“Rambo”, recensione first blood

1200x630bb   La montagna sacra(lità), muscolare nelle ferite roventi
Un dirupo struggente, strapiombo lagrimoso del patimento che si fionda, aggrovigliato d’urlo a fondersi martoriantissimo nel gemer di propri silenzi “acustici”, nell’acuire la metallica, coriacea armatura ventricolare dell’anima scuoiata.

Animali!

Fotogrammi inturgiditi nel ralenti maestoso, immortalato d’acquatica plasticità titanica d’un corpo a vivificarsi negli strazi del dolore.
Il dolore è implacabile, è l’orgasmo d’ogni licantropo che ne ha sofferto, d’ira laconica, ogni più striata increspatura. E non l’attenua, intingendo la fronte nelle sorgenti della salvazione.
Lo (s)cova, se n’immerge a risorgimentale monumento d’arcaica e connaturata forza istintiva.

In città, arriva uno stranger, già marchiato dagli occhi nebbiosi d’uno sceriffo che lo stigmatizza per accerchiarne e mortificare il suo “zombi” di lì a scoccar infiammato. Scalfito come una lama crudele che risveglia l’assonnato guerriero.

Ostaggio nei bisbiglii delle fantasmatiche bugie catechistiche. Questa città vive di morte, è da generazioni che se n’è attanagliata di “tenerezza” orrenda.

La gente vuol vivere tranquilla, dormire i sogni di chi sgranocchia le emozioni come pasti caldi del “morbido” aguzzino che “morde” l’aroma cremoso d’un caffè oscurato nel nero virale della “bianca” schiuma per legarla e “legiferarla” nei denti abbrancanti dei branchi quieti da dominare con la dura, spietata legge ad arrestarne le ribellioni (in)visibili. Quel tintinnio, allarmante, da guardingo sorvegliarlo nel massaggiarlo, assediarlo, dargli come assaggio la ghigliottina caudina a seviziarne, “gustarne” lo sfregio prima che, detonando, lacererà la coltre meschina dei “vivi-dì” scheletri plagiati a pedagoga (d)istruzione giornaliera. Si perdonano, ogni Domenica, di false confessioni e genuflessioni rigide.

Reduce dal Peccato ignominioso d’una Nazione militaresca con manie monopolizzanti d’imperante capitalismo che agogna a un solo “clero”, l’uniformità della propria razza  a perpetrare la scissione atomica ché, se non discernerai il dogma, t’aspireranno come “sismologici” con la concentrica, coercitiva “radiografia” a eliderti d’ogni lava eruttiva.

Rambo è una caverna isolata di carne modellata nell’antico codice valoroso d’un samurai invincibile. La chetezza d’un chiaro bagliore amputato dalla sua lucentezza. Muscoli (e)stinti nella metafisica ascetica, poeta delle contemplazioni per non “(ar)ridere”, inaridirsi alle cicatrici impresse nelle “stalattiti dolomitiche” del suo derma che piange, sviscerato, il sangue dei giusti.

Ma, sulla sua strada, incontra uno sceriffo, più che cattivo, reo del crimine meno punibile, il sospetto.
Il sospetto per chi comanda, vessillifero, le blasfeme regole “caste” d’una casta di raggelarla nel “sazio” ammansirla dalle “pericolose” entropie del prevenirle-curandole ancor prima che azzannino, è il crimine di cui s’è sempre macchiata, “incolpevole”, la società dei mentitori (auto)inganni.

Così, “scheda” subito Rambo, lo redarguisce d’ammonitorio sorrisetto, gli porge “delicatamente” la mano “pulita” sulla spalla ma, al primo accenno d’accensione “squilibrata”, lo ammanetta per torturarlo con ignobile sadismo.

Scarnificato sotto le gocce violentissime d’una doccia spruzzata “a freddo”, deturpato per “purificarlo” nel ferreo castigo d’un untorio lavabo di colpe mai commesse, forse l’“idromassaggio” alle impurità di chi rabbrividisce dinanzi al suo specchio già ghiacciato e preferisce arrostire l’ectoplasma che gli mormora, anche solo e solidificato di scultoreo, mamoreo suo “levigarlo” da ottusità “leguleie”, il mostro personale che rifugge nei sonniferi delle sue notti “vellutate”.

Dinamitardo, scalcia ribelle e salta gloriosamente in sella alla fuggitiva libertà dai miserabili, esecrabili abomini.

Ma si caccia… all’uomo nei “pasticci” della persecuzione ostinata.

Rambo viene “trivellato” di colpi, sepolto vivo, sparato, spiato, d’ogni Luce “spento” nel tunnel dell’aberrazione “artigliera” al suo Cuore.

Ma non muore…, è lui che stringe mordace, che chiude il cerchio, che paralizza l’offensiva, attaccando “in difesa”, sbrana, uccide come un animale mitologico, si ciba dei suoi cannibali, potenziando l’annichirli della stessa potenza di fuoco e dei tagli inferti, infettivi, sventra la rovesciata, issata bandiera del morbo nei “mor(t)ali”.

Da qui nasce la leggenda, d’epigoni a inseguire la vendetta, un sequel appunto osceno ché dilania lo Sguardo (e)marginato del primo capolavoro e trasforma la vittima in carnefice di pari, allucinante assassinio, poi il terzo, già un po’ meglio del secondo: Rambo è la non violenza tibetana di chi s’è taciuto nella foresta “pietrificata”. Il laser del suo radar a cui non (s)premere più il rosso incendiario. Ma poi, massacrato dai macellai, a mitragliarli nelle budella e farli saltare per aria fra giugulari recise e squartante furia.

Fino a John…, fine epica dell’epoca.

Fine di una Storia.

(Stefano Falotico)

 

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