e molto orride.

Che alterna scene girate con ritmo a soluzioni registiche incomprensibili che non sanno se copiare il miglior Michele Soavi o scegliere confusamente una ricerca d’una originalità kitsch mortifera più d’un nebbioso cimitero di zombi viventi, stavolta intesa sul piano metaforico di una sterile, assai arida natura prettamente estetica.

Comunque sia, Medium si lascia guardare. È un piccolo gioiello, paradossalmente, nel suo essere uno scult movie di matrice trash con elementi visivi non sempre banali. E lascia il segno. Nel bene e nel male.

Idolatrare e iper-venerare il nuovo, grande film di Ridley Scott e poi guardare questa roba, è qualcosa di diabolico. Ma io sono un critico a 360° gradi anche se, a un occhio, mi mancano alcune diottrie. Non ho dottrina, ma son uomo di acuità e acume, la mia vita non rispetta le simmetrie.

Son uomo di fantasia, simpatia e anche antipatia.

di Stefano Falotico

 

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