Martin Scorsese è

Una bevutina e vai col liscio!

Una bevutina e vai col liscio!

In febbricitante attesa per The Wolf of Wall Street: Martin Scorsese è Taxi Driver, il suo Cinema rappresenta me stesso, masochismo sfrenato d’una alterità latente e irritabile

di Stefano Falotico

Con grande orgoglio, fierezza abissale e “non sommergibile”, sebbene io sia esperto del sondar i mari profondi della psiche e del suo inconscio, musicalmente a mie liriche, troneggiante in amore impetuoso, ondeggiante di dichiarazione a tachicardia emotiva eccelsa, ivi e avo asserisco che di Martin son da immemori anni innamorato. Portabandiera del suo dolore, dell’estremo esser eremitico seppur polemico socialmente, sempre teso scuoia l’umanità, non dei poveri bensì dei miserabili, in quanto egli stesso non adatto al Mondo. E mai dai suoi marci capezzoli, grondanti lerce sconcezze, se n’allatterà giocondo. Il suo Cinema abita in una zona “morta”, dunque viva, al bordo del più intenso e lucente bagliore del crepuscolo. Perché, da esploratore che indaga nell’animo umano, animalizza le nostre anime a violento sfregiarle. E se ne fregerà come me che lo decanto, fulgido l’incarno e in osanna lo lodo poiché, senza sprezzo del pericolo e dei vostri stolti sputi, odio questo Mondo lordo. Tanto libidinoso e gretto, materialista, che geme un latrato patetico, singhiozzante ambizioni vane, che a me non si confanno mai belle, nonostante tutti falsamente s’imbellettino, gozzovigliando di (di)letti e dame soltanto troie come la più concupiscente Maddalena, emblema della maliziosa bellezza che invero è orrenda senescenza. Io non vi sarò belloccio né belante. Io non mi (im)bevo.
Io adoro la vetustà assoluta, in grido laconico e inascoltato, fremerò sempre per valli d’avorio, copritemi di livore col vostro celebrato or(t)o, io pascolo a mio gregge e mai m’ammainerò per ammansirmi a questi maiali camuffati da pecore. Perché leone e Iddio io stesso, recalcitrante al sesso, duro come un sasso e macigno a testa tua. Io, dell’arcigna austerità, son Principe di qualità e vi piglio per quaglie, cari pappagalli.
La vostra vita è solo scemenza d’esistenze nello squallore da tempo (s)consacrate. E io ne sono la vostra invisa eppur visibile blasfemia a faccia rovesciata della medaglia. Perché pervertiti invertiste i valori e voleste “volenterosi” anche la mia natura violentare. Sforzandola ché si chinasse alle vostre “bustarelle”… della spesa, del soppesare e soprattutto di tal edonista sollevamento pesi. Io non dipendo da nessuno e guai a chi vorrà obbligarmi alla mansuetudine dei padroni. Io spadroneggio e di spada ne son florido contro i suoi luoghi comuni e i suoi incolti, banali florilegi.
Chiamatemi il fuorilegge se ciò che v’aggrada. Di mio, non indosso nessun grado.
Io vivo nei guai, nel guado e voglio anche accollarti il bavaglio. Ma non ti accoltellerò. Io sono gentile e so punirti senza che tu (mi) stia a sentire. Sentinella!
Bravo, non sbavare.
Fratelli, è tempo che vi spariate.
Altrimenti, essendo un gran Signore, che lassù sa(le), v’intimerò solo di sparire. Io sono il Re Sole, io sono anche la solitudine. Sempre meglio che questi calori da morti.
Sia lodato Gesù della Madonna!

Amen.

Ora, pro nobis? No, veniamo alle mani noi nobili. Basta coi papus. Plurale personale di voi papponi!

Evviva il Papa. Tu, lascia stare la pappina. Da me avrai solo pappine.

E tu, sì dico a te, bambina. Che cazzo vuoi?

Il mio? No, il mio è mio. Il tuo è un uccello che io ho già tagliato.

Tieni chiusa la bocca.

 

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