“Wag the Dog” (Sesso & Potere), recensione

De Niro & Hoffman, goodbye USA

De Niro & Hoffman, goodbye USA

di Stefano Falotico

Il cane (che) si morde la coda e, svegliato, abbaia agitando quella dell’intelligence

 

Ad apertura del film, una didascalia beffarda s’incide già a metafora dell’opera di Barry Levinson: «Why does a dog wag its tail? Because the dog is smarter than the tail. If the tail was smarter, it would wag the dog» («Perché un cane agita la coda? Perché il cane è più intelligente della sua coda. Se invece fosse la coda, più intelligente, agiterebbe lei il cane»).

Una massima che detta così non significa nulla, ma appartiene all’universo sottilmente provocatorio del grande David Mamet, lo sceneggiatore di questo profetico e seminale, grande film sottovalutato di Barry Levinson. Sì, Levinson dirige “semplicemente” l’ingegnosa, acuminante partitura dialogica di Mamet, “limitandosi” a un “compitino” di fascinosa diligenza e rinomata classe attoriale, incentrata sulla dicotomia agli antipodi di due mostri sacri, De Niro e Hoffman, per la prima volta davvero assieme dopo essersi soltanto “sfiorati” nel tribunale di Sleepers, sempre del nostro Barry, fra l’altro. Ma orchestra un pamphlet “pasticciato” nei migliori ingredienti: direzione a “quadratura del cerchio”, intrisa di cosmico pessimismo e messa in scena cinica, dunque a scatenare nostre risate amare e a profonderci un sano cinismo realista, terribilmente ammonente, casting perfetto di caratteristi che non puoi dimenticare… sono volti “superflui” ma carismatici, schiettezza delle inquadrature, veloci e dirette, tagliate col “bisturi” della fotografia acquosa di Robert Richardson, e due, sottolineiamolo, magistrali interpreti in stato di grazia, sobri, misuratissimi, calibrati fra due stili recitativi qui sfruttati nell’eccentrico scontro-incontro “inconciliabile” fra l’“inusuale” verve d’un De Niro che, di freddure e battute rapidissime, elargisce “aforismi” (d)istruttivi e pedagogici in monologhi ficcanti come la sua (in)colta barbetta ispida e pungente, e di un Dustin “ridicolo”, geniale megalomane-factotum, ispirato dichiaratamente al vero produttore Robert Evans, tycoon della Columbia Pictures, celeberrimo negli States per il suo modus vivendi bizzarro e per i suoi vestiti “fuori moda”. D’annotare, inoltre, che è probabilmente uno dei primi De Niro drammaticamente comici degli anni ’90, dopo la sua riuscita incursione brillante di Prima di mezzanotte e l’invece sbagliato “esperimento” del remake di Non siamo angeli.

Basato sulla novella “American Hero” di Larry Beinhart, acquistata personalmente da De Niro, qui infatti accreditato con la sua Tribeca, il soggetto “capita” fra le mani dell’amico di Bob, Mamet appunto. Già penna, lì non però “azzeccata” del già citato …angeli, e del capolavoro depalmiano Gli intoccabili e poi, due anni dopo, dello splendido canto del cigno di Frankenheimer, il crepuscolare Ronin.

Ebbene, la trama di Wag the Dog (così è il titolo originale) è “banale”: a pochi giorni dalle nuove elezioni, il Presidente degli Stati Uniti viene accusato di scandalo sessuale da una boyscout in “vacanza premio”. Una storia che anticipa il “fattaccio” Clinton-Lewinsky, tanto per far capire quanto sceneggiatore e regista hanno centrato lungimiranti gli eventi reali che di lì a poco sarebbero occorsi…

Allo scopo di distrarre l’attenzione pubblica sullo sgradevole evento, ingigantito dai mass media e che quindi inficia notevolmente la reputazione dell’uomo alla Casa Bianca, per sbrogliare la matassa viene contattato Conrad Brean (De Niro), braccio destro fedelissimo del Presidente, specializzato in “chiacchiere” però enormemente persuasive.

Il suo piano è questo, “folle”, appunto: inventarsi la balzana idea che esista una guerra in corso contro l’Albania. In realtà, non c’è nessuna guerra ma, nell’epoca della televisione e dei sistemi di comunicazione che posson contraffare perfino le informazioni più importanti, basta ricrearla al computer, propagandola via cavo. Tanto la gente beve tutto, crede a quello che vede.

Per realizzare il suo strategico “depistamento”, Conrad si affida alle mani d’un produttore hollywoodiano oramai in pensione.

La guerra viene riprodotta artificialmente, con tanto di motti patriottici e retorica da Nato il quattro luglio e canzonette country… sdolcinate ma “toccanti”. A effetto, diciamo così.

Il Presidente verrà rieletto ma il “viso” della bandiera a stelle e strisce è corrotto da un velenoso omicidio (non vi svelo altro), soprattutto inflitto alla propria infranta purezza. Oramai perduta.

Amen

Amen

 

 

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