IL TEXANO DAGLI OCCHI DI GHIACCIO, recensione

Ebbene oggi, per il nostro immancabile e consueto, ci auguriamo apprezzato, appuntamento coi Racconti di Cinema, disamineremo lo splendido e perlaceo Il texano dagli occhi di ghiaccio, il cui titolo originale è l’assai più emblematico e meno generico The Outlaw Josey Wales, mirabile opus del ‘76 firmato dal grande Clint Eastwood (Lo straniero senza nome, Gli spietati), qui anche protagonista assoluto di tale capolavoro western dalle sottili venature crepuscolari, pregno di roboanti e furenti atmosfere spettralmente glaciali e ferocemente potenti.

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Accolto favorevolmente dalla Critica ai tempi della sua uscita nelle sale, avvenuta oramai poco meno di cinquant’anni or sono, Il texano dagli occhi di ghiaccio totalizza, a tutt’oggi, su metacritic.com, ovvero l’internazionale sito aggregatore di medie recensorie più famoso al mondo, una lusinghiera percentuale del 69% di opinioni positive, ed è un film della consistente e avvincente durata notevole di due ore e quindici minuti netti e ipnotici, sceneggiato da Sonia Chernus & Philip Kaufman che, dal libro omonimo ad opera di Forrest Carter, poi divenuto Gone in Texas, trassero l’adattamento cinematografico con finezza sofisticata d’alta scuola, in fase di scrittura, accorta e precisa. Limando alcune parti presenti nel romanzo originario e concedendosi molte licenze poetiche assai affascinanti al fine di personalizzarlo, anzi, per meglio dire, affinché potesse naturalmente essere subito inquadrato e accordato a un’ottica consona allo sguardo eastwoodiano, all’epoca già consolidato e ascritto, a sua volta, all’interno d’un cineastico percorso molto coerente e puntuale. Eastwood, da par suo, v’aggiunse i suoi riconoscibilissimi tocchi raffinati, permeandolo e intarsiandolo, diciamo, cucendolo perfettamente a misura della sua cifra stilistica e della sua statura registica che già qui, ribadiamo, era rappresentativa dei suoi accertati e ben saldi stilemi unici e profondamente peculiari. Anche se, a onore del vero e per dovere di cronaca, inizialmente il film doveva essere diretto dal succitato Kaufman. Anzi, volutamente ci correggiamo ancora. Le riprese iniziarono sotto la direzione di Kaufman (La banda di Jesse James, Sol levante) ma, a causa dei continui diverbi e delle cosiddette irrisolvibili e non conciliabili differenze di vedute fra Eastwood e Kaufman, alla fine, col beneplacito della Warner Bros., Eastwood ne prese il comando.

Eastwood texano ghiaccio

Trama: Siamo in piena guerra di Secessione. Josey Wales (Eastwood) è un roccioso uomo che vive nel Missouri e fa l’agricoltore nel suo ranch. Vive con moglie e prole, cioè suo figlio. Pur essendo riuscito a non andare in battaglia, viene avvinghiato dentro una pericolosa spirale forse mortale… Per lui o per gli altri, cioè i nemici e gli efferati uccisori dei suoi affetti più cari?  Sì, perché la sua famiglia, nell’incipit, prima dei titoli di testa, venne barbaramente massacrata, cosicché Josey si vendicherà, divenendo amico, lungo il suo tortuoso viaggio, perfino di redenzione e in cerca della sua pace interiore, d’un indiano Cherokee (Chief Dan George). E non vi diciamo altro per non sciuparvi le sorprese e i colpi di scena micidiali di cui è ricolmo Il texano dagli occhi di ghiaccio. Sottolineando però quanto segue…

Fotografato splendidamente da un ex habitué del Cinema di Eastwood, il compianto Bruce Surtees, prodotto dallo stesso Eastwood tramite la sua Malpaso, su inappuntabili scenografie d’impatto dell’accoppiata Tambi Larsen e Charles Pierce, su belle musiche di Jerry Fielding, Il texano dagli occhi di ghiaccio è un’opera, oltre che storicamente inappuntabile, cresciuta col tempo vertiginosamente, così come accaduto per molti film di Eastwood e continua a stupirci e a magnetizzarci per via, innanzitutto, dell’enorme potere carismatico di Eastwood interprete che, in tale occasione, sfodera un ghigno truce da pelle d’oca e buca lo schermo in ogni inquadratura in virtù del suo fascino virile impressionante, destreggiandosi inoltre in una regia secca e senza fronzoli, bilanciata ottimamente e oscillante chirurgicamente fra momenti di robusto pathos emotivo e attimi melanconici di straordinaria poesia cristallina. Un film formalmente nitido e di gran vigore.

Sondra Locke Josey Wales

Il texano dagli occhi di ghiaccio riesce a essere sia struggente che avvincente e a profumare fulgidamente, dal primo all’ultimo minuto, di purissimo western come se ne facevano un tempo e, parimenti al vino pregiato e d’annata, più stagiona e meno invecchia, migliorando a ogni visione e col passare degli anni, stagliandosi e stampandosi maggiormente nella memoria in modo ipnotico. Insomma, un capolavoro.

Nel ricco ed eterogeneo cast, Bill McKinney, John Vernon, Sam Bottoms (L’ultimo spettacolo), Joyce Jameson, Will Sampson, Woodrow Pafrey e una giovanissima e bellissima Sondra Locke. Eastwood e la Locke si conobbero su questo set, fra loro immediatamente scattò la scintilla amorosa e, come sappiamo, per molti anni furono compagni sia nella vita professionale che, soprattutto, in quella reale e giustappunto sentimentale.

Particolarità che forse sfuggirà ai più: come detto, Josey Wales è del Missouri, quindi il titolo italiano è assolutamente fuori luogo, è il caso di dirlo, sebbene Wales si rechi in Texas nel corso del film. Forse è questa la meta della risoluzione dei conti finale?

di Stefano Falotico

 

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