DANKO, recensione

DANKO, nato stanco!
Col capello semi-cotonato e spazzolato, un uomo che spazza via dalla faccia della Terra ogni stronzo malfidato e ogni criminale incallito a cui lui fa il culo in modo inaudito. Un comunista che odia il capitalismo, il quale però ha muscoli da reaganiano edonismo e da eterno rivale-amico di Sly Stallone degli anni ottanta. Mah.

RED HEAT, Arnold Schwarzenegger, 1988

RED HEAT, Arnold Schwarzenegger, 1988

Ebbene, oggi recensiamo Danko, firmato dal maestro Walter Hill. Regista che ovviamente non abbisogna di presentazioni, autore infatti di capolavori magistrali e sensazionali, di opere epocali e leggendarie quali I guerrieri della notte, Strade di fuoco, I guerrieri della palude silenziosa, I cavalieri dalle lunghe ombre…

Walter Hill, che aspettiamo prossimamente, con enorme trepidazione ed enorme hype, come si suol dire oggigiorno, tirando in ballo un’espressione di moda e assai in voga, enorme, col suo nuovo western, Dead for a Dollar, con Willem Dafoe & Christoph Waltz, suo annunciato ritorno dietro la macchina da presa a distanza di molti anni dalla sua ultima prova registica, risalente a Nemesi con Sigourney Weaver del 2016. Ma ora torniamo a Danko, uscito nelle sale mondiali nel 1988, il cui titolo originale è Red Heat.

Pellicola della durata di un’ora e quarantaquattro minuti, sceneggiata da Troy Kennedy-Martin (Un colpo all’italiana) ed Harry Kleiner (Bullitt) da un soggetto e una storia originali dello stesso Hill.

Danko è stata in assoluto la prima produzione statunitense a cui fu concessa la rara possibilità di girare molte scene a Mosca, specie nell’incipit, nella celeberrima Piazza Rossa situata nei pressi del Cremlino, sino a quel momento preclusa severamente a ogni film finanziato, per l’appunto, dagli States, per via della Guerra Fredda. Trama, brevissimamente da noi qui riassunta in modo saliente e speriamo esaustivamente netto…

Il durissimo, taurino, muscoloso Ivan Danko, titano russo da non confondere con Ivan Drago/Dolph Lundgren di Rocky IV (possibile che gli sceneggiatori americani avessero, a quei tempi, così poca fantasia nell’inventare i nomi dei characters dei protagonisti delle loro storie cinematografiche, scopiazzandosi in modo monotono e parossistico, dunque a vicenda in modo così imbarazzante da farci arrossire?), cioè un poliziotto tutto d’un pezzo, severissimo e lucidamente spietato contro i suoi nemici a mo’ d’un Terminator sui generis (naturalmente, Arnold Schwarzenegger), viene assoldato e mandato a Chicago, quindi associato a uno sbirro del luogo, Art (Jim Belushi), al fine di poter finalmente catturare il temibile e, sin a questo momento, imprendibile Viktor Rostavili (Ed O’Ross). Inizialmente, le forti differenze caratteriali e culturali fra Danko e Art, fra cui istintivamente non scorre, come si suol dire, buon sangue, scateneranno non pochi vicendevoli problemi, rendendo complicato perfino il già tortuoso e ostico cammino delle indagini spericolate. Poi, tutto si risolverà per il meglio e il terribile villain sarà consegnato alla giustizia oppure addirittura finirà giustamente morto ammazzato? Chissà…

In pieno periodo immediatamente conseguente alla Perestrojka, Walter Hill gira un adrenalinico film d’action che si guarda che è un piacere e fila liscio come l’olio. Divertentissimo e al contempo avvincente dal primo all’ultimo minuto, dal ritmo prepotentemente incalzante che non lascia un sol attimo di tregua, inchiodandoci fra colpi di scena spiazzanti, scene d’inseguimento ad alto tasso di spettacolarità funambolica e perfino volutamente surreali e ironicamente eccessive, per l’appunto, intrattenendo con enorme gusto ma non prendendosi sanamente mai sul serio in modo noioso e pretenzioso.

Cast eterogeneo ove, oltre ai citati Schwarzy e Belushi, sfilano i nomi degli indimenticabili caratteristi Peter Boyle (Taxi Driver), di Pruitt Taylor Vince (La leggenda del pianista sull’oceano), Brion James (Leon Kowalski di Blade Runner), Peter Jason e si fanno notare, si distinguono le presenze importanti di Richard Bright, Laurence Fishburne e di una già torbida, irresistibile, sexy e conturbante Gina Gershon giovanissima.

Musiche di James Horner e bella fotografia funzionale di Matthew F. Leonetti per un purissimo, secchissimo, strepitoso seppur non eccelso e non un capolavoro, thriller d’azione che fa il suo sporco dovere godibilissimo e che, grazie ad alcuni tocchi di classe del geniaccio Hill, ci regala attimi di stupenda suspense alternati a momenti esilaranti e bellamente goliardici.

RED HEAT, Jim Belushi, Arnold Schwarzenegger, 1988

RED HEAT, Jim Belushi, Arnold Schwarzenegger, 1988

RED HEAT, Gina Gershon, Arnold Schwarzenegger, 1988, (c) TriStar

RED HEAT, Gina Gershon, Arnold Schwarzenegger, 1988, (c) TriStar

di Stefano Falotico

 

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